A quanto pare a breve, (più precisamente nel mese di Ottobre), sarà disponibile anche in Italia il Nalmefene, vale a dire il primo ed unico farmaco autorizzato dedicato alla riduzione del consumo di alcool in pazienti affetti alcoldipendenza ad elevato rischio. E dunque adesso da un approccio interamente basato sull'astensione completa dal consumo di alcool, (obiettivo terapeutico non realistico per molti pazienti e barriera all'inizio ed al mantenimento del trattamento nell'alcoldipendenza), si passerà ad una nuova strategia basata sulla riduzione del consumo, (obiettivo più realistico e più accettabile, in quanto si tratta di uno step intermedio verso la completa astensione, nonché approccio che può motivare un numero maggiore di pazienti ad avviare il trattamento e proseguirlo). Al riguardo il professor Luigi Janiri, professore di psichiatria presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, (nota anche con la sigla UCSC), ha spiegato: "Il Nalmefene rivoluziona l'approccio terapeutico all'alcoldipendenza, offrendo il vantaggio di proporre al paziente un obiettivo di trattamento intermedio più realistico e quindi più accettato, in cui la riduzione del consumo può costituire uno step intermedio per preparare i pazienti alla completa astensione, oltre che essere associato ad una riduzione della morbilità e mortalità alcol correlate". Inoltre in Italia si stimano circa 1 milione di alcoldipendenti e, di questi, secondo i dati del Ministero della Salute, solo 58.000 circa si rivolgono ai servizi deputati alla cura e riabilitazione dell'alcoldipendenza. Il che rappresenta un divario ampio che va a confermare i dati europei in cui abuso e dipendenza da alcool risultano essere il disturbo meno trattato se confrontato con altre patologie mentali, come il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico, la depressione maggiore, la schizofrenia ed il disturbo ossessivo-compulsivo. In tal proposito Emanuele Scafato, presidente della Società Italiana di Alcologia, (conosciuta anche con la sigla SIA), ha dichiarato: "Gli elementi che possono non consentire ad un alcoldipendente di richiedere e ricevere un trattamento sono tanti. Il principale ostacolo è rappresentato dall'incapacità della persona di ammettere di aver bisogno di aiuto o di riconoscere la sua condizione come rischiosa o dannosa. Tuttavia è dimostrato dal progetto europeo AMPHORA che in Italia esiste un distacco di formazione sanitaria e professionale, e di preparazione specifica nell'affrontare un problema alcool correlato, che conduce alla difficoltà di intercettare il paziente in un contesto di assistenza primaria. Infine, rispetto all'offerta terapeutica, appare indispensabile l'esigenza di "ingaggiare" la persona in programmi capaci di coinvolgerla in un progetto, un percorso mirato a far ripercorrere a tappe, a ritroso e gradualmente, il continuum del consumo a rischio legato all'assunzione persistente di quantità crescenti nel tempo di alcool: l'obiettivo potrebbe in tal senso concretizzarsi in un accompagnamento guidato e supportato di forme di trattamento farmacologico combinate indispensabilmente al supporto motivazionale al cambiamento che la persona persegue ripercorrendo a ritroso il rischio, dall'alcoldipendenza all'astensione totale". Ad ogni modo il nuovo trattamento offerto dal Nalmefene punta ad incrementare l'offerta di alternative terapeutiche disponibili ed a rispondere all'esigenza dei medici e dei pazienti di definire obiettivi più realistici per coloro che si mostrano riluttanti nell'avviare un percorso di cura a lungo termine, basato esclusivamente sull'adozione immediata della completa astensione dal bere. Per di più si tratta di un alternativa che potrebbe rappresentare un valore aggiunto per molti casi selezionati, basandosi sulle più recenti evidenze scientifiche fornite dalla ricerca in questo settore. Infatti il Nalmefene viene indicato per pazienti adulti affetti da dipendenza da alcool con livelli di consumo ad elevato rischio, (il che significa un consumo superiore ai 60 grammi al giorno per gli uomini, e superiore ai 40 grammi al giorno per le donne), senza sintomi fisici da sospensione e che non richiedono interventi immediati di disintossicazione. Oltretutto deve essere prescritto solo congiuntamente ad un supporto psicosociale continuativo, mirato all'aderenza al trattamento, (che deve essere iniziato solo in pazienti che continuano ad avere un livello di consumo ad elevato rischio due settimane dopo la valutazione iniziale, e deve essere assunto «secondo necessità»), ed alla riduzione del consumo di alcool. Al riguardo Luigi Janiri ha proseguito sottolineando: "La possibilità di modulare il trattamento sulla base delle necessità del paziente grazie alla posologia «secondo necessità» rappresenta un ulteriore elemento a vantaggio del nuovo approccio offerto dal Nalmefene. La posologia secondo necessità contribuisce, inoltre, ad una maggiore coscienza ed alla responsabilizzazione del paziente verso il suo consumo di alcool. Senza calcolare che è una posologia che permette di non esporre il paziente ad un farmaco se non quando è necessario. Offrendo un nuovo approccio, il Nalmefene ha il potenziale per rispondere ad un bisogno insoddisfatto nella gestione della dipendenza da alcool". In pratica questo nuovo farmaco è stato studiato in un programma di tre studi clinici multicentrici, randomizzati, in doppio cieco e placebo-controllati, che ha coinvolto circa 2.000 pazienti con diagnosi di alcoldipendenza, secondo i criteri del DSM-IV. In sostanza i primi due studi, (denominati ESENSE 1 ed ESENSE 2), entrambi della durata di 6 mesi, hanno valutato l'effetto del Nalmefene sul consumo di alcool in base al numero mensile di Heavy Drinking Days, (noto anche con la sigla HDD), ed al Consumo Totale di Alcool, (conosciuto anche con la sigla TAC). Mentre il terzo studio, (denominato SENSE), della durata di un anno, ha valutato la sicurezza e la tollerabilità del Nalmefene ed anche l'effetto sul consumo di alcool. In aggiunta al trattamento farmacologico, tutti i pazienti inclusi nei tre trial hanno ricevuto un supporto psicosociale. In tal proposito Luigi Janiri ha proseguito spiegando: "Negli studi ESENSE 1 e 2 i pazienti con un livello di rischio almeno alto trattati con il Nalmefene hanno ridotto in media il loro consumo totale di alcool di più del 40% durante il primo mese e di circa il 60% dopo 6 mesi di trattamento. Se consideriamo il numero di HDD, questo si è ridotto nei pazienti in trattamento con il Nalmefene sin dal primo mese, raggiungendo una riduzione di circa il 55% dopo 6 mesi. Ma comunque in tutti i pazienti trattati con il Nalmefene, il consumo di alcool si è ridotto sempre in modo significativo rispetto ai pazienti trattati con placebo. Inoltre il Nalmefene è stato studiato anche per un periodo più lungo ovvero un anno durante lo studio SENSE. Anche in questo trial il farmaco ha confermato la sua efficacia nei pazienti con consumo alquanto alto, registrando alla fine dello studio una riduzione del consumo totale di alcool pari a circa il 67%". Quindi la riduzione del consumo di alcool nei pazienti trattati con il Nalmefene si è tradotta in una maggiore diminuzione degli enzimi epatici GGT ed ALAT rispetto a quelli trattati con il placebo, il che va ad indicare un minor rischio di danno epatico. Al riguardo Emanuele Scafato ha, infine, dichiarato: "Favorire ed ampliare l'offerta di trattamento, privilegiando quella valutata più efficace al caso specifico, intercettando precocemente il rischio alcool correlato da un lato ed intervenendo con i trattamenti ritenuti più idonei è dimostrato possa condurre a ripercussioni rilevanti in termini di salute pubblica, sia sulla mortalità che sui costi sanitari, con ricadute positive sul sistema complessivo di prevenzione e di cura che è, (e resta), della persona a rischio; categoria in cui sono da ricomprendere non solo gli alcoldipendenti in atto, ma soprattutto la massa critica di consumatori ad alto rischio: i cosiddetti "heavy drinkers", che consumano più di 40 e più di 60 grammi di alcool al giorno, rispettivamente femmine e maschi, che in Italia, secondo i dati più recenti, assommano ad oltre 800.000 individui. Contrariamente a quanto si possa pensare, e come da anni evidenziato dalla Società Italiana di Alcologia, l'impatto socio-economico è prevalente su quello del danno alla salute; basti pensare alla perdita del lavoro, della scarsa produttività alle giornate di malattia. Intervenire in maniera integrata, con politiche ed iniziative di formazione professionale mirate ad incrementare la cultura dello screening basato sugli standard internazionali d'intercettazione precoce, (questionario AUDIT), di integrazione nella pratica quotidiana di valutazione del rischio alcool correlato e di valutazione di efficacia del trattamento, (oggi inesistente), comporterebbe un vero salto di qualità dell'assistenza ed il massimo vantaggio al minimo costo".
A quanto pare a breve, (più precisamente nel mese di Ottobre), sarà disponibile anche in Italia il Nalmefene, vale a dire il primo ed unico farmaco autorizzato dedicato alla riduzione del consumo di alcool in pazienti affetti alcoldipendenza ad elevato rischio. E dunque adesso da un approccio interamente basato sull'astensione completa dal consumo di alcool, (obiettivo terapeutico non realistico per molti pazienti e barriera all'inizio ed al mantenimento del trattamento nell'alcoldipendenza), si passerà ad una nuova strategia basata sulla riduzione del consumo, (obiettivo più realistico e più accettabile, in quanto si tratta di uno step intermedio verso la completa astensione, nonché approccio che può motivare un numero maggiore di pazienti ad avviare il trattamento e proseguirlo). Al riguardo il professor Luigi Janiri, professore di psichiatria presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, (nota anche con la sigla UCSC), ha spiegato: "Il Nalmefene rivoluziona l'approccio terapeutico all'alcoldipendenza, offrendo il vantaggio di proporre al paziente un obiettivo di trattamento intermedio più realistico e quindi più accettato, in cui la riduzione del consumo può costituire uno step intermedio per preparare i pazienti alla completa astensione, oltre che essere associato ad una riduzione della morbilità e mortalità alcol correlate". Inoltre in Italia si stimano circa 1 milione di alcoldipendenti e, di questi, secondo i dati del Ministero della Salute, solo 58.000 circa si rivolgono ai servizi deputati alla cura e riabilitazione dell'alcoldipendenza. Il che rappresenta un divario ampio che va a confermare i dati europei in cui abuso e dipendenza da alcool risultano essere il disturbo meno trattato se confrontato con altre patologie mentali, come il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico, la depressione maggiore, la schizofrenia ed il disturbo ossessivo-compulsivo. In tal proposito Emanuele Scafato, presidente della Società Italiana di Alcologia, (conosciuta anche con la sigla SIA), ha dichiarato: "Gli elementi che possono non consentire ad un alcoldipendente di richiedere e ricevere un trattamento sono tanti. Il principale ostacolo è rappresentato dall'incapacità della persona di ammettere di aver bisogno di aiuto o di riconoscere la sua condizione come rischiosa o dannosa. Tuttavia è dimostrato dal progetto europeo AMPHORA che in Italia esiste un distacco di formazione sanitaria e professionale, e di preparazione specifica nell'affrontare un problema alcool correlato, che conduce alla difficoltà di intercettare il paziente in un contesto di assistenza primaria. Infine, rispetto all'offerta terapeutica, appare indispensabile l'esigenza di "ingaggiare" la persona in programmi capaci di coinvolgerla in un progetto, un percorso mirato a far ripercorrere a tappe, a ritroso e gradualmente, il continuum del consumo a rischio legato all'assunzione persistente di quantità crescenti nel tempo di alcool: l'obiettivo potrebbe in tal senso concretizzarsi in un accompagnamento guidato e supportato di forme di trattamento farmacologico combinate indispensabilmente al supporto motivazionale al cambiamento che la persona persegue ripercorrendo a ritroso il rischio, dall'alcoldipendenza all'astensione totale". Ad ogni modo il nuovo trattamento offerto dal Nalmefene punta ad incrementare l'offerta di alternative terapeutiche disponibili ed a rispondere all'esigenza dei medici e dei pazienti di definire obiettivi più realistici per coloro che si mostrano riluttanti nell'avviare un percorso di cura a lungo termine, basato esclusivamente sull'adozione immediata della completa astensione dal bere. Per di più si tratta di un alternativa che potrebbe rappresentare un valore aggiunto per molti casi selezionati, basandosi sulle più recenti evidenze scientifiche fornite dalla ricerca in questo settore. Infatti il Nalmefene viene indicato per pazienti adulti affetti da dipendenza da alcool con livelli di consumo ad elevato rischio, (il che significa un consumo superiore ai 60 grammi al giorno per gli uomini, e superiore ai 40 grammi al giorno per le donne), senza sintomi fisici da sospensione e che non richiedono interventi immediati di disintossicazione. Oltretutto deve essere prescritto solo congiuntamente ad un supporto psicosociale continuativo, mirato all'aderenza al trattamento, (che deve essere iniziato solo in pazienti che continuano ad avere un livello di consumo ad elevato rischio due settimane dopo la valutazione iniziale, e deve essere assunto «secondo necessità»), ed alla riduzione del consumo di alcool. Al riguardo Luigi Janiri ha proseguito sottolineando: "La possibilità di modulare il trattamento sulla base delle necessità del paziente grazie alla posologia «secondo necessità» rappresenta un ulteriore elemento a vantaggio del nuovo approccio offerto dal Nalmefene. La posologia secondo necessità contribuisce, inoltre, ad una maggiore coscienza ed alla responsabilizzazione del paziente verso il suo consumo di alcool. Senza calcolare che è una posologia che permette di non esporre il paziente ad un farmaco se non quando è necessario. Offrendo un nuovo approccio, il Nalmefene ha il potenziale per rispondere ad un bisogno insoddisfatto nella gestione della dipendenza da alcool". In pratica questo nuovo farmaco è stato studiato in un programma di tre studi clinici multicentrici, randomizzati, in doppio cieco e placebo-controllati, che ha coinvolto circa 2.000 pazienti con diagnosi di alcoldipendenza, secondo i criteri del DSM-IV. In sostanza i primi due studi, (denominati ESENSE 1 ed ESENSE 2), entrambi della durata di 6 mesi, hanno valutato l'effetto del Nalmefene sul consumo di alcool in base al numero mensile di Heavy Drinking Days, (noto anche con la sigla HDD), ed al Consumo Totale di Alcool, (conosciuto anche con la sigla TAC). Mentre il terzo studio, (denominato SENSE), della durata di un anno, ha valutato la sicurezza e la tollerabilità del Nalmefene ed anche l'effetto sul consumo di alcool. In aggiunta al trattamento farmacologico, tutti i pazienti inclusi nei tre trial hanno ricevuto un supporto psicosociale. In tal proposito Luigi Janiri ha proseguito spiegando: "Negli studi ESENSE 1 e 2 i pazienti con un livello di rischio almeno alto trattati con il Nalmefene hanno ridotto in media il loro consumo totale di alcool di più del 40% durante il primo mese e di circa il 60% dopo 6 mesi di trattamento. Se consideriamo il numero di HDD, questo si è ridotto nei pazienti in trattamento con il Nalmefene sin dal primo mese, raggiungendo una riduzione di circa il 55% dopo 6 mesi. Ma comunque in tutti i pazienti trattati con il Nalmefene, il consumo di alcool si è ridotto sempre in modo significativo rispetto ai pazienti trattati con placebo. Inoltre il Nalmefene è stato studiato anche per un periodo più lungo ovvero un anno durante lo studio SENSE. Anche in questo trial il farmaco ha confermato la sua efficacia nei pazienti con consumo alquanto alto, registrando alla fine dello studio una riduzione del consumo totale di alcool pari a circa il 67%". Quindi la riduzione del consumo di alcool nei pazienti trattati con il Nalmefene si è tradotta in una maggiore diminuzione degli enzimi epatici GGT ed ALAT rispetto a quelli trattati con il placebo, il che va ad indicare un minor rischio di danno epatico. Al riguardo Emanuele Scafato ha, infine, dichiarato: "Favorire ed ampliare l'offerta di trattamento, privilegiando quella valutata più efficace al caso specifico, intercettando precocemente il rischio alcool correlato da un lato ed intervenendo con i trattamenti ritenuti più idonei è dimostrato possa condurre a ripercussioni rilevanti in termini di salute pubblica, sia sulla mortalità che sui costi sanitari, con ricadute positive sul sistema complessivo di prevenzione e di cura che è, (e resta), della persona a rischio; categoria in cui sono da ricomprendere non solo gli alcoldipendenti in atto, ma soprattutto la massa critica di consumatori ad alto rischio: i cosiddetti "heavy drinkers", che consumano più di 40 e più di 60 grammi di alcool al giorno, rispettivamente femmine e maschi, che in Italia, secondo i dati più recenti, assommano ad oltre 800.000 individui. Contrariamente a quanto si possa pensare, e come da anni evidenziato dalla Società Italiana di Alcologia, l'impatto socio-economico è prevalente su quello del danno alla salute; basti pensare alla perdita del lavoro, della scarsa produttività alle giornate di malattia. Intervenire in maniera integrata, con politiche ed iniziative di formazione professionale mirate ad incrementare la cultura dello screening basato sugli standard internazionali d'intercettazione precoce, (questionario AUDIT), di integrazione nella pratica quotidiana di valutazione del rischio alcool correlato e di valutazione di efficacia del trattamento, (oggi inesistente), comporterebbe un vero salto di qualità dell'assistenza ed il massimo vantaggio al minimo costo".
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