A quanto pare nei soggetti multilingue, (cioè che parlano più lingue), la Malattia di Alzheimer tende a manifestarsi verso i 76 anni, vale a dire dai quattro ai cinque anni più tardi rispetto all'esordio nei soggetti monolingue, stimato intorno ai 72 anni. O almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente una ricerca, che sarà pubblicata in primavera sul prossimo numero della rivista Bilingualism: Language and Cognition, e che è stata condotta da alcuni ricercatori dell'Università di Ghent su soggetti con una probabile diagnosi di Alzheimer: di questi 69 erano monolingue e 65 bilingue, appartenenti alle comunità dei Valloni e dei Fiamminghi, ossia i due gruppi linguistici belgi. Tra l'atro questo è stato il primo studio condotto su territorio europeo ed a differenza di altri precedenti di questo genere, non ha riguardato la realtà dell'immigrazione. In pratica gli scienziati hanno analizzato l'età di insorgenza dei sintomi della malattia in questione ed hanno visto che, (a parità di altre variabili come l'educazione, la professione svolta e lo status socio-economico), i sintomi della demenza nei bilingue compaiono, appunto, 4/5 anni dopo rispetto agli altri. Tuttavia la capacità di bilinguismo e multilinguismo di rallentare il declino cognitivo non è un concetto nuovo, anche se in realtà non è ancora del tutto chiara la ragione del suo effetto protettivo sulla cognizione, il quale viene confermato ormai da un numero crescente di studi. Insomma, è come se il parlare due lingue, più di qualunque training appositamente creato, fosse in grado di mantenere il cervello più allenato, rallentandone di conseguenza l'invecchiamento ed aumentandone le riserve cognitive. Inoltre una delle ipotesi avanzate è che gli anziani bilingue siano meno compromessi perché sono più flessibili; il che potrebbe essere dovuto forse proprio grazie al continuo esercizio cognitivo necessario per passare da una lingua all'altra. Infatti è quello che sostiene, ad esempio, un altro studio, (pubblicato sul Journal of Neuroscience e condotto su un centinaio di volontari sani di età compresa tra i 60 ed i 68 anni, bilingui e non), il quale ha mostrato come gli anziani bilingui sono più veloci dei monolingue nell'esecuzione di test dove si richiede la gestione contemporanea di due compiti passando ripetutamente da uno all'altro. In questo studio l'analisi dell'attività cerebrale mediante risonanza magnetica funzionale ha rivelato che il vantaggio dei bilingui è probabilmente dovuto ad una minor attivazione di alcune aree pre-frontali, della corteccia anteriore del cingolo e della corteccia pre-frontale dorso-laterale e dorso-ventrale sinistra, e le aree della "working memory", vale a dire un sistema per il mantenimento temporaneo e la manipolazione di informazioni in uso. In sostanza è un po' come se gli anziani bilingue fossero più efficienti; ovvero avessero bisogno di meno "energia" per svolgere gli stessi compiti cognitivi rispetto ai loro coetanei monolingue.
A quanto pare nei soggetti multilingue, (cioè che parlano più lingue), la Malattia di Alzheimer tende a manifestarsi verso i 76 anni, vale a dire dai quattro ai cinque anni più tardi rispetto all'esordio nei soggetti monolingue, stimato intorno ai 72 anni. O almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente una ricerca, che sarà pubblicata in primavera sul prossimo numero della rivista Bilingualism: Language and Cognition, e che è stata condotta da alcuni ricercatori dell'Università di Ghent su soggetti con una probabile diagnosi di Alzheimer: di questi 69 erano monolingue e 65 bilingue, appartenenti alle comunità dei Valloni e dei Fiamminghi, ossia i due gruppi linguistici belgi. Tra l'atro questo è stato il primo studio condotto su territorio europeo ed a differenza di altri precedenti di questo genere, non ha riguardato la realtà dell'immigrazione. In pratica gli scienziati hanno analizzato l'età di insorgenza dei sintomi della malattia in questione ed hanno visto che, (a parità di altre variabili come l'educazione, la professione svolta e lo status socio-economico), i sintomi della demenza nei bilingue compaiono, appunto, 4/5 anni dopo rispetto agli altri. Tuttavia la capacità di bilinguismo e multilinguismo di rallentare il declino cognitivo non è un concetto nuovo, anche se in realtà non è ancora del tutto chiara la ragione del suo effetto protettivo sulla cognizione, il quale viene confermato ormai da un numero crescente di studi. Insomma, è come se il parlare due lingue, più di qualunque training appositamente creato, fosse in grado di mantenere il cervello più allenato, rallentandone di conseguenza l'invecchiamento ed aumentandone le riserve cognitive. Inoltre una delle ipotesi avanzate è che gli anziani bilingue siano meno compromessi perché sono più flessibili; il che potrebbe essere dovuto forse proprio grazie al continuo esercizio cognitivo necessario per passare da una lingua all'altra. Infatti è quello che sostiene, ad esempio, un altro studio, (pubblicato sul Journal of Neuroscience e condotto su un centinaio di volontari sani di età compresa tra i 60 ed i 68 anni, bilingui e non), il quale ha mostrato come gli anziani bilingui sono più veloci dei monolingue nell'esecuzione di test dove si richiede la gestione contemporanea di due compiti passando ripetutamente da uno all'altro. In questo studio l'analisi dell'attività cerebrale mediante risonanza magnetica funzionale ha rivelato che il vantaggio dei bilingui è probabilmente dovuto ad una minor attivazione di alcune aree pre-frontali, della corteccia anteriore del cingolo e della corteccia pre-frontale dorso-laterale e dorso-ventrale sinistra, e le aree della "working memory", vale a dire un sistema per il mantenimento temporaneo e la manipolazione di informazioni in uso. In sostanza è un po' come se gli anziani bilingue fossero più efficienti; ovvero avessero bisogno di meno "energia" per svolgere gli stessi compiti cognitivi rispetto ai loro coetanei monolingue.
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