Contrariamente a quanto si era sempre creduto, essere felici non allunga la vita e viceversa la tristezza non rovina la salute e non fa morire prima; o almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente uno studio dell'University of New South Wales pubblicato sulla rivista The Lancet, il quale afferma senza mezze misure che, una volta considerati i possibili fattori di confondimento, (come, per esempio, il fatto che le persone malate di cancro o di cuore si definiscono tristi e hanno una mortalità tripla rispetto a quelli sani), l'effetto netto della felicità o dell'infelicità sulla durata della vita è praticamente nullo. In pratica i ricercatori, guidati da Bette Liu, hanno utilizzato i dati raccolti all'interno del "Million Women Study", ovvero un'indagine che a partire dal 1996 ha seguito, (come si può intuire dallo stesso nome), la salute di circa un milione di donne over 50, e registrato la loro mortalità per diverse cause. Inoltre in un questionario della prima fase dello studio alle partecipanti è stato chiesto quanto si sentivano felici o stressate (potevano scegliere tra: "la maggior parte del tempo"; "di solito sì"; "qualche volta"; e "mai/raramente"), e come stimavano la loro salute (la scelta in questo caso era da "eccellente" a "scadente"). Ad ogni modo le donne sono state seguite in media per 10 anni dopo avere risposto al suddetto questionario, e nel frattempo sono state registrate poco più di 48.000 decessi nel gruppo, la maggior parte dei quali riguardavano le donne che si erano definite infelici. Tuttavia una volta che i ricercatori hanno tenuto conto ed "aggiustato", (come si dice in termini tecnici), i dati in base alle risposte sulla salute, (tenendo conto di abitudini e stili di vita, come il vizio del fumo, mancanza di sonno, l'attività fisica e l'assenza di un partner, di cui è stato dimostrato un collegamento con una maggiore infelicità), il presunto aumento di mortalità è scomparso completamente. In altri termini la mortalità più alta è stata tra chi era già in cattive condizioni di salute, che molto spesso si era detto anche infelice. Ed è stata proprio questa la chiave del ragionamento dei ricercatori: è la salute incerta a rendere depressi e provocare un aumento della mortalità.Ed in tutto questo la tristezza di per sé non c'entra nulla, anche se spesso le viene attribuito un effetto diretto sulla salute. Tra l'altro, facendo il ragionamento inverso, i ricercatori non hanno trovato alcuna sostanziale evidenza che la felicità di per sé contribuisca a ridurre il rischio di malattie di cuore, cancro o morte. Insomma si tratta di una conclusione che, per quanto possa essere una brutta notizia per chi è sempre felice, almeno non aggiunge un ulteriore peso a chi invece ha già altri motivi per sentirsi giù di morale. Al riguardo la stessa Bette Liu ha, infine, concluso spiegando: "La malattia rende infelici, ma l’infelicità non rende malati. Non abbiamo trovato nessuna relazione diretta tra stress e cattivo umore e la mortalità, e parliamo di uno studio durato 10 anni, che ha coinvolto circa un milione di donne".
Contrariamente a quanto si era sempre creduto, essere felici non allunga la vita e viceversa la tristezza non rovina la salute e non fa morire prima; o almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente uno studio dell'University of New South Wales pubblicato sulla rivista The Lancet, il quale afferma senza mezze misure che, una volta considerati i possibili fattori di confondimento, (come, per esempio, il fatto che le persone malate di cancro o di cuore si definiscono tristi e hanno una mortalità tripla rispetto a quelli sani), l'effetto netto della felicità o dell'infelicità sulla durata della vita è praticamente nullo. In pratica i ricercatori, guidati da Bette Liu, hanno utilizzato i dati raccolti all'interno del "Million Women Study", ovvero un'indagine che a partire dal 1996 ha seguito, (come si può intuire dallo stesso nome), la salute di circa un milione di donne over 50, e registrato la loro mortalità per diverse cause. Inoltre in un questionario della prima fase dello studio alle partecipanti è stato chiesto quanto si sentivano felici o stressate (potevano scegliere tra: "la maggior parte del tempo"; "di solito sì"; "qualche volta"; e "mai/raramente"), e come stimavano la loro salute (la scelta in questo caso era da "eccellente" a "scadente"). Ad ogni modo le donne sono state seguite in media per 10 anni dopo avere risposto al suddetto questionario, e nel frattempo sono state registrate poco più di 48.000 decessi nel gruppo, la maggior parte dei quali riguardavano le donne che si erano definite infelici. Tuttavia una volta che i ricercatori hanno tenuto conto ed "aggiustato", (come si dice in termini tecnici), i dati in base alle risposte sulla salute, (tenendo conto di abitudini e stili di vita, come il vizio del fumo, mancanza di sonno, l'attività fisica e l'assenza di un partner, di cui è stato dimostrato un collegamento con una maggiore infelicità), il presunto aumento di mortalità è scomparso completamente. In altri termini la mortalità più alta è stata tra chi era già in cattive condizioni di salute, che molto spesso si era detto anche infelice. Ed è stata proprio questa la chiave del ragionamento dei ricercatori: è la salute incerta a rendere depressi e provocare un aumento della mortalità.Ed in tutto questo la tristezza di per sé non c'entra nulla, anche se spesso le viene attribuito un effetto diretto sulla salute. Tra l'altro, facendo il ragionamento inverso, i ricercatori non hanno trovato alcuna sostanziale evidenza che la felicità di per sé contribuisca a ridurre il rischio di malattie di cuore, cancro o morte. Insomma si tratta di una conclusione che, per quanto possa essere una brutta notizia per chi è sempre felice, almeno non aggiunge un ulteriore peso a chi invece ha già altri motivi per sentirsi giù di morale. Al riguardo la stessa Bette Liu ha, infine, concluso spiegando: "La malattia rende infelici, ma l’infelicità non rende malati. Non abbiamo trovato nessuna relazione diretta tra stress e cattivo umore e la mortalità, e parliamo di uno studio durato 10 anni, che ha coinvolto circa un milione di donne".
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