Di recente uno studio dell'Ospedale San Raffaele, coordinato da Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, (noto anche con la sigla TIGER), e docente presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, e da Roberta Mazzieri, ricercatrice recentemente trasferitasi all'Università del Queensland, ha dimostrato che introducendo un gene terapeutico in alcune cellule del sangue, (ovvero i macrofagi, che vengono richiamate dai tumori per la loro crescita), si riesce a creare un ambiente ostile, appunto, per la crescita del tumore. Si tratta di "bombe ad orologeria", nascoste in una sorta di "Cavallo di Troia": un vettore virale che le trasporta a destinazione e le fa "esplodere" all'interno del tumore. In pratica il metodo è simile a quello utilizzato per due studi di terapia genica in bambini affetti da gravi malattie genetiche, (la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich), condotti dallo stesso Luigi Naldini e pubblicati lo scorso Luglio sulla rivista Science. Ad ogni modo in merito a questa nuova ricerca lo studioso ha spiegato: "In questo nuovo lavoro abbiamo adattato la tecnica di trasferimento genico ed ingegnerizzazione delle cellule del sangue al trattamento dei tumori. Nel caso delle malattie genetiche, le cellule staminali ematopoietiche del paziente, (cellule madri di tutti gli elementi del sangue), vengono corrette mediante l'introduzione del gene funzionante con l'utilizzo di vettori virali, (lentivirali), in modo da ripristinare una funzione originariamente difettosa. Nel nuovo lavoro abbiamo inserito nelle cellule staminali, con lo stesso metodo, un gene che svolge attività anti-tumorale nella loro progenie". In sostanza lo studio in questione, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, ha selezionato come arma anti-tumorale l'interferone alpha, (vale a dire una molecola prodotta normalmente dall'organismo in risposta alle infezioni), il cui uso clinico finora è stato molto limitato poiché, se somministrato sotto forma di iniezioni, flebo o pastiglie, causa problemi di tollerabilità ed effetti collaterali, tra cui un'elevata tossicità. E quindi per rendere la terapia selettiva contro le cellule tumorali, il vettore virale, risultato sicuro e già utilizzato nelle recenti sperimentazioni cliniche, è stato modificato in modo da assicurare che il gene anti-tumorale si attivi soltanto in una specifica frazione di cellule differenziate del sangue, i monociti/macrofagi, (ovvero figli delle cellule staminali), che normalmente sono richiamati dal circolo sanguigno dai tumori per svolgere un'azione che ne favorisce la crescita. In pratica l'originalità di questa nuova strategia consiste proprio nell'aver scelto come veicolo cellulare una popolazione normalmente presente nel sangue a bassa frequenza, ma fortemente arricchita nei tumori. In questo modo l'interferone alpha, veicolato in maniera specifica, si accumula solo nel tumore dove può esercitare la sua funzione anti-tumorale, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull'organismo. Al riguardo Roberta Mazzieri ha dichiarato: "Una volta nel tumore, l'interferone agisce ri-programmando il micro-ambiente tumorale da una condizione favorente la crescita ad una condizione ostile. Questo può avvenire grazie a molteplici meccanismi mediati dall’'interferone: dall'induzione della morte delle cellule tumorali e dei vasi sanguigni del tumore, (essenziali per fornire nutrimento), alla stimolazione della risposta immunitaria contro il tumore". Inoltre lo studio dei ricercatori dell'Ospedale San Raffaele ha mostrato che la nuova strategia consente di bloccare la crescita del tumore mammario e delle sue metastasi in alcuni topi da laboratorio. Mentre per verificare la sicurezza ed efficacia della terapia genica applicata alle cellule staminali umane è stato creato un topo "umanizzato", mediante il trapianto di cellule staminali ematopoietiche umane, modificate per esprimere interferone e ricreando in questo modo un sistema ematopoietico umano nell'orgamismo del topo. In ogni caso utilizzando questo modello è stato possibile dimostrare che la terapia è sicura ed efficace nell'inibire la crescita anche di un tumore umano. Per di più gli studi hanno indicato che il rilascio mirato di interferone nel tumore può esercitare una duplice azione contro il cancro; infatti consente l'azione selettiva di una molecola anti-cancro nel tumore e allo stesso tempo ri-programma i veicoli della terapia, (appunto, i macrofagi), da cellule con attività pro-tumorale a cellule con attività anti-tumorale. In tal proposito i ricercatori hanno spiegato: "I nostri risultati forniscono una prova incoraggiante dell'efficacia e sicurezza della strategia nei modelli sperimentali. Tuttavia adesso sarà necessario effettuare ulteriori studi pre-clinici volti a valutare quali tipi di tumori possano meglio beneficiare di questa terapia genica ed a preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno". Comunque sia lo studio in questione, condotto in questa fase sui topi, ha come primo autore Giulia Escobar, dottoranda presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, ed è stato realizzato presso l'Unità di Angiogenesi e Targeting Tumorale ed, appunto, presso l'Istituto San Raffaele Telethon di Terapia Genica, anche grazie ai finanziamenti del Consiglio Europeo della Ricerca, (conosciuto anche con la sigla ERC), e dell'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, (nota anche con la sigla AIRC).
Di recente uno studio dell'Ospedale San Raffaele, coordinato da Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, (noto anche con la sigla TIGER), e docente presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, e da Roberta Mazzieri, ricercatrice recentemente trasferitasi all'Università del Queensland, ha dimostrato che introducendo un gene terapeutico in alcune cellule del sangue, (ovvero i macrofagi, che vengono richiamate dai tumori per la loro crescita), si riesce a creare un ambiente ostile, appunto, per la crescita del tumore. Si tratta di "bombe ad orologeria", nascoste in una sorta di "Cavallo di Troia": un vettore virale che le trasporta a destinazione e le fa "esplodere" all'interno del tumore. In pratica il metodo è simile a quello utilizzato per due studi di terapia genica in bambini affetti da gravi malattie genetiche, (la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich), condotti dallo stesso Luigi Naldini e pubblicati lo scorso Luglio sulla rivista Science. Ad ogni modo in merito a questa nuova ricerca lo studioso ha spiegato: "In questo nuovo lavoro abbiamo adattato la tecnica di trasferimento genico ed ingegnerizzazione delle cellule del sangue al trattamento dei tumori. Nel caso delle malattie genetiche, le cellule staminali ematopoietiche del paziente, (cellule madri di tutti gli elementi del sangue), vengono corrette mediante l'introduzione del gene funzionante con l'utilizzo di vettori virali, (lentivirali), in modo da ripristinare una funzione originariamente difettosa. Nel nuovo lavoro abbiamo inserito nelle cellule staminali, con lo stesso metodo, un gene che svolge attività anti-tumorale nella loro progenie". In sostanza lo studio in questione, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, ha selezionato come arma anti-tumorale l'interferone alpha, (vale a dire una molecola prodotta normalmente dall'organismo in risposta alle infezioni), il cui uso clinico finora è stato molto limitato poiché, se somministrato sotto forma di iniezioni, flebo o pastiglie, causa problemi di tollerabilità ed effetti collaterali, tra cui un'elevata tossicità. E quindi per rendere la terapia selettiva contro le cellule tumorali, il vettore virale, risultato sicuro e già utilizzato nelle recenti sperimentazioni cliniche, è stato modificato in modo da assicurare che il gene anti-tumorale si attivi soltanto in una specifica frazione di cellule differenziate del sangue, i monociti/macrofagi, (ovvero figli delle cellule staminali), che normalmente sono richiamati dal circolo sanguigno dai tumori per svolgere un'azione che ne favorisce la crescita. In pratica l'originalità di questa nuova strategia consiste proprio nell'aver scelto come veicolo cellulare una popolazione normalmente presente nel sangue a bassa frequenza, ma fortemente arricchita nei tumori. In questo modo l'interferone alpha, veicolato in maniera specifica, si accumula solo nel tumore dove può esercitare la sua funzione anti-tumorale, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull'organismo. Al riguardo Roberta Mazzieri ha dichiarato: "Una volta nel tumore, l'interferone agisce ri-programmando il micro-ambiente tumorale da una condizione favorente la crescita ad una condizione ostile. Questo può avvenire grazie a molteplici meccanismi mediati dall’'interferone: dall'induzione della morte delle cellule tumorali e dei vasi sanguigni del tumore, (essenziali per fornire nutrimento), alla stimolazione della risposta immunitaria contro il tumore". Inoltre lo studio dei ricercatori dell'Ospedale San Raffaele ha mostrato che la nuova strategia consente di bloccare la crescita del tumore mammario e delle sue metastasi in alcuni topi da laboratorio. Mentre per verificare la sicurezza ed efficacia della terapia genica applicata alle cellule staminali umane è stato creato un topo "umanizzato", mediante il trapianto di cellule staminali ematopoietiche umane, modificate per esprimere interferone e ricreando in questo modo un sistema ematopoietico umano nell'orgamismo del topo. In ogni caso utilizzando questo modello è stato possibile dimostrare che la terapia è sicura ed efficace nell'inibire la crescita anche di un tumore umano. Per di più gli studi hanno indicato che il rilascio mirato di interferone nel tumore può esercitare una duplice azione contro il cancro; infatti consente l'azione selettiva di una molecola anti-cancro nel tumore e allo stesso tempo ri-programma i veicoli della terapia, (appunto, i macrofagi), da cellule con attività pro-tumorale a cellule con attività anti-tumorale. In tal proposito i ricercatori hanno spiegato: "I nostri risultati forniscono una prova incoraggiante dell'efficacia e sicurezza della strategia nei modelli sperimentali. Tuttavia adesso sarà necessario effettuare ulteriori studi pre-clinici volti a valutare quali tipi di tumori possano meglio beneficiare di questa terapia genica ed a preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno". Comunque sia lo studio in questione, condotto in questa fase sui topi, ha come primo autore Giulia Escobar, dottoranda presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, ed è stato realizzato presso l'Unità di Angiogenesi e Targeting Tumorale ed, appunto, presso l'Istituto San Raffaele Telethon di Terapia Genica, anche grazie ai finanziamenti del Consiglio Europeo della Ricerca, (conosciuto anche con la sigla ERC), e dell'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, (nota anche con la sigla AIRC).
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