Il governo russo mette una taglia su Tor: 4 milioni di rubli a chi riuscirà a "bucarlo".


A quanto pare non c'è solo la National Security Agency, (meglio nota con la sigla NSA), a volersi occupare di Tor, (la popolare rete per navigare in modo anonimo, e creare siti e servizi online garantendo la privacy degli operatori e degli utenti), cercando di distruggere quello che un altro ramo del suo stesso governo sta cercando di costruire. Infatti di recente si è aggiunta anche la Russia, che è arrivata ad offrire addirittura una ricompensa a chiunque sia in grado di "bucare" la rete Tor. In pratica il Ministero degli Interni russo ha deciso di offrire la modica cifra di circa 4 milioni di rubli, (equivalenti ad oltre 110.000 dollari ed a circa 82.000 euro), a quei ricercatori che riusciranno a trovare dei modi per vìolare la privacy costruita dal suddetto software open source e che ad oggi, in una Rete sempre più controllata e che mira alla totale trasparenza delle attività degli utenti, sembra essere rimasta uno dei pochi e delicati "mantelli d'invisibilità" per gli utenti. Inoltre il Ministero russo ha specificato che i ricercatori devono essere esclusivamente di nazionalità russa e che "le ricerche studino la possibilità di ottenere informazioni tecniche sugli utenti e sui device usati sulla rete Tor". Tra l'altro pare anche che la taglia imposta su Tor non sia puramente accademica e non nasca a caso: la rete Tor è diventata molto popolare negli ultimi tempi in Russia, tanto che lo scorso Giugno ha raggiunto un picco di oltre 200.000 utenti al giorno. Insomma, l'interesse dei russi per il cosiddetto "Re dell'anonimato online" nasce da una politica governativa sempre più repressiva e censoria nei confronti della Rete, a partire da una controversa legge sui blogger, (la quale compara tutti quei blog che superano oltre 3.000 visite al giorno ai media tradizionali e li obbliga a registrarsi ad un ente governativo), fino ad arrivare all'attuale giro di vite sugli oppositori al conflitto in Ucraina. Come se non bastasse proprio in questi giorni Vladimir Putin, attuale Presidente russo, ha firmato una legge, approvata definitivamente dalla Duma, secondo la quale, a partire dal 2016, obbligherà i servizi Internet a conservare per un periodo di 6 mesi i dati russi in appositi data center e server situati sul suolo nazionale, (pena la chiusura dei servizi); dati che a quel punto saranno soggetti alle leggi del Paese. Ad ogni modo non è la prima volta che il governo russo prende di mira Tor, (il quale oltre a rendere anonimi gli utenti è anche uno strumento fondamentale per aggirare la censura); infatti già l'anno scorso l'FSB, i servizi segreti russi, avevano fatto pressioni sulla Duma per mettere al bando questo software, anche se in realtà l'iniziativa si era poi bloccata. In pratica per chi ancora non lo conoscesse, Tor, originariamente sviluppato dalla U.S. Navy, oggi rappresenta un progetto no-profit ed open source portato avanti da una rete di ricercatori di sicurezza volontari, attivisti dei diritti digitali, università, e finanziato da una miriade di soggetti, incluso lo stesso governo americano che contribuisce per il 60% dei suoi fondi, considerandolo un fondamentale strumento anticensura in regimi autoritari. Per di più proprio in questi giorni è emerso anche come il governo americano abbia sostenuto l'opposizione democratica in Bielorussia promuovendo l'utilizzo di Tor, (nello specifico di Tails, il sistema operativo basato su Tor), per proteggere i dati e le informazioni degli attivisti. Insomma, sembra proprio che Tor sia sempre più al centro delle preoccupazioni di governi repressivi o interessati a sorvegliare le attività online delle persone. Oltretutto sempre in questi giorni a essere finito sotto i riflettori è stato proprio Tails: la Exodus Intelligence, società di cybersecurity che lavora anche per il governo USA, ha annunciato di avere trovato in esso una vulnerabilità zero-day. Tuttavia in realtà la vulnerabilità sembra riguardare non tanto Tails, quanto la rete I2P utilizzabile dal sistema operativo in questione. Comunque sia pare che per i sostenitori della privacy online non tiri esattamente una buona aria.

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