A quanto pare utilizzare i dolcificanti in maniera prolungata potrebbe non essere una buona idea; o almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente uno studio condotto su modello animale da alcuni ricercatori dell'Università di Sydney apparso sulle pagine della rivista Cell Metabolism, il quale ha fatto luce sui cambiamenti che coinvolgono la percezione del gusto, (oltre alla regolazione dell'appetito), nei soggetti che fanno un uso prolungato, appunto, di queste sostanze come alternativa allo zucchero. In pratica durante tale ricerca i ricercatori australiani hanno rilavato che gli animali che erano stati esposti per più di 5 giorni ad una dieta con dolcificanti mostravano un consumo di calorie superiore del 30%. Al riguardo il dottor Greg Neely, uno dei principali autori dello studio in questione, ha spiegato: "Quando abbiamo investigato sul perché gli animali avevano mangiato di più anche quando avevano assunto già abbastanza calorie, abbiamo scoperto che il consumo cronico di dolcificanti aumenta l'intensità della dolcezza dello zucchero "vero", e ciò a sua volta aumenta lo stimolo a mangiare più cibo. Il meccanismo che abbiamo trovato fa parte di una risposta al digiuno che fa in modo che il cibo più nutriente abbia un sapore migliore se si hanno i morsi della fame". Tra l'altro i dolcificanti potrebbero avere anche un altro effetto controproducente: un'altra ricerca della York University e pubblicata su Applied Physiology, Nutrition and Metabolism, ha dimostrato come l'aspartame e le altre sostanze sintetiche, (utilizzate per addolcire il caffè, il tè o qualsiasi altra cosa), hanno l'effetto di determinare alterazioni significative nei batteri intestinali, portando a lungo andare allo sviluppo di un'intolleranza al glucosio e di conseguenza ad un aumento del rischio di insorgenza del diabete mellito di tipo 2. In sostanza tale studio ha preso in esame i dati di 2.856 adulti che avevano preso parte ad un vasto studio prospettico sull'alimentazione dei cittadini canadesi: in base alle loro abitudini alimentari, i soggetti sono stati classificati come "consumatori di dolcificanti" o "consumatori di zuccheri naturali" e si sono poi sottoposti ad un test per la tolleranza al glucosio, allo scopo di verificare il rischio individuale di sviluppare il diabete. In tal proposito Jennifer Kuk, autrice dello studio, ha dichiarato: "Il nostro studio mostra che le persone obese che consumano dolcificanti artificiali, in particolare l'aspartame, possono avere una gestione peggiore del glucosio rispetto alle persone che non utilizzano sostituti dello zucchero". Ma non è finita qua: anche una ricerca pubblicata nel 2014 su Nature ha segnalato l'effetto negativo prodotto da dolcificanti a base di aspartame, saccarina e sucralosio sul metabolismo umano. Difatti stando a quanto rilevato da questo studio, guidato dal dottor Jotham Suez del Dipartimento di Immunologia dell'Istituto Weizmann, i dolcificanti causerebbero alterazioni metaboliche tali da indurre un aumento dei livelli di glicemia. Inoltre i ricercatori israeliani si schierano dalla parte dei detrattori sottolineando la capacità di queste sostanze di alterare il metabolismo producendo una condizione di intolleranza glucidica che apre le porte al diabete. Infatti durante lo studio di 2 anni fa gli scienziati hanno analizzato su modello animale il microbiota intestinale, individuando anche in quella sede una modifica sostanziale della flora batterica intestinale rispetto ai topi del gruppo di controllo: dopo il trapianto del microbiota dai topi con glicemia alta a quelli sani, i ricercatori hanno registrato un innalzamento dei livelli anche in questi ultimi. Oltretutto a conferma delle loro intuizioni, i ricercatori israeliani hanno poi studiato il microbiota intestinale di oltre 400 persone scoprendo che la flora batterica di chi consumava i dolcificanti era notevolmente diversa da quella di chi invece consumava zucchero: 7 volontari che non consumavano dolcificanti sono stati arruolati per una sperimentazione su piccola scala ed hanno consumato i prodotti dolcificanti per una settimana; dopo soltanto 4 giorni, la metà di loro mostrava livelli elevati di glicemia ed una composizione alterata della popolazione batterica intestinale, esattamente ciò che succedeva nei topi. Al riguardo Antonio Gasbarrini, gastroenterologo del Policlinico Agostino Gemelli, nonché studioso del microbiota intestinale, aveva commentato: "La forza di questo studio è che ha dimostrato che i dolcificanti hanno modificato il microbiota intestinale e che questa modifica ha provocato un aumento della glicemia. I dolcificanti, quindi, possono modulare il microbiota, come del resto gli alimenti. È ormai provato che il microbiota, un vero e proprio organo, scambia informazioni con il cervello, il fegato ed il tessuto adiposo. È un nuovo attore, possiede 3 milioni di geni, oltre 1.000 specie di batteri diversi ed ha una potentissima attività metabolica e immunologica. La maggior parte di questi batteri si trova nel colon e nell'intestino tenue ed è nutrita soltanto dalle fibre indigeribili che arrivano nel colon. La novità è che da qualche anno abbiamo la tecnologia adatta per individuare il microbiota, mentre prima ne ignoravamo l'esistenza e stiamo a poco a poco scoprendo quanto sia coinvolto in molte patologie". Ma non è tutto: anche una ricerca della Purdue University pubblicata sulla rivista Trends in Endocrinology & Metabolism si è posta sullo stesso binario di quella israeliana. Difatti in questo caso gli scienziati hanno analizzato l'apporto dei dolcificanti in sede di dieta ipocalorica scoprendo che i dolcificanti non danno alcun aiuto al soggetto in cerca di dimagrimento, ma aumentano le probabilità di insorgenza di alcune gravi malattie come la sindrome metabolica, il diabete e le patologie cardiovascolari. In tal proposito Susan Swithers, principale autrice dello studio, ha spiegato: "Dati recenti sia su esseri umani che su animali hanno in realtà fornito scarso supporto, per esempio, all'idea comune che le bibite dolcificate artificialmente promuovano la perdita di peso e prevengano le conseguenze negative sulla salute tipiche delle bibite zuccherate, (ossia sindrome metabolica, diabete, obesità, malattie cardiovascolari). Anzi, un certo numero di studi suggerisce il contrario e cioè che le persone che consumano regolarmente bibite dolcificate artificialmente hanno un rischio più elevato rispetto a chi non le consuma; un rischio dello stesso ordine di grandezza di quello associato al consumo di bibite normalmente zuccherate". Per di più questo rischio risiede anche nel cosiddetto "effetto boomerang": il consumo di prodotti dolcificati in maniera artificiale attenua la risposta dell'organismo sia a livello metabolico che cerebrale dal momento che non si riesce a soddisfare la voglia di dolce e non si stimola la produzione di insulina, come avviene invece con lo zucchero. Non a caso un esame di risonanza magnetica funzionale effettuato durante la ricerca statunitense ha evidenziato che i dolcificanti stimolano i centri cerebrali del gusto molto di più del comune zucchero, (glucosio e saccarosio), ed in maniera molto diversa: assumendo queste sostanze l'organismo non riceve le calorie di cui a bisogno e quindi le persone sono indotte ad ingerire altri cibi dolci, superando così il giusto apporto calorico giornaliero. Inoltre altri esami condotti su modello animale hanno riscontrato in maniera evidente che quelli tra essi a cui venivano somministrati dolcificanti tendevano a mangiare e ad ingrassare molto più e molto più velocemente di quelli che ingerivano lo zucchero normale: tra i due gruppi di cavie era diverso anche l'innalzamento della temperatura corporea, essendo più basso del dovuto nei soggetti che assumevano gli zuccheri sintetici. In aggiunta i ricercatori statunitensi hanno rilevato che rispetto ai ratti che mangiavano yogurt addolcito con glucosio, (uno zucchero semplice con 15 calorie per ogni cucchiaino), quelli che lo mangiavano con saccarina, (un dolcificante a 0 calorie), finivano per consumare più calorie nell'arco della giornata, mettendo su più peso e massa grassa. Questo perché l'organismo non riusciva più a regolare correttamente l'apporto calorico, in quanto si interrompeva la connessione tra sensazione di dolcezza e cibi ricchi di calorie. Al riguardo gli autori della ricerca hanno affermato: "I dati indicano chiaramente che mangiare cibo addolcito con un dolcificante artificiale privo di calorie può portare a un maggior acquisto di peso corporeo ed adiposità, rispetto a quello che accade consumando lo stesso alimento, abbinato però ad uno zucchero più ricco di calorie". Non a caso gli esperti di tutto il mondo hanno riscontrato risultati simili anche con varie molecole, (tra cui aspartame, saccarina, sucralosio ed altri), anche in numerosi test in vitro; anche se comunque tutti concordano sulla necessità di proseguire gli studi sull'uomo in maniera più approfondita e per un lungo periodo di tempo. E, come se non bastasse, alcune statistiche di consumo dei dolcificanti, (ormai diffusissimi perché consentono di non rinunciare al sapore dolce risparmiando tuttavia decine di calorie: un cucchiaino di zucchero equivale, infatti, più o meno a 20 calorie; mentre una pasticca di dolcificante che ne fa le veci si ferma a 2-3 calorie), rapportate a dati epidemiologici, non mancano di suscitare preoccupazioni: nel 1987 poco meno di 70 milioni di americani consumavano dolcificanti, ma già nel 2000 il loro numero era salito a 160 milioni. Inoltre nello stesso lasso di tempo le persone obese negli USA sono passate dal 15 al 30% della popolazione totale. Comunque sia, mentre si attendono nuovi risultati scientifici dalla ricerca e dalle sperimentazioni, sarebbe consigliabile consumare questi prodotti dolcificanti con molta cautela, considerando anche che il danno potrebbe non limitarsi solo alla linea, ma potrebbe coinvolgere anche lo stato di salute generale: chi intende perdere chili consumando prodotti "light" o surrogati di zucchero ingerisce sicuramente meno calorie, ma deve poi combattere contro un aumento di appetito, contro gli effetti di una persistente iperinsulinemia, (la quale può aumentare il rischio di diabete mellito di tipo 2), oppure contro gli effetti scomodi di una ipoglicemia reattiva. Oltretutto andrebbe ricordato che i dolcificanti, (che sono usati anche per addolcire medicinali, colluttori e gomme da masticare), secondo un'ipotesi ancora al vaglio degli scienziati, potrebbero, infine, possedere anche delle capacità di carcinogenesi.
A quanto pare utilizzare i dolcificanti in maniera prolungata potrebbe non essere una buona idea; o almeno questo è quanto ha fatto sapere di recente uno studio condotto su modello animale da alcuni ricercatori dell'Università di Sydney apparso sulle pagine della rivista Cell Metabolism, il quale ha fatto luce sui cambiamenti che coinvolgono la percezione del gusto, (oltre alla regolazione dell'appetito), nei soggetti che fanno un uso prolungato, appunto, di queste sostanze come alternativa allo zucchero. In pratica durante tale ricerca i ricercatori australiani hanno rilavato che gli animali che erano stati esposti per più di 5 giorni ad una dieta con dolcificanti mostravano un consumo di calorie superiore del 30%. Al riguardo il dottor Greg Neely, uno dei principali autori dello studio in questione, ha spiegato: "Quando abbiamo investigato sul perché gli animali avevano mangiato di più anche quando avevano assunto già abbastanza calorie, abbiamo scoperto che il consumo cronico di dolcificanti aumenta l'intensità della dolcezza dello zucchero "vero", e ciò a sua volta aumenta lo stimolo a mangiare più cibo. Il meccanismo che abbiamo trovato fa parte di una risposta al digiuno che fa in modo che il cibo più nutriente abbia un sapore migliore se si hanno i morsi della fame". Tra l'altro i dolcificanti potrebbero avere anche un altro effetto controproducente: un'altra ricerca della York University e pubblicata su Applied Physiology, Nutrition and Metabolism, ha dimostrato come l'aspartame e le altre sostanze sintetiche, (utilizzate per addolcire il caffè, il tè o qualsiasi altra cosa), hanno l'effetto di determinare alterazioni significative nei batteri intestinali, portando a lungo andare allo sviluppo di un'intolleranza al glucosio e di conseguenza ad un aumento del rischio di insorgenza del diabete mellito di tipo 2. In sostanza tale studio ha preso in esame i dati di 2.856 adulti che avevano preso parte ad un vasto studio prospettico sull'alimentazione dei cittadini canadesi: in base alle loro abitudini alimentari, i soggetti sono stati classificati come "consumatori di dolcificanti" o "consumatori di zuccheri naturali" e si sono poi sottoposti ad un test per la tolleranza al glucosio, allo scopo di verificare il rischio individuale di sviluppare il diabete. In tal proposito Jennifer Kuk, autrice dello studio, ha dichiarato: "Il nostro studio mostra che le persone obese che consumano dolcificanti artificiali, in particolare l'aspartame, possono avere una gestione peggiore del glucosio rispetto alle persone che non utilizzano sostituti dello zucchero". Ma non è finita qua: anche una ricerca pubblicata nel 2014 su Nature ha segnalato l'effetto negativo prodotto da dolcificanti a base di aspartame, saccarina e sucralosio sul metabolismo umano. Difatti stando a quanto rilevato da questo studio, guidato dal dottor Jotham Suez del Dipartimento di Immunologia dell'Istituto Weizmann, i dolcificanti causerebbero alterazioni metaboliche tali da indurre un aumento dei livelli di glicemia. Inoltre i ricercatori israeliani si schierano dalla parte dei detrattori sottolineando la capacità di queste sostanze di alterare il metabolismo producendo una condizione di intolleranza glucidica che apre le porte al diabete. Infatti durante lo studio di 2 anni fa gli scienziati hanno analizzato su modello animale il microbiota intestinale, individuando anche in quella sede una modifica sostanziale della flora batterica intestinale rispetto ai topi del gruppo di controllo: dopo il trapianto del microbiota dai topi con glicemia alta a quelli sani, i ricercatori hanno registrato un innalzamento dei livelli anche in questi ultimi. Oltretutto a conferma delle loro intuizioni, i ricercatori israeliani hanno poi studiato il microbiota intestinale di oltre 400 persone scoprendo che la flora batterica di chi consumava i dolcificanti era notevolmente diversa da quella di chi invece consumava zucchero: 7 volontari che non consumavano dolcificanti sono stati arruolati per una sperimentazione su piccola scala ed hanno consumato i prodotti dolcificanti per una settimana; dopo soltanto 4 giorni, la metà di loro mostrava livelli elevati di glicemia ed una composizione alterata della popolazione batterica intestinale, esattamente ciò che succedeva nei topi. Al riguardo Antonio Gasbarrini, gastroenterologo del Policlinico Agostino Gemelli, nonché studioso del microbiota intestinale, aveva commentato: "La forza di questo studio è che ha dimostrato che i dolcificanti hanno modificato il microbiota intestinale e che questa modifica ha provocato un aumento della glicemia. I dolcificanti, quindi, possono modulare il microbiota, come del resto gli alimenti. È ormai provato che il microbiota, un vero e proprio organo, scambia informazioni con il cervello, il fegato ed il tessuto adiposo. È un nuovo attore, possiede 3 milioni di geni, oltre 1.000 specie di batteri diversi ed ha una potentissima attività metabolica e immunologica. La maggior parte di questi batteri si trova nel colon e nell'intestino tenue ed è nutrita soltanto dalle fibre indigeribili che arrivano nel colon. La novità è che da qualche anno abbiamo la tecnologia adatta per individuare il microbiota, mentre prima ne ignoravamo l'esistenza e stiamo a poco a poco scoprendo quanto sia coinvolto in molte patologie". Ma non è tutto: anche una ricerca della Purdue University pubblicata sulla rivista Trends in Endocrinology & Metabolism si è posta sullo stesso binario di quella israeliana. Difatti in questo caso gli scienziati hanno analizzato l'apporto dei dolcificanti in sede di dieta ipocalorica scoprendo che i dolcificanti non danno alcun aiuto al soggetto in cerca di dimagrimento, ma aumentano le probabilità di insorgenza di alcune gravi malattie come la sindrome metabolica, il diabete e le patologie cardiovascolari. In tal proposito Susan Swithers, principale autrice dello studio, ha spiegato: "Dati recenti sia su esseri umani che su animali hanno in realtà fornito scarso supporto, per esempio, all'idea comune che le bibite dolcificate artificialmente promuovano la perdita di peso e prevengano le conseguenze negative sulla salute tipiche delle bibite zuccherate, (ossia sindrome metabolica, diabete, obesità, malattie cardiovascolari). Anzi, un certo numero di studi suggerisce il contrario e cioè che le persone che consumano regolarmente bibite dolcificate artificialmente hanno un rischio più elevato rispetto a chi non le consuma; un rischio dello stesso ordine di grandezza di quello associato al consumo di bibite normalmente zuccherate". Per di più questo rischio risiede anche nel cosiddetto "effetto boomerang": il consumo di prodotti dolcificati in maniera artificiale attenua la risposta dell'organismo sia a livello metabolico che cerebrale dal momento che non si riesce a soddisfare la voglia di dolce e non si stimola la produzione di insulina, come avviene invece con lo zucchero. Non a caso un esame di risonanza magnetica funzionale effettuato durante la ricerca statunitense ha evidenziato che i dolcificanti stimolano i centri cerebrali del gusto molto di più del comune zucchero, (glucosio e saccarosio), ed in maniera molto diversa: assumendo queste sostanze l'organismo non riceve le calorie di cui a bisogno e quindi le persone sono indotte ad ingerire altri cibi dolci, superando così il giusto apporto calorico giornaliero. Inoltre altri esami condotti su modello animale hanno riscontrato in maniera evidente che quelli tra essi a cui venivano somministrati dolcificanti tendevano a mangiare e ad ingrassare molto più e molto più velocemente di quelli che ingerivano lo zucchero normale: tra i due gruppi di cavie era diverso anche l'innalzamento della temperatura corporea, essendo più basso del dovuto nei soggetti che assumevano gli zuccheri sintetici. In aggiunta i ricercatori statunitensi hanno rilevato che rispetto ai ratti che mangiavano yogurt addolcito con glucosio, (uno zucchero semplice con 15 calorie per ogni cucchiaino), quelli che lo mangiavano con saccarina, (un dolcificante a 0 calorie), finivano per consumare più calorie nell'arco della giornata, mettendo su più peso e massa grassa. Questo perché l'organismo non riusciva più a regolare correttamente l'apporto calorico, in quanto si interrompeva la connessione tra sensazione di dolcezza e cibi ricchi di calorie. Al riguardo gli autori della ricerca hanno affermato: "I dati indicano chiaramente che mangiare cibo addolcito con un dolcificante artificiale privo di calorie può portare a un maggior acquisto di peso corporeo ed adiposità, rispetto a quello che accade consumando lo stesso alimento, abbinato però ad uno zucchero più ricco di calorie". Non a caso gli esperti di tutto il mondo hanno riscontrato risultati simili anche con varie molecole, (tra cui aspartame, saccarina, sucralosio ed altri), anche in numerosi test in vitro; anche se comunque tutti concordano sulla necessità di proseguire gli studi sull'uomo in maniera più approfondita e per un lungo periodo di tempo. E, come se non bastasse, alcune statistiche di consumo dei dolcificanti, (ormai diffusissimi perché consentono di non rinunciare al sapore dolce risparmiando tuttavia decine di calorie: un cucchiaino di zucchero equivale, infatti, più o meno a 20 calorie; mentre una pasticca di dolcificante che ne fa le veci si ferma a 2-3 calorie), rapportate a dati epidemiologici, non mancano di suscitare preoccupazioni: nel 1987 poco meno di 70 milioni di americani consumavano dolcificanti, ma già nel 2000 il loro numero era salito a 160 milioni. Inoltre nello stesso lasso di tempo le persone obese negli USA sono passate dal 15 al 30% della popolazione totale. Comunque sia, mentre si attendono nuovi risultati scientifici dalla ricerca e dalle sperimentazioni, sarebbe consigliabile consumare questi prodotti dolcificanti con molta cautela, considerando anche che il danno potrebbe non limitarsi solo alla linea, ma potrebbe coinvolgere anche lo stato di salute generale: chi intende perdere chili consumando prodotti "light" o surrogati di zucchero ingerisce sicuramente meno calorie, ma deve poi combattere contro un aumento di appetito, contro gli effetti di una persistente iperinsulinemia, (la quale può aumentare il rischio di diabete mellito di tipo 2), oppure contro gli effetti scomodi di una ipoglicemia reattiva. Oltretutto andrebbe ricordato che i dolcificanti, (che sono usati anche per addolcire medicinali, colluttori e gomme da masticare), secondo un'ipotesi ancora al vaglio degli scienziati, potrebbero, infine, possedere anche delle capacità di carcinogenesi.
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