Come noto, la schizofrenia è una malattia psichiatrica multifattoriale in cui la componente genetica gioca un ruolo piuttosto importante, (cosa dimostrata anche dai dati di familiarità della malattia), che colpisce un individuo su 100, ossia circa 24 milioni di persone nel mondo, (di cui circa 300.000 in Italia). Entrando un po' più nei particolari, la malattia in questione ha una manifestazione clinica abbastanza eterogenea: i sintomi comprendono allucinazioni, deliri, discorsi e comportamenti sconnessi, ma anche deficit cognitivi; anche se variano da paziente a paziente, così come la risposta ai farmaci. Quindi nel complesso la schizofrenia è una di quelle malattie a maggior impatto sulla vita del paziente e dei suoi familiari e, (solo in Italia), i costi diretti ed indiretti sono stimati sui 3,2 miliardi di euro. Ad ogni modo, come già scoperto in passato, i geni associati a questa malattia sono oltre 100, alcuni dei quali sono coinvolti nella sintesi e nel rilascio della dopamina, vale a dire un neurotrasmettitore la cui inibizione ad opera di alcuni farmaci migliora i sintomi della patologia. Tuttavia un nuovo studio, pubblicato di recente sulla rivista Cell Reports e condotto su modello animale da un team di scienziati dell'Istituto Italiano di Tecnologia, (conosciuto anche con la sigla IIT), in collaborazione con alcuni ricercatori dei National Institutes of Health, (o NIH), dell'Università degli Studi di Padova e dell'Università degli Studi di Cagliari, ha mostrato il ruolo chiave di un particolare gene, chiamato ARC, (acronimo di Activity-Regulated Cytoskeletal-associated postsynaptic signaling complex), nell'insorgenza dei sintomi comportamentali e delle caratteristiche fisiologiche della schizofrenia. In pratica gli autori del suddetto studio, coordinati da Francesco Papaleo dell'IIT, hanno osservato che nei topi la diminuzione dell'espressione del gene ARC causava le anomalie tipiche della patologia, quali, appunto, deficit cognitivi selettivi, disfunzioni sociali, perdita di alcune abilità senso-motorie ed ipersensibilità a farmaci stimolanti, (come, ad esempio, le anfetamine). Tra l'altro i ricercatori hanno anche visto che l'ARC, (gene coinvolto normalmente nella formazione e comunicazione delle sinapsi del cervello, ovvero la cosiddetta "plasticità cerebrale"), regola il sistema dopaminergico cerebrale: la soppressione del gene in questione causa, infatti, una riduzione dei livelli di dopamina nella corteccia prefrontale; mentre un suo eccesso nel tessuto dello striato, (formato dai due nuclei profondi del cervello, il nucleo caudato ed il putamen), genera uno squilibrio analogo a quello che si riscontra nel cervello dei pazienti affetti da schizofrenia e che, si pensa, possa essere collegato ai disturbi comportamentali tipici della patologia. Comunque sia durante il suddetto studio trattamenti diretti alle aree cerebrali interessate dalle alterazioni hanno portato gli animali al recupero delle funzioni perdute: stimolatori di dopamina nella corteccia prefrontale hanno normalizzato le facoltà cognitive ed inibitori di dopamina nel tessuto striatale hanno restituito le funzioni senso-motorie. Insomma, si tratta di una buona notizia, considerando che arrivare alla conoscenza dei meccanismi biologici della malattia permetterebbe di sviluppare test genetici per la diagnosi precoce e di terapie farmacologie personalizzate, la cui somministrazione in situ potrebbe essere, infine, affidata a nanoparticelle ingegnerizzate, con una conseguente riduzione del dosaggio e degli effetti collaterali.
Come noto, la schizofrenia è una malattia psichiatrica multifattoriale in cui la componente genetica gioca un ruolo piuttosto importante, (cosa dimostrata anche dai dati di familiarità della malattia), che colpisce un individuo su 100, ossia circa 24 milioni di persone nel mondo, (di cui circa 300.000 in Italia). Entrando un po' più nei particolari, la malattia in questione ha una manifestazione clinica abbastanza eterogenea: i sintomi comprendono allucinazioni, deliri, discorsi e comportamenti sconnessi, ma anche deficit cognitivi; anche se variano da paziente a paziente, così come la risposta ai farmaci. Quindi nel complesso la schizofrenia è una di quelle malattie a maggior impatto sulla vita del paziente e dei suoi familiari e, (solo in Italia), i costi diretti ed indiretti sono stimati sui 3,2 miliardi di euro. Ad ogni modo, come già scoperto in passato, i geni associati a questa malattia sono oltre 100, alcuni dei quali sono coinvolti nella sintesi e nel rilascio della dopamina, vale a dire un neurotrasmettitore la cui inibizione ad opera di alcuni farmaci migliora i sintomi della patologia. Tuttavia un nuovo studio, pubblicato di recente sulla rivista Cell Reports e condotto su modello animale da un team di scienziati dell'Istituto Italiano di Tecnologia, (conosciuto anche con la sigla IIT), in collaborazione con alcuni ricercatori dei National Institutes of Health, (o NIH), dell'Università degli Studi di Padova e dell'Università degli Studi di Cagliari, ha mostrato il ruolo chiave di un particolare gene, chiamato ARC, (acronimo di Activity-Regulated Cytoskeletal-associated postsynaptic signaling complex), nell'insorgenza dei sintomi comportamentali e delle caratteristiche fisiologiche della schizofrenia. In pratica gli autori del suddetto studio, coordinati da Francesco Papaleo dell'IIT, hanno osservato che nei topi la diminuzione dell'espressione del gene ARC causava le anomalie tipiche della patologia, quali, appunto, deficit cognitivi selettivi, disfunzioni sociali, perdita di alcune abilità senso-motorie ed ipersensibilità a farmaci stimolanti, (come, ad esempio, le anfetamine). Tra l'altro i ricercatori hanno anche visto che l'ARC, (gene coinvolto normalmente nella formazione e comunicazione delle sinapsi del cervello, ovvero la cosiddetta "plasticità cerebrale"), regola il sistema dopaminergico cerebrale: la soppressione del gene in questione causa, infatti, una riduzione dei livelli di dopamina nella corteccia prefrontale; mentre un suo eccesso nel tessuto dello striato, (formato dai due nuclei profondi del cervello, il nucleo caudato ed il putamen), genera uno squilibrio analogo a quello che si riscontra nel cervello dei pazienti affetti da schizofrenia e che, si pensa, possa essere collegato ai disturbi comportamentali tipici della patologia. Comunque sia durante il suddetto studio trattamenti diretti alle aree cerebrali interessate dalle alterazioni hanno portato gli animali al recupero delle funzioni perdute: stimolatori di dopamina nella corteccia prefrontale hanno normalizzato le facoltà cognitive ed inibitori di dopamina nel tessuto striatale hanno restituito le funzioni senso-motorie. Insomma, si tratta di una buona notizia, considerando che arrivare alla conoscenza dei meccanismi biologici della malattia permetterebbe di sviluppare test genetici per la diagnosi precoce e di terapie farmacologie personalizzate, la cui somministrazione in situ potrebbe essere, infine, affidata a nanoparticelle ingegnerizzate, con una conseguente riduzione del dosaggio e degli effetti collaterali.
Commenti
Posta un commento