Allo studio i primi "pancreas in pillole".


Di recente alcuni ricercatori dell'azienda ViaCyte hanno annunciato di aver messo a punto una sorta di "pancreas in pillole" per la cura del diabete ed aver sperimentato con successo il nuovo rimedio su un ristretto numero di pazienti. In pratica si tratta di particolari le pillole che si basano sull'utilizzo di cellule staminali pancreatiche parzialmente mature che si attivano nel corpo bloccando il sistema immunitario che altrimenti le distruggerebbe: il principio su cui si basano queste nuove pillole sta nel lasciar passare tutte le sostanze di cui le cellule pancreatiche hanno bisogno per attivarsi senza scatenare la reazione del sistema immunitario. Al riguardo Kevin D'Amour, coordinatore della ricerca, nonché vice-presidente della ViaCyte, ha spiegato: "Al momento non sappiamo bene quanto duri l'effetto di una singola pillola, ma prevediamo una serie di impianti periodici. I test che stiamo conducendo sono essenzialmente di sicurezza, ma penso che vedremo qualche beneficio per la salute dei pazienti". In sostanza la sperimentazione risulta importante anche perché finora l'unico intervento tendente alla risoluzione del problema è stato il cosiddetto "Protocollo di Edmonton", illustrato sulle pagine del New England Journal of Medicine nel 2000: si tratta in parole povere di una tecnica che prevede l'utilizzo di isole pancreatiche prelevate da un cadavere e trapiantate poi nei pazienti. Per di più grazie a questa tecnica un ricercatore canadese era riuscito a "liberare" 7 pazienti diabetici dall'obbligo delle iniezioni di insulina per un anno intero, tuttavia sul lungo termine la metà dei pazienti ha dovuto far di nuovo ricorso alle iniezioni. Tra l'altro la procedura prevede l'assunzione di pesanti farmaci immunosoppressori e deve fare i conti con la carenza di donatori idonei. In tal proposito Richard Insel, Chief Scientific Officer della Juvenile Diabetes Research Foundation, (noto anche con la sigla JDRF), ha dichiarato: "Abbiamo ottenuto una dimostrazione del concetto che un trapianto è in grado di ripristinare le funzioni beta e l'indipendenza da insulina. Era pertanto ovvio che se avessimo trovato un'altra fonte di cellule, una ripristinabile, un gran numero di persone ne avrebbe beneficiato". Tuttavia, anche se il concetto di coltura di cellule beta sostitutive è semplice, risulta essere di difficile applicazione pratica; difatti al riguardo Kevin D'Amour ha metaforicamente affermato: "Quando 12 anni fa sono entrato in ViaCyte, la sostituzione di cellule tramite cellule staminali pareva ovvia. Dicevamo tutti: «Certo, questo è il frutto più maturo da cogliere». Abbiamo in seguito scoperto che il frutto che credevamo di aver colto era una noce di cocco, non una mela". In sostanza il primo problema da risolvere è stata la conversione delle cellule staminali in vere cellule funzionanti del pancreas; difatti i ricercatori della ViaCyte hanno deciso di far crescere cellule immature del pancreas, contando sull'organismo per completare il processo di trasformazione in cellule beta. Mentre l'altro problema era legato al sistema immunitario del paziente; problema per il quale i medici californiani hanno creato una capsula di plastica riempita con circa 40 milioni di cellule immature del pancreas. In pratica, come già anticipato, quest'ultima ha il compito di bloccare la reazione delle cellule T del sistema immunitario, troppo grandi per poter passare attraverso il reticolo: in questo modo le cellule trapiantate possono ricevere il nutrimento dal flusso sanguigno e svolgere la propria funzione di controllo della glicemia. Infatti le cellule contenute in questi "pancreas in pillole" producono insulina, glucagone e somatostatina, e riescono, appunto, a tenere a bada il livello dello zucchero nel sangue. Ad ogni modo attualmente ricerche simili si stanno effettuando in altre parti degli Stati Uniti, ad esempio presso l'Università di Harvard, dove il team di Douglas Melton sta studiando il modo di impiantare nell'organismo le cellule beta responsabili della produzione di insulina: in questo caso l'esterno delle pillole è formato da un mix di idrogel e sostanze antinfiammatorie. Tuttavia lo stesso Douglas Melton si è detto scettico nei confronti del sistema ideato dalla ViaCyte, innanzitutto perché, a suo avviso, attorno alle capsule potrebbero formarsi dei depositi di tessuti fibrotici simili a cicatrici, ostacolando così la corretta alimentazione delle cellule al loro interno con l'ossigeno e pregiudicando la loro capacità di controllare il livello di glucosio nel sangue e rilasciare insulina. Inoltre, essendo già immature, le cellule contenute nelle pillole della ViaCyte impiegherebbero circa 3 mesi prima di diventare pienamente operative; senza contare che molte di queste potrebbero semplicemente trasformarsi in altre tipologie di cellule pancreatiche e non in cellule beta. Difatti in tal proposito lo scienziato ha puntualizzato: "L'inefficienza del sistema sta nel fatto che la società necessiterebbe di un dispositivo delle dimensioni di un lettore DVD per riuscire a fornire abbastanza cellule beta per poter trattare efficacemente il diabete"; anche se, secondo la ViaCyte, basterebbero 8 capsule, pari a circa 300 milioni di cellule. In ogni caso anche Douglas Melton ed il suo gruppo hanno annunciato di aver messo a punto cellule beta completamente mature e funzionali in laboratorio; un risultato che consentirebbe ai pancreas artificiali di entrare subito in funzione. Mentre per quanto riguarda l'incapsulamento lo scienziato di Harvard si è rivolto a Daniel Anderson, bioingegnere del MIT, il quale ha ideato un contenitore composto da strati di idrogel, alcuni dei quali contengono cellule mentre altri i farmaci antinfiammatori utili a prevenire i depositi di tessuti fibrotici. Al riguardo lo stesso Daniel Anderson ha, infine, spiegato: "Alcuni primi successi motivano il nostro entusiasmo. Abbiamo motivo di credere che sia possibile utilizzare le cellule di Douglas nel nostro dispositivo per curare il diabete negli animali".

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