A quanto pare la genetica può avere effetti "contagiosi": il DNA di un individuo, infatti, può condizionare non soltanto la sua salute, ma anche quella di chi gli vive accanto, influenzandone, ad esempio, il peso corporeo, i livelli di ansia e le difese immunitarie. O almeno questo è quanto è emerso da un recente esperimento condotto sui topi da alcuni ricercatori dell'European Bioinformatics Institute, (meglio noto con la sigla EBI, con sede ad Hinxton, in Gran Bretagna), i quali hanno "pesato" per la prima volta questi effetti indiretti della genetica. In pratica i risultati di tale ricerca, pubblicati sulla rivista PLOS Genetics, hanno aperto nuove prospettive per lo studio di molte malattie umane complesse in cui sono presenti dei tratti che sembrano inspiegabili alla luce dell'assetto genetico del paziente e che costituiscono la cosiddetta "ereditarietà mancante". Al riguardo Amelie Baud, coordinatrice dello studio in questione, ha spiegato: ''Le persone si condizionano a vicenda per quanto riguarda i comportamenti, la salute ed il benessere, questo lo sapevamo già. Quello che ci mancava era la consapevolezza dell'esistenza di una base genetica legata a questo fenomeno. Se sei un ricercatore che vuole scoprire i legami tra una malattia ed il DNA, è importante analizzare non solo il paziente, ma anche il contesto sociale in cui vive''. In sostanza, come già anticipato, i ricercatori britannici hanno provato a fare ciò per la prima volta su modello murino, misurando in che modo un centinaio di tratti fisici e comportamentali venissero condizionati dal DNA dei loro compagni di gabbia: dai dati raccolti è emerso che la genetica dei "vicini" è davvero cruciale e può spiegare fino al 29% delle variazioni osservate, ad esempio, in fatto di ansia, insonnia, sovrappeso, guarigione delle ferite e difese immunitarie. Insomma, si tratta di una scoperta che potrà avere importanti conseguenze per l'uomo, in quanto permetterà di valutare in modo più immediato l'impatto che il contesto sociale può avere su un paziente senza dover indagare i mille comportamenti che possono mediare questo effetto. In tal proposito la stessa Amelie Baud ha, infine, concluso dichiarando: "Basti pensare, per esempio, ad una persona mattiniera che vive con un partner che preferisce fare le ore piccole perché il suo DNA scandisce un altro ritmo sonno-veglia. Mettiamo che questa persona sviluppi una malattia legata alla carenza di sonno, ma non essendone consapevole non ne parla con il medico che, a sua volta, non chiede nulla. Se la ricerca dimostra che c'è un legame tra la malattia ed i geni che controllano il ritmo sonno-veglia del partner, il medico potrà sondare le abitudini di vita in modo più efficace, dando i giusti consigli per risolvere il problema''.
Di seguito un video pubblicato dai ricercatori su YouTube:
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