A quanto pare gli ultimi mammut che 5.600 anni fa vivevano sull'isola di St. Paul, (in Alaska), si sarebbero estinti perché il livello del mare, innalzandosi, rese inaccessibili tutte le fonti d'acqua dolce. O almeno questa è la spiegazione a cui sono giunti di recente alcuni ricercatori, guidati da Matthew Wooler, dell'University of Alaska Fairbanks, che sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, (nota anche con la sigla PNAS), hanno pubblicato quella che viene considerata come la più completa ricostruzione di un'estinzione mai fatta finora. In pratica, analizzando gli strati dei sedimenti del lago che si trova, appunto, nell'isola di St. Paul, e ricostruendone l'origine con la tecnica della datazione basata sul carbonio 14, (conosciuta anche come Metodo del carbonio 14), gli studiosi hanno capito che l'intera isola, situata sul mare di Bering, ha vissuto una fase di siccità e calo della qualità dell'acqua proprio contemporaneamente alla scomparsa dei mammut: quest'ultimi come già anticipato, di fatto sono rimasti intrappolati sull'isola stessa quando le maree si è innalzarono, sommergendo il ponte di terra che c'era sul mare di Bering; anche se comunque sono sopravvissuti circa 5.000 anni in più rispetto ai loro simili, che rimasero isolati sul continente e si estinsero circa 12.000 anni fa a causa del cambiamento climatico e la scomparsa del loro habitat. Ad ogni modo raccogliendo i sedimenti dal cuore di uno dei pochi laghi d'acqua dolce rimasti sull'isola di St. Paul, i ricercatori statunitensi hanno misurato la quantità di ossigeno nei resti preistorici degli insetti acquatici conservati nei detriti prima, durante e dopo l'estinzione dei pachidermi preistorici. Tra l'altro anche i resti delle alghe diatomee e degli invertebrati acquatici rinvenuti nei sedimenti sono cambiati nel tempo, indicando un calo dei livelli del lago e della qualità dell'acqua, che hanno portato i mammut, appunto, all'estinzione. Per di più l'analisi dell'azoto presente nelle ossa e nei denti di questi animali ha mostrato progressive condizioni di siccità: secondo i ricercatori l'isola di St. Paul si è progressivamente ristretta alle sua attuali dimensioni di 110 chilometri quadrati a causa dell'innalzamento del mare, che ha ridotto la possibilità per gli animali di accedere all'acqua dolce. Al riguardo lo stesso Matthew Wooler ha, infine, concluso affermando: ''Gli attuali cambiamenti climatici potrebbero far cambiare le condizioni ancora più rapidamente di quelle che si verificarono nella preistoria in quest'isola dell'Alaska''.
A quanto pare gli ultimi mammut che 5.600 anni fa vivevano sull'isola di St. Paul, (in Alaska), si sarebbero estinti perché il livello del mare, innalzandosi, rese inaccessibili tutte le fonti d'acqua dolce. O almeno questa è la spiegazione a cui sono giunti di recente alcuni ricercatori, guidati da Matthew Wooler, dell'University of Alaska Fairbanks, che sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, (nota anche con la sigla PNAS), hanno pubblicato quella che viene considerata come la più completa ricostruzione di un'estinzione mai fatta finora. In pratica, analizzando gli strati dei sedimenti del lago che si trova, appunto, nell'isola di St. Paul, e ricostruendone l'origine con la tecnica della datazione basata sul carbonio 14, (conosciuta anche come Metodo del carbonio 14), gli studiosi hanno capito che l'intera isola, situata sul mare di Bering, ha vissuto una fase di siccità e calo della qualità dell'acqua proprio contemporaneamente alla scomparsa dei mammut: quest'ultimi come già anticipato, di fatto sono rimasti intrappolati sull'isola stessa quando le maree si è innalzarono, sommergendo il ponte di terra che c'era sul mare di Bering; anche se comunque sono sopravvissuti circa 5.000 anni in più rispetto ai loro simili, che rimasero isolati sul continente e si estinsero circa 12.000 anni fa a causa del cambiamento climatico e la scomparsa del loro habitat. Ad ogni modo raccogliendo i sedimenti dal cuore di uno dei pochi laghi d'acqua dolce rimasti sull'isola di St. Paul, i ricercatori statunitensi hanno misurato la quantità di ossigeno nei resti preistorici degli insetti acquatici conservati nei detriti prima, durante e dopo l'estinzione dei pachidermi preistorici. Tra l'altro anche i resti delle alghe diatomee e degli invertebrati acquatici rinvenuti nei sedimenti sono cambiati nel tempo, indicando un calo dei livelli del lago e della qualità dell'acqua, che hanno portato i mammut, appunto, all'estinzione. Per di più l'analisi dell'azoto presente nelle ossa e nei denti di questi animali ha mostrato progressive condizioni di siccità: secondo i ricercatori l'isola di St. Paul si è progressivamente ristretta alle sua attuali dimensioni di 110 chilometri quadrati a causa dell'innalzamento del mare, che ha ridotto la possibilità per gli animali di accedere all'acqua dolce. Al riguardo lo stesso Matthew Wooler ha, infine, concluso affermando: ''Gli attuali cambiamenti climatici potrebbero far cambiare le condizioni ancora più rapidamente di quelle che si verificarono nella preistoria in quest'isola dell'Alaska''.
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