Come dimostrato nel corso degli anni dalla comunità scientifica, la necessità di fare un pisolino eccessivo durante il giorno può svilupparsi molto prima che inizino a manifestarsi i tipici problemi di memoria associati all'Alzheimer: precedenti studi hanno, infatti, considerato questo pisolino diurno eccessivo come la compensazione per il sonno notturno scadente causato da interruzioni correlate alla malattia in questione nelle regioni cerebrali che promuovono il sonno; mentre altri hanno sostenuto che i problemi del sonno stessi contribuiscono alla progressione della malattia. Tuttavia di recente alcuni ricercatori della Università della California, San Francisco, attraverso uno studio pubblicato sulla rivista Alzheimer & Dementia hanno fornito una sorprendente nuova spiegazione biologica per questo fenomeno, mostrando invece che la malattia di Alzheimer attacca direttamente le regioni cerebrali responsabili della veglia durante il giorno. In pratica gli scienziati sono riusciti a dimostrare che queste regioni del cervello, (compresa la parte del cervello colpita dalla narcolessia), sono tra le prime "vittime" della neurodegenerazione caratteristica della patologia e quindi che un eccessivo sonnellino diurno, (in particolar modo quando si verifica in assenza di significativi problemi del sonno notturno), potrebbe fungere da campanello di allarme precoce. Inoltre, associando questo danno alla famosa proteina Tau, gli studiosi hanno osservato che quest'ultima contribuisce più direttamente alla degenerazione cerebrale che guida i sintomi dell'Alzheimer rispetto alla proteina betamiloide, (più ampiamente studiata). Al riguardo Lea T. Grinberg, una delle principali autrici della ricerca, ha affermato: "Il nostro lavoro mostra prove definitive che le aree del cervello che promuovono la veglia degenerano a causa dell'accumulo di Tau, (e non delle proteine amiloidi), fin dalle prime fasi della malattia". In pratica per arrivare a tale conclusione i ricercatori hanno studiato con precisione la malattia di Alzheimer, misurando i livelli di proteine Tau ed il numero di neuroni in 3 regioni cerebrali coinvolte nella promozione della veglia di 13 pazienti deceduti che ne erano affetti e di 7 soggetti sani, (come gruppo di controllo), i cui dati erano conservati nella UCSF Neurodegenerative Disease Brain Bank. Così facendo hanno visto che rispetto al cervello sano, quello dei pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer aveva un significativo accumulo di Tau in tutti e tre i centri cerebrali presi in esame: il locus coeruleus, (noto anche con la sigla LC), l'area ipotalamica laterale, (conosciuta pure come LHA), ed il nucleo tuberomammillare, (noto anche con la sigla TMN), le quali avevano perso fino al 75% dei loro neuroni. In merito a ciò Jun Oh, altro principale autore del suddetto studio, ha dichiarato: "È straordinario perché non è solo un singolo nucleo cerebrale che sta degenerando, ma l'intera rete di promozione della veglia. Fondamentalmente questo significa che il cervello non ha modo di compensare perché tutti questi tipi di cellule funzionalmente correlate vengono distrutte allo stesso tempo". Inoltre gli scienziati hanno anche studiato campioni di cervello di 7 pazienti affetti da paralisi sopranucleare progressiva, (nota anche con la sigla PSP), e dalla degenerazione cortico-basale, (o CBD), vale a dire forme distinte di demenza neurodegenerativa causate proprio dall'accumulo di proteina Tau. Tuttavia, a differenza dei cervelli colpiti dall'Alzheimer, i neuroni che promuovono la veglia sono stati risparmiati nei cervelli con PSP e CBD, nonostante livelli comparabili di accumulo della suddetta proteina. A tal proposito lo stesso Jun Oh ha proseguito commentando: "Sembra che la rete di promozione della veglia sia particolarmente vulnerabile nella malattia di Alzheimer. Capire perché questo è il caso cercare di risolvere con le future ricerche". Ad ogni modo i risultati di questo nuovo studio sono in linea con uno precedente che aveva dimostrato come le persone che sono morte con livelli elevati di proteina Tau nel loro cervello, (corrispondenti alle prime fasi della patologia in questione), avevano già iniziato a sperimentare cambiamenti dell'umore, (come come ansia e depressione), nonché aumento dei disturbi del sonno. Al riguardo la stessa Lea Grinberg ha continuato dicendo: "Le nostre nuove prove per la degenerazione legata alla Tau dei centri di veglia cerebrale forniscono una convincente spiegazione neurobiologica per questi risultati. Il che suggerisce che dobbiamo essere molto più concentrati sulla comprensione delle prime fasi dell'accumulo di Tau in queste aree del cervello nella nostra continua ricerca di trattamenti per l'Alzheimer". In ogni caso entrambi i suddetti studi vano ad avvalorare l'ipotesi secondo cui l'accumulo di Tau è più strettamente legato ai sintomi reali del morbo di Alzheimer rispetto alle proteine amiloidi, le quali finora non sono riuscite a produrre terapie abbastanza efficaci. Non a caso, ad esempio, un altra precedente ricerca aveva misurato l'accumulo di Tau nel cervello dei pazienti deceduti con diverse manifestazioni cliniche del morbo di Alzheimer, (comprese le varianti che comportavano la compromissione della lingua o alcuni problemi visivi invece di una perdita di memoria più tipica), ed aveva scoperto che le differenze nel carico di Tau locale nel cervello di questi pazienti corrispondevano strettamente ai loro sintomi: i pazienti con compromissione della lingua avevano più accumulo di Tau nelle aree cerebrali correlate, appunto, alla lingua rispetto alle regioni della memoria; mentre i pazienti con problemi visivi avevano livelli di Tau più elevati proprio nelle aree cerebrali visive. Comunque sia a tal proposito Lea Grinberg ha, infine, concluso spiegando: "Questa ricerca si aggiunge ad un corpus crescente di lavori che dimostrano che il carico di Tau è probabilmente un motore diretto del declino cognitivo. Una maggiore attenzione al ruolo della Tau nell'Alzheimer suggerisce che i trattamenti attualmente in sviluppo che affrontano direttamente la patologia Tau hanno il potenziale per migliorare il sonno e gli altri primi sintomi della malattia di Alzheimer, oltre a fornire una chiave per rallentare il progresso complessivo della malattia".
Come dimostrato nel corso degli anni dalla comunità scientifica, la necessità di fare un pisolino eccessivo durante il giorno può svilupparsi molto prima che inizino a manifestarsi i tipici problemi di memoria associati all'Alzheimer: precedenti studi hanno, infatti, considerato questo pisolino diurno eccessivo come la compensazione per il sonno notturno scadente causato da interruzioni correlate alla malattia in questione nelle regioni cerebrali che promuovono il sonno; mentre altri hanno sostenuto che i problemi del sonno stessi contribuiscono alla progressione della malattia. Tuttavia di recente alcuni ricercatori della Università della California, San Francisco, attraverso uno studio pubblicato sulla rivista Alzheimer & Dementia hanno fornito una sorprendente nuova spiegazione biologica per questo fenomeno, mostrando invece che la malattia di Alzheimer attacca direttamente le regioni cerebrali responsabili della veglia durante il giorno. In pratica gli scienziati sono riusciti a dimostrare che queste regioni del cervello, (compresa la parte del cervello colpita dalla narcolessia), sono tra le prime "vittime" della neurodegenerazione caratteristica della patologia e quindi che un eccessivo sonnellino diurno, (in particolar modo quando si verifica in assenza di significativi problemi del sonno notturno), potrebbe fungere da campanello di allarme precoce. Inoltre, associando questo danno alla famosa proteina Tau, gli studiosi hanno osservato che quest'ultima contribuisce più direttamente alla degenerazione cerebrale che guida i sintomi dell'Alzheimer rispetto alla proteina betamiloide, (più ampiamente studiata). Al riguardo Lea T. Grinberg, una delle principali autrici della ricerca, ha affermato: "Il nostro lavoro mostra prove definitive che le aree del cervello che promuovono la veglia degenerano a causa dell'accumulo di Tau, (e non delle proteine amiloidi), fin dalle prime fasi della malattia". In pratica per arrivare a tale conclusione i ricercatori hanno studiato con precisione la malattia di Alzheimer, misurando i livelli di proteine Tau ed il numero di neuroni in 3 regioni cerebrali coinvolte nella promozione della veglia di 13 pazienti deceduti che ne erano affetti e di 7 soggetti sani, (come gruppo di controllo), i cui dati erano conservati nella UCSF Neurodegenerative Disease Brain Bank. Così facendo hanno visto che rispetto al cervello sano, quello dei pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer aveva un significativo accumulo di Tau in tutti e tre i centri cerebrali presi in esame: il locus coeruleus, (noto anche con la sigla LC), l'area ipotalamica laterale, (conosciuta pure come LHA), ed il nucleo tuberomammillare, (noto anche con la sigla TMN), le quali avevano perso fino al 75% dei loro neuroni. In merito a ciò Jun Oh, altro principale autore del suddetto studio, ha dichiarato: "È straordinario perché non è solo un singolo nucleo cerebrale che sta degenerando, ma l'intera rete di promozione della veglia. Fondamentalmente questo significa che il cervello non ha modo di compensare perché tutti questi tipi di cellule funzionalmente correlate vengono distrutte allo stesso tempo". Inoltre gli scienziati hanno anche studiato campioni di cervello di 7 pazienti affetti da paralisi sopranucleare progressiva, (nota anche con la sigla PSP), e dalla degenerazione cortico-basale, (o CBD), vale a dire forme distinte di demenza neurodegenerativa causate proprio dall'accumulo di proteina Tau. Tuttavia, a differenza dei cervelli colpiti dall'Alzheimer, i neuroni che promuovono la veglia sono stati risparmiati nei cervelli con PSP e CBD, nonostante livelli comparabili di accumulo della suddetta proteina. A tal proposito lo stesso Jun Oh ha proseguito commentando: "Sembra che la rete di promozione della veglia sia particolarmente vulnerabile nella malattia di Alzheimer. Capire perché questo è il caso cercare di risolvere con le future ricerche". Ad ogni modo i risultati di questo nuovo studio sono in linea con uno precedente che aveva dimostrato come le persone che sono morte con livelli elevati di proteina Tau nel loro cervello, (corrispondenti alle prime fasi della patologia in questione), avevano già iniziato a sperimentare cambiamenti dell'umore, (come come ansia e depressione), nonché aumento dei disturbi del sonno. Al riguardo la stessa Lea Grinberg ha continuato dicendo: "Le nostre nuove prove per la degenerazione legata alla Tau dei centri di veglia cerebrale forniscono una convincente spiegazione neurobiologica per questi risultati. Il che suggerisce che dobbiamo essere molto più concentrati sulla comprensione delle prime fasi dell'accumulo di Tau in queste aree del cervello nella nostra continua ricerca di trattamenti per l'Alzheimer". In ogni caso entrambi i suddetti studi vano ad avvalorare l'ipotesi secondo cui l'accumulo di Tau è più strettamente legato ai sintomi reali del morbo di Alzheimer rispetto alle proteine amiloidi, le quali finora non sono riuscite a produrre terapie abbastanza efficaci. Non a caso, ad esempio, un altra precedente ricerca aveva misurato l'accumulo di Tau nel cervello dei pazienti deceduti con diverse manifestazioni cliniche del morbo di Alzheimer, (comprese le varianti che comportavano la compromissione della lingua o alcuni problemi visivi invece di una perdita di memoria più tipica), ed aveva scoperto che le differenze nel carico di Tau locale nel cervello di questi pazienti corrispondevano strettamente ai loro sintomi: i pazienti con compromissione della lingua avevano più accumulo di Tau nelle aree cerebrali correlate, appunto, alla lingua rispetto alle regioni della memoria; mentre i pazienti con problemi visivi avevano livelli di Tau più elevati proprio nelle aree cerebrali visive. Comunque sia a tal proposito Lea Grinberg ha, infine, concluso spiegando: "Questa ricerca si aggiunge ad un corpus crescente di lavori che dimostrano che il carico di Tau è probabilmente un motore diretto del declino cognitivo. Una maggiore attenzione al ruolo della Tau nell'Alzheimer suggerisce che i trattamenti attualmente in sviluppo che affrontano direttamente la patologia Tau hanno il potenziale per migliorare il sonno e gli altri primi sintomi della malattia di Alzheimer, oltre a fornire una chiave per rallentare il progresso complessivo della malattia".
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