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Nella scuola l'impopolarità è più stressante della matematica.
Tra qualche giorno inizierà la scuola... ed in molti iniziano ad essere preoccupati; Sì, ma non certo per i voti!... Infatti ormai nel mondo della scuola esistono 2 parole che contano maggiormente, le quali sono: "popular", (in Italiano popolare), e "loser", (in Italiano perdente). Due parole che non hanno nulla a che vedere con il "vecchio" timore di passare per asini e di non essere stimati dagli insegnati; infatti quello che conta per i giovani d'oggi è essere considerati ragazzi di successo, (ed essere quindi popular), nel "gruppo" ed ovviamente di evitare di essere etichettato come un perdente, cioè un loser. Secondo quanto affermato da Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra esperto di adolescenti: "Oggi, come quarant'anni fa, il ritorno a scuola può essere fonte di preoccupazione, ma la minaccia non è più quella di un castigo. Il timore per ragazzi è di fare brutta figura con i compagni sulla passerella della scuola e di deludere le aspettative dei genitori che vogliono ragazzi di successo. Non si tratta più di una paura etica, ma di una paura estetica non legata al sentimento di colpa, ma a quello di vergogna". Infatti l'eventuale fallimento in una prova scolastica non è più qualcosa che mette in discussione quanto il ragazzo abbia studiato, ma il suo valore di persona in quanto tale, infatti, l'adolescente, (che già si sente inadeguato ai modelli estetici che la società gli presenta), pensa di essere anche stupido ed incapace e di non essere all'altezza della scuola che i genitori hanno scelto per lui. L'ansia che genera questa prospettiva è dunque molto più profonda e difficile da gestire. Partendo da questo presupposto è più facile capire i risultati di uno studio pubblicato questa estate da un gruppo di ricercatori dell'Università di Chicago, che da anni tenta di capire perché, a pari capacità, nel momento dell'esame qualcuno riesca meglio di altri. Al riguardo Sian Beilock, che ha coordinato il lavoro, ha affermato: "In una settantina di studenti universitari che dovevano affrontare un importante test di matematica abbiamo misurato le capacità di calcolo ed al momento dell'esame i livelli di cortisolo, ovvero l'ormone dello stress, nella saliva. Mentre tra i meno dotati, lo stress non faceva differenza; e tra quelli candidati ai voti più alti, invece, l'effetto esame metteva in luce l'idea che il ragazzo aveva di sé: se era convinto di essere bravo in matematica, la pressione psicologica non faceva che potenziare i risultati; se, invece, a pari capacità, si sentiva insicuro, la tensione finiva per penalizzarlo". Però pare ci sia un trucco apparentemente banale per cercare di superare questo ostacolo. Infatti con un recente studio, pubblicato sulla rivista Science, gli stessi autori hanno dimostrato che è possibile neutralizzare l'effetto negativo dello stress dedicando il quarto d'ora prima dell'esame a mettere per iscritto le proprie ansie e preoccupazioni. In tal proposito una psicologa americana ha dichiarato: "Con questa semplice valvola di sfogo i risultati tornano quelli che avrebbero dovuto essere". E lo psichiatra Vittorino Andreoli ha puntualizzato: "Ben prima dell'esame quel che conta però è l'ambiente che il bambino o il ragazzo trova in classe. La paura del fallimento nasce da un clima molto "giudicante", in cui grande considerazione è data soprattutto ai voti. La scuola dovrebbe invece essere un luogo di incontro e di crescita". Mentre l'insegnante Laura Ferrari, con la sua ormai trentennale esperienza nelle scuole milanesi, ha rassicurato: "Nelle elementari questa ormai è la regola. E se i piccoli non hanno le ansie da prestazione dei più grandi, anche quella da separazione sembra sia sotto controllo. I bambini per lo più vengono a scuola sereni ed anche quelli di prima classe, ormai quasi tutti provenienti dalla scuola dell'infanzia, superano meglio il distacco dai genitori". Ed, infatti, anche i risultati possono dipendere dalla famiglia. Infine Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo, ha concluso dicendo: "Se i ragazzi si sentono continuamente ripetere che studiare non serve a niente, che i programmi sono troppo difficili o che i compiti sono troppo onerosi, è ovvio che non possano poi affrontare con entusiasmo il loro impegno quotidiano".
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