SR2595, il nuovo farmaco che potrebbe curare l'osteoporosi.


Di recente alcuni ricercatori dello Scripps Research Institute, in uno studio pubblicato su Nature Communications, hanno annunciato di aver messo a punto una nuova molecola capace di agire sul meccanismo che porta alla rigenerazione ossea: un risultato che, per quanto possa essere preliminare, potrebbe aprire le porte allo sviluppo di nuovi farmaci per combattere l'osteoporosi e migliorare la vita di milioni di persone. Difatti, secondo le ultime stime, si calcola che in tutto il mondo le persone affette da questa malattia siano circa 200 milioni: solo in Europa, Stati Uniti e Giappone colpisce più di 75 milioni di individui con oltre 2 milioni di fratture ogni anno a causa della lenta perdita di minerali che rende le ossa più fragili. Inoltre si calcola che la tendenza all'allungamento della vita media e all'invecchiamento delle popolazioni, in mancanza di seri interventi di prevenzione, determinerà nei prossimi decenni un significativo aumento dei casi. Tuttavia i farmaci a disposizione sono molti e quelli di ultima generazione, (ancora in fase sperimentale), agiscono in particolare con quei meccanismi che portano alla formazione di nuove cellule ossee; mentre nel suddetto studio gli scienziati statunitensi si sono concentrati principalmente sulla proteina PPARγ, ovvero un fattore in grado di determinare il differenziamento delle cellule staminali mesenchimali in diversi tessuti come cartilagini ed ossa. In sostanza precedenti studi hanno dimostrato che una carenza di questa proteina, (studiata in topi geneticamente modificati in modo da produrne quantità nettamente inferiori rispetto alla norma), è in grado di promuovere il processo di formazione delle ossa; motivo per il quale, sfruttando questa caratteristica, i ricercatori dello Scripps Research Institute hanno pensato di sviluppare una molecola capace di interferire, appunto, con l'attività di PPARγ. In pratica dalle analisi preliminari il composto in questione, (conosciuto con la sigla SR2595), somministrato in animali da laboratorio ha causato l'aumento della formazione degli osteoblasti, vale a dire quelle cellule staminali che una volta mature diventano tessuto osseo. Al riguardo Patrick Griffin, uno degli autori dello studio, ha, infine, spiegato: "Questi risultati dimostrano per la prima volta una nuova applicazione terapeutica per i farmaci destinati ad avere come bersaglio PPARγ. I primi erano stati quelli per il diabete. Ora, grazie a questo studio, abbiamo dimostrato l'aumento di osteoblasti. Il passo successivo sarà quello di eseguire un'analisi approfondita dell'efficacia del farmaco in modelli animali andando a valutare la perdita di massa ossea, l'invecchiamento, lo sviluppo di obesità e diabete".

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