Di recente alcuni psicologi dell'Università del Kent hanno dimostrato che tripofobia, ovvero la cosiddetta "paura dei buchi", scaturisce da un'intensa avversione nei confronti di parassiti e malattie infettive. In pratica si tratta di una condizione, (conosciuta anche come "fobia dei pattern ripetitivi", in quanto chi ne soffre non sopporta la visione di oggetti che presentano dei raggruppamenti di fori e non solo), che non è inclusa nel "Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders" dell'American Psychological Association, (vale a dire un manuale noto anche con la sigla DSM-5, nel quale sono elencate tutte le fobie ufficialmente riconosciute dalla scienza); anche se questa è estremamente diffusa e con l'arrivo di Internet moltissime persone hanno scoperto di soffrirne. Ad ogni modo fino ad oggi i ricercatori ritenevano che questa fobia rappresentasse un'eredità dei nostri antenati, che vivevano a strettissimo contatto con la natura: secondo questa teoria, la tripofobia sarebbe sorta da una risposta repulsiva ai pattern presenti su animali velenosi, (come, ad esempio, i serpenti), o magari ai nidi di pericolosi calabroni. Insomma, come era stato suggerito in uno studio intitolato "Fear of Holes" e condotto nel 2013 dall'Università dell'Essex, si trattava di un modo per tenersi alla larga dal pericolo. Tuttavia, come già anticipato, nella suddetta nuova ricerca, coordinata da Tom Kupfer e pubblicata sulla rivista scientifica specializzata Cognition and Emotion, l'attenzione è stata invece spostata verso la paura delle malattie infettive e dei raggruppamenti di parassiti, (come, per esempio, quelli di zecche). In sostanza durante tale studio i ricercatori inglesi hanno coinvolto oltre 600 persone, (metà delle quali tripofobiche), e le hanno sottoposte all'osservazione di 16 immagini: 8 rappresentative di malattie come morbillo, vaiolo, tifo, febbre scarlatta, oltre che di gravi ustioni; mentre le altre 8 erano immagini che tipicamente disgustano chi soffre di tripofobia, (ossia fiori di loto, bollicine in una tazza di caffè, spugne, muretti pieni di fori ecc...). Inoltre ai partecipanti è stato chiesto di descrivere le proprie emozioni, e se da un lato le immagini di malattie e parassiti hanno disgustato tutti, dall'altro i tripofobici hanno provato repulsione anche verso quelle del secondo gruppo, (che non hanno scaturito alcun effetto negli altri). Tra l'altro, anche se l'emozione provata principalmente dalle persone era, appunto, il disgusto, (e non la paura, che invece può essere associata ad animali velenosi come ragni e topi), i tripofobici hanno descritto una fastidiosa sensazione sulla pelle, come quella di essere infestati da parassiti o da qualcosa che strisciava su di loro. Insomma, dal punto di vista psicologico si tratta di segnali che, assieme al disgusto, servivano a tenersi lontani da una potenziale infezione: motivo per il quale, secondo Tom Kupfer ed i suoi colleghi, più che "paura dei buchi", la tripofobia dovrebbe essere, infine, indicata come "l'avversione verso gruppi di oggetti circolari".
Di recente alcuni psicologi dell'Università del Kent hanno dimostrato che tripofobia, ovvero la cosiddetta "paura dei buchi", scaturisce da un'intensa avversione nei confronti di parassiti e malattie infettive. In pratica si tratta di una condizione, (conosciuta anche come "fobia dei pattern ripetitivi", in quanto chi ne soffre non sopporta la visione di oggetti che presentano dei raggruppamenti di fori e non solo), che non è inclusa nel "Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders" dell'American Psychological Association, (vale a dire un manuale noto anche con la sigla DSM-5, nel quale sono elencate tutte le fobie ufficialmente riconosciute dalla scienza); anche se questa è estremamente diffusa e con l'arrivo di Internet moltissime persone hanno scoperto di soffrirne. Ad ogni modo fino ad oggi i ricercatori ritenevano che questa fobia rappresentasse un'eredità dei nostri antenati, che vivevano a strettissimo contatto con la natura: secondo questa teoria, la tripofobia sarebbe sorta da una risposta repulsiva ai pattern presenti su animali velenosi, (come, ad esempio, i serpenti), o magari ai nidi di pericolosi calabroni. Insomma, come era stato suggerito in uno studio intitolato "Fear of Holes" e condotto nel 2013 dall'Università dell'Essex, si trattava di un modo per tenersi alla larga dal pericolo. Tuttavia, come già anticipato, nella suddetta nuova ricerca, coordinata da Tom Kupfer e pubblicata sulla rivista scientifica specializzata Cognition and Emotion, l'attenzione è stata invece spostata verso la paura delle malattie infettive e dei raggruppamenti di parassiti, (come, per esempio, quelli di zecche). In sostanza durante tale studio i ricercatori inglesi hanno coinvolto oltre 600 persone, (metà delle quali tripofobiche), e le hanno sottoposte all'osservazione di 16 immagini: 8 rappresentative di malattie come morbillo, vaiolo, tifo, febbre scarlatta, oltre che di gravi ustioni; mentre le altre 8 erano immagini che tipicamente disgustano chi soffre di tripofobia, (ossia fiori di loto, bollicine in una tazza di caffè, spugne, muretti pieni di fori ecc...). Inoltre ai partecipanti è stato chiesto di descrivere le proprie emozioni, e se da un lato le immagini di malattie e parassiti hanno disgustato tutti, dall'altro i tripofobici hanno provato repulsione anche verso quelle del secondo gruppo, (che non hanno scaturito alcun effetto negli altri). Tra l'altro, anche se l'emozione provata principalmente dalle persone era, appunto, il disgusto, (e non la paura, che invece può essere associata ad animali velenosi come ragni e topi), i tripofobici hanno descritto una fastidiosa sensazione sulla pelle, come quella di essere infestati da parassiti o da qualcosa che strisciava su di loro. Insomma, dal punto di vista psicologico si tratta di segnali che, assieme al disgusto, servivano a tenersi lontani da una potenziale infezione: motivo per il quale, secondo Tom Kupfer ed i suoi colleghi, più che "paura dei buchi", la tripofobia dovrebbe essere, infine, indicata come "l'avversione verso gruppi di oggetti circolari".
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