A brave potrebbe arrivare anche in Italia la "Web Tax", per tassare le grandi multinazionali di Internet


A quanto pare Francesco Boccia, l'attuale Presidente della V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati, di recente ha proposto una "Web Tax"; ed anche se ancora non è ben chiaro che cosa sia, l'obiettivo dovrebbe essere quello di "tassare le attività riferibili all'Italia di tutte le grandi multinazionali di Internet, (come, ad esempio, GoogleAmazon, Yahoo! e tanti altri), per raccogliere circa un miliardo di euro con cui rimpolpare le risorse per il cuneo fiscale". Ma non solo; infatti la proposta in questione punta anche alla tracciabilità con bonifico bancario o postale per contrastare l'evasione fiscale nelle transazioni online. Che, come ha spiegato lo stesso Francesco Boccia, devono essere intese come commercio elettronico diretto ed indiretto, e che oggi di fatto sfuggono a qualsiasi forma di prelievo nel Paese dove, al contrario, vengono fruiti beni e servizi e sui quali si producono ricavi. Insomma pare che l'obiettivo del PD di far pagare le tasse alle multinazionali di Internet si è già trasformato, con l'assenso del Governo, in uno dei principi della delega fiscale licenziata ad inizio Ottobre a Montecitorio, ed attualmente all'esame del Senato. Infatti l'ipotesi del PD sarebbe quella di dare attuazione a quei principi facendo salire sul "treno della stabilità" la proposta di legge targata Francesco Boccia. Per di più, sempre secondo il Presidente della V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati, la ratio di fondo è quella di consentire al sistema fiscale di interpretare la trasformazione dell'economia e dei mezzi di produzione; infatti ha dichiarato: "Non è stressando il prelievo su accise, sigarette o scontrini del salumiere che si possono recuperare nuove risorse, ma evitando che i nostri consumi online arricchiscano soggetti che non hanno interesse a sviluppare attività economiche". E dunque, con una modifica alla legge (Dpr 633/72) in materia di soggetti IVA, adesso si sta provando ad introduce l'obbligo per i committenti di servizi online di poter acquistare solo da soggetti in possesso di una partita IVA italiana. In questo modo i soggetti passivi d'imposta, (ovvero i committenti di servizi online), non potranno più sfuggire al prelievo italiano su questi stessi servizi; ma tuttavia con un cambio di prospettiva. Infatti come ha proseguito Francesco Boccia: "Si punta a far pagare le tasse ai big del Web non obbligandoli ad avere una partita IVA, ma piuttosto obbligando i soggetti che vogliono fare pubblicità in Italia e vendono i loro prodotti sul mercato italiano, anche online, ad acquistare da un soggetto che ha partita IVA in Italia". Inoltre quest'obbligo di rivolgersi ad un soggetto con partita IVA non si limita al solo commercio elettronico, ma anche all'acquisto di spazi pubblicitari dei link sponsorizzati che appaiono sulle schermate e sulle pagine dei motori di ricerca. Quindi questi spazi pubblicitari potranno essere venduti solo ed esclusivamente da editori, concessionarie pubblicitarie oppure motori di ricerca in possesso di una regolare partita IVA italiana. Con un'ulteriore ricaduta anche in termini di limitazioni a forme di concorrenza sleale: quella messa in atto dagli operatori online che, pur considerando le sanzioni inferiori agli utili prodotti, continuano a fatturare da Lussemburgo, Irlanda ed altri Paesi anche non UE, tutti i prodotti venduti in Italia, applicando in alcuni casi l'IVA del 15%, (come nel caso lussemburghese), contro gli altri distributori che fatturano al 22%. Al riguardo Francesco Boccia ha concluso sottolineando: "Si tratta di un circolo vizioso che va interrotto, se non si vogliono perdere per sempre tasse e posti di lavoro, oltre che favorire un modello di business perdente con una normativa opportuna a cui Francia, Regno Unito e Germania hanno già provveduto".

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