In occasione di un loro studio pubblicato un mese fa sulla rivista Nature Communications un gruppo di ricercatori dell'Università di Campinas e della School of Medicine, University of California San Diego hanno utilizzato organoidi cerebrali umani per rivelare come una mutazione genetica associata ad una forma diffusa di autismo interrompa lo sviluppo neurale: l'utilizzo di strumenti di terapia genica per recuperare la funzione del gene ha permesso loro di ripristinare efficacemente la struttura e la funzione neurale. In pratica, come già risaputo, diverse malattie neurologiche e neuropsichiatriche, (tra cui i disturbi dello spettro autistico o ASD e la schizofrenia), sono state collegate a mutazioni del fattore di trascrizione 4, (noto anche con la sigla TCF4), vale a dire un gene essenziale per lo sviluppo del cervello: in generale i fattori di trascrizione regolano l'attivazione o la disattivazione di altri geni, quindi la loro presenza o mancanza può avere un effetto dominante nell'embrione in via di sviluppo; anche se al momento si sa ben poco in merito a cosa succede al cervello umano quando il TCF4 risulta essere mutato. In sostanza è stato proprio per approfondire tale questione che gli scienziati si sono concentrati sulla sindrome di Pitt-Hopkins, (ossia un'ASD causata specificamente da mutazioni presenti nel fattore di trascrizione in questione): i bambini che ne sono affetti presentano profonde disabilità cognitive e motorie e tipicamente non parlano. Insomma, considerando che i modelli murini di questa sindrome attualmente esistenti non riescono ad imitare accuratamente le caratteristiche neurali dei pazienti umani, gli studiosi hanno deciso di mettere a punto un modello di ricerca umano di tale disturbo: servendosi della tecnologia staminale, hanno convertito le cellule della pelle in cellule staminali, che sono state poi sviluppate in organoidi cerebrali tridimensionali, (detti anche "mini-cervelli"). In concreto le osservazioni iniziali di questi organoidi cerebrali hanno rivelato una serie di differenze strutturali e funzionali tra i campioni con delle mutazioni nel TCF4 e quelli di controllo. Al riguardo Alysson R. Muotri, uno dei principali autori della suddetta ricerca, ha affermato: "Anche senza un microscopio, si poteva dire quale organoide cerebrale avesse la mutazione". Difatti dai dati ottenuti è emerso che gli organoidi con una mutazione del sopracitato fattore di trascrizione erano sostanzialmente più piccoli di quelli normali e molte delle cellule non erano effettivamente neuroni, ma progenitori neurali: sì tratta di semplici cellule che generalmente sono destinate a moltiplicarsi e poi a maturare in cellule cerebrali specializzate, ma si è visto che negli organoidi mutati una parte di questo processo era andata storta. Ad ogni modo una serie di esperimenti successivi ha rivelato che la mutazione del TCF4 portava ad una disregolazione a valle dei geni della famiglia SOX e della via di segnalazione Wnt, cioè due importanti segnali molecolari che guidano le cellule embrionali a moltiplicarsi, a maturare in neuroni ed a migrare nella posizione corretta del cervello: a causa di questa disregolazione i progenitori neurali non si moltiplicano in modo efficiente e quindi vengono prodotti meno neuroni corticali. Inoltre è stato scoperto che le cellule che maturavano in neuroni erano meno eccitabili del normale e spesso rimanevano raggruppate insieme invece di organizzarsi in circuiti neurali finemente sintonizzati: tale architettura cellulare atipica ha interrotto il flusso dell'attività neurale nell'organoide cerebrale mutato, e questo, secondo gli stessi ricercatori, ha probabilmente contribuito a compromettere le funzioni cognitive e motorie. In merito a ciò Fabio Papes, altro principale responsabile del nuovo lavoro di cui sopra, ha dichiarato: "Siamo rimasti sorpresi nel vedere problemi di sviluppo così importanti su tutte queste scale diverse e ci siamo chiesti cosa potessimo fare per risolverli". Per farla breve gli scienziati, come già anticipato, hanno testato due diverse strategie di terapia genica per recuperare il gene funzionale nel tessuto cerebrale, ed hanno osservato che entrambi i metodi aumentavano efficacemente i livelli del TCF4, correggendo così i fenotipi della sindrome di Pitt-Hopkins a livello molecolare, cellulare ed elettrofisiologico. A tal proposito lo stesso Alysson R. Muotri è andato avanti spiegando: "Il fatto che possiamo correggere questo gene e l'intero sistema neurale si ristabilisce, anche a livello funzionale, è sorprendente. Tuttavia bisogna dire che questi interventi genetici hanno avuto luogo in una fase prenatale dello sviluppo cerebrale, mentre in un contesto clinico i bambini riceverebbero la diagnosi ed il trattamento alcuni anni dopo. Pertanto gli studi clinici devono prima confermare se un intervento successivo è ancora sicuro ed efficace". Per questo motivo al momento gli studiosi stanno ottimizzando gli strumenti di terapia genica recentemente concessi in licenza per prepararsi ad una sperimentazione di questo tipo, in cui ipoteticamente le iniezioni spinali del vettore genetico dovrebbero permettere di recuperare la funzione del TCF4 nel cervello. Al riguardo Alysson R. Muotri ha aggiunto: "Per questi bambini ed i loro cari, qualsiasi miglioramento della funzione motoria e cognitiva e della qualità della vita varrebbe la pena di essere provato". Mentre Audrey Davidow Lapidus, presidente della Pitt Hopkins Research Foundation, ha, infine, concluso commentando: "Ciò che è veramente eccezionale di questo lavoro è che questi ricercatori stanno andando oltre il laboratorio e stanno lavorando duramente per rendere questi risultati traducibili nella clinica. Questo è molto più di un documento accademico stellare; è una vera misura di ciò che la scienza ben praticata può realizzare per cambiare in meglio le vite umane".
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