Individuato un legame tra la flora intestinale ed i livelli di vitamina D attiva.

 
Che il microbiota intestinale, (ossia la miriade di batteri, virus ed altri microbi che vivono nel tratto digestivo inferiore), giochi un ruolo importante nella salute delle persone e nel loro rischio di contrarre malattie in modi che solo di recente stanno cominciando ad essere riconosciuti, è una cosa ormai accertata. Tuttavia adesso alcuni ricercatori dell'Università della California, San Diego, (in collaborazione con il Molecular Cell and Developmental Biology at UCLA, la Nanchang University, la Justus-Liebig-University, l'University Hospitals Leuven e l'Oregon Health & Sciences University), tramite uno studio pubblicato in queste settimane sulla rivista Nature Communications, hanno dimostrato come negli uomini più anziani la composizione della flora intestinale sia legata anche ai livelli di vitamina D attiva, (ovvero un ormone importante per la salute delle ossa e per il sistema immunitario); il che ha rivelato una nuova comprensione di tale vitamina e di come essa viene tipicamente misurata. In pratica, come già noto, la vitamina D può assumere diverse forme diverse, ma gli esami del sangue standard ne rilevano solo una, vale a dire un precursore inattivo che può essere immagazzinato dall'organismo, ma per utilizzare la vitamina D l'organismo deve metabolizzare questo precursore in una forma attiva. Al riguardo Deborah Kado, una delle principali autrici della suddetta ricerca, ha affermato: "Siamo stati sorpresi di scoprire che la diversità microbica, (la varietà di tipi di batteri nell'intestino di una persona), era strettamente associata alla vitamina D attiva, ma non alla forma precursore. La maggiore diversità microbica dell'intestino si pensa che sia associata ad una migliore salute in generale". In sostanza sebbene diversi lavori hanno suggerito che le persone con bassi livelli di vitamina D sono a più alto rischio di cancro, malattie cardiache e tante altre malattie, il più grande studio clinico randomizzato fino ad oggi, (che ha analizzato più di 25.000 adulti), ha concluso che l'assunzione di integratori di di questa vitamina non ha alcun effetto sui risultati di salute, comprese le malattie cardiache, il cancro o anche la salute delle ossa. In merito a ciò la stessa Deborah Kado ha proseguito spiegando: "Il nostro studio suggerisce che potrebbe essere perché questi studi hanno misurato solo la forma precursore della vitamina D, piuttosto che l'ormone attivo. Le misure della formazione e della scomposizione della vitamina D possono essere indicatori migliori dei problemi di salute sottostanti, e chi potrebbe rispondere meglio all'integrazione di vitamina D". Ad ogni modo per arrivare a tali conclusioni gli scienziati hanno analizzato campioni di feci e di sangue forniti da 567 uomini che hanno partecipato al National Institute on Aging-funded Osteoporotic Fractures in Men (MrOS) Study Research Group, cioè un grande sforzo multi-sito che ha avuto inizio nel 2000, la cui età media era di 84 anni e la maggior parte di loro ha dichiarato di essere in buona o eccellente salute. Entrando un po' più nei particolari gli studiosi hanno utilizzato una tecnica chiamata sequenziamento del rRNA 16 s per identificare e quantificare i tipi di batteri in ogni campione di feci sulla base di identificatori genetici unici, ed hanno anche impiegato un metodo noto come LC-MS/MS per quantificare i metaboliti della vitamina D, (ossia il precursore, l'ormone attivo ed il prodotto di degradazione), nel siero sanguigno di ogni partecipante. Insomma, così facendo oltre a scoprire un legame tra la vitamina D attiva e la diversità microbiomica generale, i ricercatori hanno anche notato che 12 particolari tipi di batteri apparivano più spesso nei microbiomi intestinali degli uomini con molta vitamina D attiva: la maggior parte di questi batteri producevano acido butirrico, un acido grasso benefico che aiuta a mantenere la salute del rivestimento intestinale. A tal proposito Serene Lingjing Jiang, altra principale responsabile dell'indagine in questione, ha dichiarato: "I microbiomi intestinali sono davvero complessi e variano molto da persona a persona. Quando troviamo delle associazioni, di solito non sono così distinte come quelle che abbiamo trovato qui". Tra l'altro considerando che vivono in diverse regioni degli Stati Uniti, gli uomini presi in esame sono esposti a diverse quantità di luce solare, (una delle fonti primarie di vitamina D): come previsto, gli uomini che vivevano a San Diego hanno, infatti, ricevuto più raggi solari e nel loro organismo avevano la forma più precursore della suddetta vitamina. Nonostante ciò inaspettatamente gli scienziati non hanno trovato nessuna correlazione tra il luogo in cui gli uomini vivevano ed i loro livelli di ormone attivo della vitamina D. Al riguardo Deborah Kado ha continuato sostenendo: "Sembra che non importa quanta vitamina D si ottiene attraverso la luce del Sole o l'integrazione, né quanto il corpo può immagazzinare. Ciò che importa è quanto bene il tuo corpo è in grado di metabolizzarla in vitamina D attiva, ed è forse questo che gli studi clinici devono misurare per avere un quadro più accurato del ruolo di tale vitamina nella salute"; mentre Robert L. Thomas, altro principale autore, ha poi aggiunto: "In medicina spesso troviamo che di più non è necessariamente meglio. Quindi, in questo caso, forse non è la quantità di vitamina D che si integra, ma come si incoraggia il proprio corpo ad usarla". Comunque sia gli studiosi hanno, infine, concluso precisando: "La nostra ricerca si è basata su una singola istantanea nel tempo dei microbi e della vitamina D che si trovavano nel sangue e nelle feci dei partecipanti: questi fattori possono fluttuare nel tempo a seconda dell'ambiente, della dieta, delle abitudini del sonno, dei farmaci assunti e di altro ancora. Sono quindi necessari ulteriori studi per capire meglio il ruolo dei batteri nel metabolismo della vitamina D e per determinare se intervenire a livello microbico può essere utilizzato per aumentare i trattamenti attuali per migliorare la salute delle ossa ed eventualmente altre condizioni sanitarie".

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