Realizzata una nuova tecnica che spinge i farmaci chemioterapici direttamente nel cervello.


A quanto pare una nuova tecnica non invasiva potrebbe rendere più efficace la lotta contro il tumore cerebrale, in quanto permetterebbe ai farmaci chemioterapici di oltrepassare la barriera emato-encefalica, (noto anche con la sigla BEE), in modo da arrivare direttamente nel cervello, dove potrebbero aggredire le cellule tumorali. In pratica si tratta di un metodo messo a punto dai ricercatori del Sunnybrook Health Sciences Centre di Toronto, (in Canada), guidati dal neurochirurgo Todd Mainprize, il quale al riguardo ha spiegato: "La barriera emato-encefalica rappresenta un ostacolo difficile da superare, per fornire le terapie necessarie per combattere malattie come i tumori. Noi siamo stati capaci di aprire temporaneamente questa barriera in una paziente, riuscendo a portare i farmaci chemioterapici direttamente al tumore cerebrale". Difatti, come noto, la BEE protegge il cervello dagli attacchi esterni, ma, (oltre ad impedire, appunto, l'accesso degli agenti patogeni), ostacola anche l'entrata di sostanze utili come i farmaci. Motivo per il quale la tecnica realizzata dagli studiosi canadesi prevede l'impiego di minuscole bolle riempite di gas, che vengono iniettate nel sangue e spinte fino al cervello da un fascio di onde ad ultrasuoni. Così facendo si determina una momentanea apertura della barriera emato-encefalica ed i medicinali possono raggiungere tranquillamente l'area cerebrale colpita dal cancro oppure da altre malattie. Ad ogni modo i primi test effettuati sugli animali in laboratorio hanno dato risultati incoraggianti; mentre lo stesso metodo è stato sperimentato per la prima volta in assoluto, (con esiti positivi), su Bonny Hall, una donna di 56 anni che da 8 è affetta da cancro cerebrale. In sostanza fino a poco tempo fa la paziente era riuscita a tenere sotto controllo la patologia attraverso i farmaci, ma negli ultimi tempi il tumore era diventato più aggressivo e gli esperti canadesi le hanno consigliato una terapia più mirata, testando su di lei il suddetto nuovo metodo ed ottenendo, (anche in questo caso), una buona risposta e risultati incoraggianti. Ciò nonostante i ricercatori canadesi hanno concluso sottolineando: "Tuttavia non è ancora chiaro se la terapia provoca o meno effetti collaterali e pertanto servirà una nuova fase di sperimentazione". Quindi, come già anticipato, se le successive sperimentazioni dovessero confermarne la validità e dimostrare che non causa effetti collaterali, la tecnica in questione potrà, infine, essere utilizzata anche per curare altre malattie, come la demenza, l'epilessia ed il morbo di Parkinson.

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