A quanto pare il farmaco Ibrutinib, (noto anche come PCI-32765 o con il nome commericale Imbruvica), sarebbe risultato efficace contro il linfoma diffuso a grandi cellule B, (noto anche con la sigla DLBCL); o almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente una ricerca pubblicata su Nature Medicine da Wyndham Wilson, ricercatore del National Cancer Institute, il quale al riguardo ha spiegato: "I due principali sottotipi di DLBCL, ossia le forme Activated B Cell-like, (o ABC), e Germinal center B cell-like, (o GCB), si generano da meccanismi distinti, con la variante ABC che acquisisce mutazioni selettive che colpiscono il recettore delle cellule B, (o BCR), favorendo una cronicizzazione del segnale recettoriale. Il sottotipo ABC ha circa il 40% di tasso di guarigione con le terapie disponibili, un dato peggiore di quanto osservato nella forma GCB, cosa che sottolinea la necessità di nuove strategie di cura". Ed in tal senso, pare essere, appunto, promettente l'utilizzo dell'Ibrutinib, il quale tra l'altro è già autorizzato per il trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica e con linfoma mantellare. In tal proposito il ricercatore, (che insieme ai suoi colleghi ha analizzato 80 soggetti affetti da DLBCL recidivato o refrattario, osservando una risposta al farmaco nel 37% delle forme ABC e nel 5% dei soggetti con DLBCL-GCB), ha concluso dichiarando: "Abbiamo ipotizzato che la forma ABC, ma non GCB, possa rispondere all'Ibrutinib, un inibitore del segnale BCR. I tumori ABC con mutazioni BCR hanno risposto all'Ibrutinib con maggiore frequenza, specie quelli con differenziamento mieloide alla risposta primaria della proteina 88, (detta anche MYD88): un risultato coerente con la cooperazione in vitro tra percorsi BCR e MYD88. Tuttavia il maggior numero di risposte si è verificato nei tumori ABC in assenza di mutazioni BCR, il che suggerisce che nelle forme ABC il segnale BCR oncogenico non richiede mutazioni e potrebbe essere innescato da meccanismi non genetici. Questi risultati supportano lo sviluppo selettivo dell'Ibrutinib nella terapia delle forme ABC di DLBCL". Ad ogni modo per quanto riguarda il linfoma mantellare, in un altro recente studio di fase II condotto su 111 pazienti e pubblicato sul New England Journal of Medicine, il farmaco Ibrutinib si è dimostrato in grado di poter indurre remissioni con un dosaggio di 560 mg/die, (milligrammi al giorno), con un tasso complessivo di risposte pari al 68%, indipendente dal pretrattamento con il bortezomib, e con un follow-up mediano di 15,3 mesi. Inoltre la tossicità è risultata essere limitata e costituita prevalentemente da diarrea, nausea e astenia lievi o moderate; mentre la tossicità ematologica di grado 3 o superiore è stata rara. In pratica generalmente l'Ibrutinib viene somministrato per via orale, una volta al giorno, ed appartiene ad una categoria di farmaci chiamati inibitori della tirosin-chinasi di Bruton, (o BTK), vale a dire una proteina avente un'importanza cruciale per la crescita e la differenziazione delle cellule B, ritenuta coinvolta in varie neoplasie ematologiche, tra cui la macroglobulinemia di Waldenström o, appunto, la leucemia linfatica cronica ed il linfoma mantellare. Al riguardo in un editoriale di commento allo studio si può leggere: «I risultati ottenuti con l'Ibrutinib rappresentano un ulteriore passo in avanti nella gestione delle emopatie maligne, in evoluzione da un approccio basato sulla chemioterapia verso trattamenti mirati sui meccanismi biologici di base della genesi e della progressione della malattia. Le sfide ancora aperte comprendono la definizione dell'efficacia degli inibitori di BTK, da soli o in combinazione con altri agenti, nel trattamento di prima linea di queste patologie e i loro effetti a lungo termine, così come il complessivo rapporto costi/benefici di queste nuove strategie terapeutiche». Difatti la BTK è stata riconosciuta come fattore implicato nella patogenesi delle patologie linfoproliferative a cellule B, portando allo sviluppo di una nuova classe di farmaci: appunto, gli inibitori orali specifici della BTK. Comunque sia anche studi clinici precedenti in cui è stato utilizzato l'Ibrutinib hanno, infine, mostrato alte percentuali di risposta in pazienti affetti da queste neoplasie e con una prognosi sfavorevole.
A quanto pare il farmaco Ibrutinib, (noto anche come PCI-32765 o con il nome commericale Imbruvica), sarebbe risultato efficace contro il linfoma diffuso a grandi cellule B, (noto anche con la sigla DLBCL); o almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente una ricerca pubblicata su Nature Medicine da Wyndham Wilson, ricercatore del National Cancer Institute, il quale al riguardo ha spiegato: "I due principali sottotipi di DLBCL, ossia le forme Activated B Cell-like, (o ABC), e Germinal center B cell-like, (o GCB), si generano da meccanismi distinti, con la variante ABC che acquisisce mutazioni selettive che colpiscono il recettore delle cellule B, (o BCR), favorendo una cronicizzazione del segnale recettoriale. Il sottotipo ABC ha circa il 40% di tasso di guarigione con le terapie disponibili, un dato peggiore di quanto osservato nella forma GCB, cosa che sottolinea la necessità di nuove strategie di cura". Ed in tal senso, pare essere, appunto, promettente l'utilizzo dell'Ibrutinib, il quale tra l'altro è già autorizzato per il trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica e con linfoma mantellare. In tal proposito il ricercatore, (che insieme ai suoi colleghi ha analizzato 80 soggetti affetti da DLBCL recidivato o refrattario, osservando una risposta al farmaco nel 37% delle forme ABC e nel 5% dei soggetti con DLBCL-GCB), ha concluso dichiarando: "Abbiamo ipotizzato che la forma ABC, ma non GCB, possa rispondere all'Ibrutinib, un inibitore del segnale BCR. I tumori ABC con mutazioni BCR hanno risposto all'Ibrutinib con maggiore frequenza, specie quelli con differenziamento mieloide alla risposta primaria della proteina 88, (detta anche MYD88): un risultato coerente con la cooperazione in vitro tra percorsi BCR e MYD88. Tuttavia il maggior numero di risposte si è verificato nei tumori ABC in assenza di mutazioni BCR, il che suggerisce che nelle forme ABC il segnale BCR oncogenico non richiede mutazioni e potrebbe essere innescato da meccanismi non genetici. Questi risultati supportano lo sviluppo selettivo dell'Ibrutinib nella terapia delle forme ABC di DLBCL". Ad ogni modo per quanto riguarda il linfoma mantellare, in un altro recente studio di fase II condotto su 111 pazienti e pubblicato sul New England Journal of Medicine, il farmaco Ibrutinib si è dimostrato in grado di poter indurre remissioni con un dosaggio di 560 mg/die, (milligrammi al giorno), con un tasso complessivo di risposte pari al 68%, indipendente dal pretrattamento con il bortezomib, e con un follow-up mediano di 15,3 mesi. Inoltre la tossicità è risultata essere limitata e costituita prevalentemente da diarrea, nausea e astenia lievi o moderate; mentre la tossicità ematologica di grado 3 o superiore è stata rara. In pratica generalmente l'Ibrutinib viene somministrato per via orale, una volta al giorno, ed appartiene ad una categoria di farmaci chiamati inibitori della tirosin-chinasi di Bruton, (o BTK), vale a dire una proteina avente un'importanza cruciale per la crescita e la differenziazione delle cellule B, ritenuta coinvolta in varie neoplasie ematologiche, tra cui la macroglobulinemia di Waldenström o, appunto, la leucemia linfatica cronica ed il linfoma mantellare. Al riguardo in un editoriale di commento allo studio si può leggere: «I risultati ottenuti con l'Ibrutinib rappresentano un ulteriore passo in avanti nella gestione delle emopatie maligne, in evoluzione da un approccio basato sulla chemioterapia verso trattamenti mirati sui meccanismi biologici di base della genesi e della progressione della malattia. Le sfide ancora aperte comprendono la definizione dell'efficacia degli inibitori di BTK, da soli o in combinazione con altri agenti, nel trattamento di prima linea di queste patologie e i loro effetti a lungo termine, così come il complessivo rapporto costi/benefici di queste nuove strategie terapeutiche». Difatti la BTK è stata riconosciuta come fattore implicato nella patogenesi delle patologie linfoproliferative a cellule B, portando allo sviluppo di una nuova classe di farmaci: appunto, gli inibitori orali specifici della BTK. Comunque sia anche studi clinici precedenti in cui è stato utilizzato l'Ibrutinib hanno, infine, mostrato alte percentuali di risposta in pazienti affetti da queste neoplasie e con una prognosi sfavorevole.
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