A quanto pare c'è una possibilità che il morbo di Alzheimer possa rivelarsi contagioso e passare da persona a persona; o almeno questa è l'ipotesi proposta di recente sulla rivista Nature da alcuni ricercatori della University College London, guidati dal professor John Collinge, i quali hanno analizzato il cervello di 8 persone morte in età giovane, (tra i 36 ed i 51 anni), per una cosiddetta malattia da prioni sviluppata in seguito all'assunzione di alcune dosi infette di ormone della crescita, il quale in passato si otteneva dall'ipofisi, ovvero la ghiandola alla base del cervello. Quindi chiaramente non si tratta di una trasmissione che avviene attraverso il contatto diretto tra persone, (come un'influenza), ma di una possibile trasmissione attraverso rare procedure mediche. Difatti, come già anticipato, fino alla metà degli anni '80 i medici utilizzavano, appunto, queste ghiandole prelevandole dai cadaveri per ottenere abbastanza ormoni per una dose di farmaco. Tuttavia il problema è che alcuni di questi cadaveri erano contaminati da prioni, (proteine "infettive" che in modo ancora non ben chiaro inducono cambiamenti di forma anche nelle proteine normali e portano alla morte dei neuroni), e quindi circa il 6% dei bambini trattati all'epoca con l'ormone della crescita ha sviluppato nel corso della vita la Malattia di Creutzfeldt-Jakob, (diventata famosa per la cosiddetta nuova variante detta "morbo della mucca pazza"), la cui incubazione può durare anche 40 anni e che porta progressivamente alla demenza. Tuttavia allo stato attuale delle cose questo rischio non sussiste più dal momento che l'ormone della crescita si ottiene, quando e se necessario, grazie alla tecnica del cosiddetto DNA ricombinante; anche se si suppone che in altri pochi casi tali infezioni possano essere state provocate da contaminazioni avvenute durante procedure neurochirurgiche e trapianti di cornea. Ad ogni modo studiando i suddetti 8 soggetti morti per questa ragione, i ricercatori inglesi hanno trovato in 6 di loro non solo i previsti accumuli di prioni, ma anche alte concentrazioni di beta-amiloide, uno dei segni caratteristici dell'Alzheimer, nonostante nessuno di essi presentava fattori di rischio o alterazioni genetiche tali da giustificare l'ipotesi di un futuro sviluppo della malattia in questione. Insomma, i ricercatori suppongono che la spiegazione che a tali dati possa essere stata una trasmissione di proteine beta-amiloidi "mutate" dello stesso tipo di quella che ha causato la malattia da prioni. Comunque sia anche se, come già detto, la ricerca è stata pubblicata su Nature, l'approccio dell'editore è stato molto prudente, tanto che i revisori ne hanno consentito la pubblicazione solo dopo che gli autori nelle loro conclusioni hanno accettato di scrivere: «Non c'è alcuna evidenza che la malattia di Alzheimer sia contagiosa e che ci si possa ammalare con le trasfusioni o con strumenti chirurgici contaminati». Perciò per il momento tutto rimane così com'è, anche se lo studio inglese rimane comunque importante e la stessa ipotesi è stata fatta anche da un altro gruppo di ricerca: quello dello University of Texas Health Science Center di Houston. In pratica secondo gli scienziati americani, alcune forme sporadiche di Alzheimer insorgerebbero sulla base di meccanismi simili a quelli che caratterizzano l'encefalopatia spongiforme bovina e la sua variante umana, appunto, la Malattia di Creutzfeldt-Jakob. In sostanza si tratta di una la ricerca, pubblicata su Molecular Psychiatry, e che è stata diretta da Claudio Soto, il quale al riguardo ha commentato: "I nostri risultati aprono alla possibilità che alcune forme sporadiche di Alzheimer possano originarsi da un processo infettivo che si verifica in altre malattie neurologiche, come la mucca pazza". Per farla breve una proteina normale si altera dando vita a proteine malate che cominciano ad accumularsi nel cervello, formando depositi di placche che distruggono le cellule neuronali. Difatti durante quest'ultima ricerca gli scienziati texani hanno iniettato del tessuto cerebrale malato su alcune cavie da laboratorio, mettendo a confronto i risultati con quelli di altri animali a cui era stato iniettato tessuto cerebrale sano. I risultati di tale esperimento hanno mostrato che mentre nessuna cavia del gruppo di controllo ha sviluppato la malattia, quasi tutti gli altri animali hanno mostrato l'insorgenza di placche ed altre alterazioni che si verificano in caso di Alzheimer. In tal proposito lo stesso Claudio Soto ha spiegato: "Abbiamo preso un modello di topo che non sviluppa spontaneamente alcun danno cerebrale, iniettando poi una piccola quantità di tessuto cerebrale umano affetto da Alzheimer direttamente nel cervello degli animali. Così abbiamo visto che il topo si è ammalato e che l'Alzheimer si è diffuso ad altre parti del cervello. Attualmente stiamo lavorando per capire se la trasmissione della malattia può verificarsi anche negli esseri umani, attraverso vie di esposizione più "naturali"". Inoltre non è da escludere anche la possibilità che sia la stessa Malattia di Creutzfeldt-Jakob a far precipitare una malattia degenerativa come Alzheimer, o che qualcosa che le somiglia. In ogni caso da tempo gli scienziati stanno osservando analogie significative tra il morbo di Alzheimer e le malattie da prioni; e questi studi sono degli indizi in più che portano in quella direzione. Ad ogni modo a scanso di equivoci va, infine, ribadito che nel caso dello studio inglese la trasmissione della malattia in questione sarebbe avvenuta in un contesto molto specifico e particolare, e che per adesso, come già spiegato, non c'è alcuna evidenza che questa trasmissione sia possibile in circostanze normali.
A quanto pare c'è una possibilità che il morbo di Alzheimer possa rivelarsi contagioso e passare da persona a persona; o almeno questa è l'ipotesi proposta di recente sulla rivista Nature da alcuni ricercatori della University College London, guidati dal professor John Collinge, i quali hanno analizzato il cervello di 8 persone morte in età giovane, (tra i 36 ed i 51 anni), per una cosiddetta malattia da prioni sviluppata in seguito all'assunzione di alcune dosi infette di ormone della crescita, il quale in passato si otteneva dall'ipofisi, ovvero la ghiandola alla base del cervello. Quindi chiaramente non si tratta di una trasmissione che avviene attraverso il contatto diretto tra persone, (come un'influenza), ma di una possibile trasmissione attraverso rare procedure mediche. Difatti, come già anticipato, fino alla metà degli anni '80 i medici utilizzavano, appunto, queste ghiandole prelevandole dai cadaveri per ottenere abbastanza ormoni per una dose di farmaco. Tuttavia il problema è che alcuni di questi cadaveri erano contaminati da prioni, (proteine "infettive" che in modo ancora non ben chiaro inducono cambiamenti di forma anche nelle proteine normali e portano alla morte dei neuroni), e quindi circa il 6% dei bambini trattati all'epoca con l'ormone della crescita ha sviluppato nel corso della vita la Malattia di Creutzfeldt-Jakob, (diventata famosa per la cosiddetta nuova variante detta "morbo della mucca pazza"), la cui incubazione può durare anche 40 anni e che porta progressivamente alla demenza. Tuttavia allo stato attuale delle cose questo rischio non sussiste più dal momento che l'ormone della crescita si ottiene, quando e se necessario, grazie alla tecnica del cosiddetto DNA ricombinante; anche se si suppone che in altri pochi casi tali infezioni possano essere state provocate da contaminazioni avvenute durante procedure neurochirurgiche e trapianti di cornea. Ad ogni modo studiando i suddetti 8 soggetti morti per questa ragione, i ricercatori inglesi hanno trovato in 6 di loro non solo i previsti accumuli di prioni, ma anche alte concentrazioni di beta-amiloide, uno dei segni caratteristici dell'Alzheimer, nonostante nessuno di essi presentava fattori di rischio o alterazioni genetiche tali da giustificare l'ipotesi di un futuro sviluppo della malattia in questione. Insomma, i ricercatori suppongono che la spiegazione che a tali dati possa essere stata una trasmissione di proteine beta-amiloidi "mutate" dello stesso tipo di quella che ha causato la malattia da prioni. Comunque sia anche se, come già detto, la ricerca è stata pubblicata su Nature, l'approccio dell'editore è stato molto prudente, tanto che i revisori ne hanno consentito la pubblicazione solo dopo che gli autori nelle loro conclusioni hanno accettato di scrivere: «Non c'è alcuna evidenza che la malattia di Alzheimer sia contagiosa e che ci si possa ammalare con le trasfusioni o con strumenti chirurgici contaminati». Perciò per il momento tutto rimane così com'è, anche se lo studio inglese rimane comunque importante e la stessa ipotesi è stata fatta anche da un altro gruppo di ricerca: quello dello University of Texas Health Science Center di Houston. In pratica secondo gli scienziati americani, alcune forme sporadiche di Alzheimer insorgerebbero sulla base di meccanismi simili a quelli che caratterizzano l'encefalopatia spongiforme bovina e la sua variante umana, appunto, la Malattia di Creutzfeldt-Jakob. In sostanza si tratta di una la ricerca, pubblicata su Molecular Psychiatry, e che è stata diretta da Claudio Soto, il quale al riguardo ha commentato: "I nostri risultati aprono alla possibilità che alcune forme sporadiche di Alzheimer possano originarsi da un processo infettivo che si verifica in altre malattie neurologiche, come la mucca pazza". Per farla breve una proteina normale si altera dando vita a proteine malate che cominciano ad accumularsi nel cervello, formando depositi di placche che distruggono le cellule neuronali. Difatti durante quest'ultima ricerca gli scienziati texani hanno iniettato del tessuto cerebrale malato su alcune cavie da laboratorio, mettendo a confronto i risultati con quelli di altri animali a cui era stato iniettato tessuto cerebrale sano. I risultati di tale esperimento hanno mostrato che mentre nessuna cavia del gruppo di controllo ha sviluppato la malattia, quasi tutti gli altri animali hanno mostrato l'insorgenza di placche ed altre alterazioni che si verificano in caso di Alzheimer. In tal proposito lo stesso Claudio Soto ha spiegato: "Abbiamo preso un modello di topo che non sviluppa spontaneamente alcun danno cerebrale, iniettando poi una piccola quantità di tessuto cerebrale umano affetto da Alzheimer direttamente nel cervello degli animali. Così abbiamo visto che il topo si è ammalato e che l'Alzheimer si è diffuso ad altre parti del cervello. Attualmente stiamo lavorando per capire se la trasmissione della malattia può verificarsi anche negli esseri umani, attraverso vie di esposizione più "naturali"". Inoltre non è da escludere anche la possibilità che sia la stessa Malattia di Creutzfeldt-Jakob a far precipitare una malattia degenerativa come Alzheimer, o che qualcosa che le somiglia. In ogni caso da tempo gli scienziati stanno osservando analogie significative tra il morbo di Alzheimer e le malattie da prioni; e questi studi sono degli indizi in più che portano in quella direzione. Ad ogni modo a scanso di equivoci va, infine, ribadito che nel caso dello studio inglese la trasmissione della malattia in questione sarebbe avvenuta in un contesto molto specifico e particolare, e che per adesso, come già spiegato, non c'è alcuna evidenza che questa trasmissione sia possibile in circostanze normali.
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