A quanto pare in un futuro non troppo lontano la luce potrebbe essere utilizzata per "spegnere" il dolore; o almeno questo è quanto hanno fatto sapere alcuni ricercatori dell'European Molecular Biology Laboratory, (noto anche con la sigla EMBL), guidati da Paul Heppenstall, i quali hanno pubblicato uno studio sulla rivista Nature Communications in cui hanno spiegato di aver messo a punto una tecnica che utilizza, appunto, la luce ed agisce sulle cellule nervose della pelle sensibili alle carezze, vale a dire le stesse che si attivano in chi soffre di dolore cronico. In pratica una volta trattate queste cellule con una specifica sostanza chimica, è sufficiente esporle ad una fonte luminosa per spegnere il dolore: gli scienziati hanno, infatti, sintetizzato un complesso chimico sensibile alla luce infrarossa e durante i loro esperimenti hanno osservato che bastava illuminare la pelle di alcuni topi trattati con questa sostanza per avere un effetto benefico che durava per 3 settimane. Al riguardo lo stesso Paul Heppenstall ha affermato: "Le fibre sensoriali del dolore cronico si trovano sulla pelle. Se esposte alla luce, si ritraggono dalla superficie, portando un sollievo duraturo. Pensiamo che non ci sia una sola molecola responsabile, ce ne sono molte. Si potrebbe riuscire a bloccare uno o due, ma alla fine altre potrebbero assumere la stessa funzione. Con il nostro nuovo metodo di illuminazione evitiamo del tutto questo problema". Mentre Linda Nocchi, una delle ricercatrici coinvolte nello studio in questione ha spiegato: "In condizioni patologiche lo stimolo che normalmente è percepito come una carezza può provocare dolore. Anche indossare una maglietta per chi soffre di dolore cronico può rappresentare un problema. Il nostro studio ha dimostrato per la prima volta che le fibre nervose coinvolte nei due processi sono le stesse. Grazie a questa tecnica abbiamo, però, osservato che è possibile "tagliare i rami" a queste fibre nervose, che dopo l'esposizione alla luce ritirano le proprie antenne. In questo modo lo stimolo doloroso superficiale non viene percepito per un periodo di 3 settimane". Comunque sia al momento questa tecnica, (per la quale è in corso la richiesta di brevetto), è stata sperimentata con efficacia solo sui topi: il passo successivo sarà quello di effettuare i primi dei test sull'uomo per verificare se i risultati saranno altrettanto efficaci e se in futuro questa tecnica potrà essere usata per trattare tutte quelle persone che soffrono di dolore cronico. A tal proposito la stessa Linda Nocchi ha proseguito dichiarando: "Per il momento non esiste una terapia efficace contro il dolore cronicoche sia priva di effetti collaterali". Invece Paul Heppenstall ha, infine, concluso spiegando: "Il nostro obiettivo finale è quello di risolvere il problema del dolore sia negli esseri umani che negli animali. Naturalmente è necessario molto lavoro prima di poter fare uno studio simile nelle persone con dolore neuropatico. Ecco perché ora stiamo cercando attivamente partner e siamo aperti a nuove collaborazioni per sviluppare ulteriormente questo metodo, con la speranza di usarlo un giorno in clinica".
A quanto pare in un futuro non troppo lontano la luce potrebbe essere utilizzata per "spegnere" il dolore; o almeno questo è quanto hanno fatto sapere alcuni ricercatori dell'European Molecular Biology Laboratory, (noto anche con la sigla EMBL), guidati da Paul Heppenstall, i quali hanno pubblicato uno studio sulla rivista Nature Communications in cui hanno spiegato di aver messo a punto una tecnica che utilizza, appunto, la luce ed agisce sulle cellule nervose della pelle sensibili alle carezze, vale a dire le stesse che si attivano in chi soffre di dolore cronico. In pratica una volta trattate queste cellule con una specifica sostanza chimica, è sufficiente esporle ad una fonte luminosa per spegnere il dolore: gli scienziati hanno, infatti, sintetizzato un complesso chimico sensibile alla luce infrarossa e durante i loro esperimenti hanno osservato che bastava illuminare la pelle di alcuni topi trattati con questa sostanza per avere un effetto benefico che durava per 3 settimane. Al riguardo lo stesso Paul Heppenstall ha affermato: "Le fibre sensoriali del dolore cronico si trovano sulla pelle. Se esposte alla luce, si ritraggono dalla superficie, portando un sollievo duraturo. Pensiamo che non ci sia una sola molecola responsabile, ce ne sono molte. Si potrebbe riuscire a bloccare uno o due, ma alla fine altre potrebbero assumere la stessa funzione. Con il nostro nuovo metodo di illuminazione evitiamo del tutto questo problema". Mentre Linda Nocchi, una delle ricercatrici coinvolte nello studio in questione ha spiegato: "In condizioni patologiche lo stimolo che normalmente è percepito come una carezza può provocare dolore. Anche indossare una maglietta per chi soffre di dolore cronico può rappresentare un problema. Il nostro studio ha dimostrato per la prima volta che le fibre nervose coinvolte nei due processi sono le stesse. Grazie a questa tecnica abbiamo, però, osservato che è possibile "tagliare i rami" a queste fibre nervose, che dopo l'esposizione alla luce ritirano le proprie antenne. In questo modo lo stimolo doloroso superficiale non viene percepito per un periodo di 3 settimane". Comunque sia al momento questa tecnica, (per la quale è in corso la richiesta di brevetto), è stata sperimentata con efficacia solo sui topi: il passo successivo sarà quello di effettuare i primi dei test sull'uomo per verificare se i risultati saranno altrettanto efficaci e se in futuro questa tecnica potrà essere usata per trattare tutte quelle persone che soffrono di dolore cronico. A tal proposito la stessa Linda Nocchi ha proseguito dichiarando: "Per il momento non esiste una terapia efficace contro il dolore cronicoche sia priva di effetti collaterali". Invece Paul Heppenstall ha, infine, concluso spiegando: "Il nostro obiettivo finale è quello di risolvere il problema del dolore sia negli esseri umani che negli animali. Naturalmente è necessario molto lavoro prima di poter fare uno studio simile nelle persone con dolore neuropatico. Ecco perché ora stiamo cercando attivamente partner e siamo aperti a nuove collaborazioni per sviluppare ulteriormente questo metodo, con la speranza di usarlo un giorno in clinica".
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