A quanto pare il cibo del futuro sarà la pianta del fico d'India, (scientificamente nota con il nome Opuntia ficus-indica), che grazie alle sue peculiari proprietà, sia nutritive che di adattamento, potrà fornire un sostentamento, oltre che per il bestiame, anche per milioni di persone nelle zone più aride del mondo. O almeno questo è quanto ha recentemente stimato l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, (meglio nota con la sigla FAO), la quale ha riunito un gruppo di esperti internazionali per condividere tutte le informazioni più recenti su questa pianta, (dal profilo genetico alle vulnerabilità ai parassiti, passando per i terreni prediletti alla fisiologia), nel tentativo di aiutare gli agricoltori ed i politici a fare un uso più strategico ed efficiente di una risorsa naturale troppo spesso data per scontata; il tutto raccolto poi in un studio/libro intitolato "Crop Ecology, Cultivation and Uses of Cactus Pear" e realizzato in collaborazione con l'International Center for Agriculture Research in the Dry Areas, (conosciuta con la sigla ICARDA). In pratica durante tale ricerca viene spiegato come a causa dei cambiamenti climatici che avanzano inarrestabili, la desertificazione ed il boom demografico, (che porterà la popolazione umana a quasi 10 miliardi di individui nel 2050), le fonti di cibo tradizionali diverranno sempre più scarse, e sarà necessario rivolgersi a prodotti meno convenzionali ed in grado di adattarsi meglio alle nuove condizioni. Ed è qui che entrerà in gioco il fico d'india: originaria del Messico, questa pianta ha innanzitutto una spiccata resistenza alla siccità, grazie ad un metabolismo peculiare che la protegge dalla dispersione dei liquidi; basti pensare che in un ettaro di coltivazione questi cactus possono conservare nelle loro pale fino a 180 tonnellate di acqua. Al riguardo Hans Dreyer, Direttore della Divisione Produzione e Protezione delle Piante della FAO, ha affermato: "I cambiamenti climatici e i crescenti rischi di siccità sono motivi validi per aggiornare gli umili cactus allo stato di raccolti essenziali in molte aree". Inoltre anche se la maggior parte dei cactus non sono commestibili, la specie degli Opuntia ha molto da offrire, specialmente se trattata come una coltura piuttosto che come erbaccia: ad oggi la sottospecie Opuntia ficus-indica di origine agricola, (le cui spine sono scomparse ma tornano dopo eventi di stress), risulta essere naturalizzata in 26 Paesi oltre la sua origine nativa e la sua tenace persistenza lo rende un alimento utile come ultima ancora di salvataggio e parte integrante di sistemi agricoli e zootecnici sostenibili. Ma non è tutto a queste proprietà si va ad aggiungere la capacità di assorbire concentrazioni elevate di anidride carbonica, (principale gas serra responsabile dei cambiamenti climatici): un ettaro di coltivazione di queste piante riesce, ad esempio, ad eliminare sino a 5 tonnellate di CO2 dall'atmosfera. In sostanza il "trucco biologico" del fico d'india è un particolare tipo di fotosintesi, (noto come metabolismo dell'acido crassulaceano o Fotosintesi CAM), che permette loro di prendere l'acqua durante la notte, anche se ci sono dei limiti: la temperatura sotto lo zero provoca danni irreversibili alle pale ed ai frutti. Difatti mentre l'Opuntia ficus-indica di solito sopravvive all'esposizione a temperature fino a 66 °C la sua fotosintesi inizia a rallentare oltre i 30 °C; motivo per il quale non se ne trovano molti nei deserti del Sahel o del Mojave. Tra l'altro c'è da prendere in considerazione che sempre da un ettaro di coltivazione si riescono ad ottenere circa 20 tonnellate di frutta: nei luoghi dove vengono utilizzati sistemi di irrigazione si può arrivare anche a 50 tonnellate. Tuttavia il delizioso frutto non rappresenta l'unica parte commestibile della pianta: in Messico, ad esempio, sono molto apprezzate le foglie giovani ed i germogli, (i cosiddetti nopalli), sfruttati per numerosi piatti come frittate, zuppe, insalate ed altro ancora. Quindi è chiaro come coltivazioni di queste piante, considerate "umili", se opportunamente rivalutate potrebbero sfamare milioni di persone nelle aree più povere ed aride della Terra, ovvero quelle già esposte agli effetti più drammatici dei cambiamenti climatici. Comunque sia se tutto ciò non bastasse dai fichi d'India si possono ottenere, come già anticipato, ottimi mangimi per gli animali: non solo bovini, (un ettaro produce acqua sufficiente per sostenere 5 mucche adulte), ma anche insetti, considerati anch'essi "cibo del futuro", (oltre che materia prima per alcuni coloranti).
A quanto pare il cibo del futuro sarà la pianta del fico d'India, (scientificamente nota con il nome Opuntia ficus-indica), che grazie alle sue peculiari proprietà, sia nutritive che di adattamento, potrà fornire un sostentamento, oltre che per il bestiame, anche per milioni di persone nelle zone più aride del mondo. O almeno questo è quanto ha recentemente stimato l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, (meglio nota con la sigla FAO), la quale ha riunito un gruppo di esperti internazionali per condividere tutte le informazioni più recenti su questa pianta, (dal profilo genetico alle vulnerabilità ai parassiti, passando per i terreni prediletti alla fisiologia), nel tentativo di aiutare gli agricoltori ed i politici a fare un uso più strategico ed efficiente di una risorsa naturale troppo spesso data per scontata; il tutto raccolto poi in un studio/libro intitolato "Crop Ecology, Cultivation and Uses of Cactus Pear" e realizzato in collaborazione con l'International Center for Agriculture Research in the Dry Areas, (conosciuta con la sigla ICARDA). In pratica durante tale ricerca viene spiegato come a causa dei cambiamenti climatici che avanzano inarrestabili, la desertificazione ed il boom demografico, (che porterà la popolazione umana a quasi 10 miliardi di individui nel 2050), le fonti di cibo tradizionali diverranno sempre più scarse, e sarà necessario rivolgersi a prodotti meno convenzionali ed in grado di adattarsi meglio alle nuove condizioni. Ed è qui che entrerà in gioco il fico d'india: originaria del Messico, questa pianta ha innanzitutto una spiccata resistenza alla siccità, grazie ad un metabolismo peculiare che la protegge dalla dispersione dei liquidi; basti pensare che in un ettaro di coltivazione questi cactus possono conservare nelle loro pale fino a 180 tonnellate di acqua. Al riguardo Hans Dreyer, Direttore della Divisione Produzione e Protezione delle Piante della FAO, ha affermato: "I cambiamenti climatici e i crescenti rischi di siccità sono motivi validi per aggiornare gli umili cactus allo stato di raccolti essenziali in molte aree". Inoltre anche se la maggior parte dei cactus non sono commestibili, la specie degli Opuntia ha molto da offrire, specialmente se trattata come una coltura piuttosto che come erbaccia: ad oggi la sottospecie Opuntia ficus-indica di origine agricola, (le cui spine sono scomparse ma tornano dopo eventi di stress), risulta essere naturalizzata in 26 Paesi oltre la sua origine nativa e la sua tenace persistenza lo rende un alimento utile come ultima ancora di salvataggio e parte integrante di sistemi agricoli e zootecnici sostenibili. Ma non è tutto a queste proprietà si va ad aggiungere la capacità di assorbire concentrazioni elevate di anidride carbonica, (principale gas serra responsabile dei cambiamenti climatici): un ettaro di coltivazione di queste piante riesce, ad esempio, ad eliminare sino a 5 tonnellate di CO2 dall'atmosfera. In sostanza il "trucco biologico" del fico d'india è un particolare tipo di fotosintesi, (noto come metabolismo dell'acido crassulaceano o Fotosintesi CAM), che permette loro di prendere l'acqua durante la notte, anche se ci sono dei limiti: la temperatura sotto lo zero provoca danni irreversibili alle pale ed ai frutti. Difatti mentre l'Opuntia ficus-indica di solito sopravvive all'esposizione a temperature fino a 66 °C la sua fotosintesi inizia a rallentare oltre i 30 °C; motivo per il quale non se ne trovano molti nei deserti del Sahel o del Mojave. Tra l'altro c'è da prendere in considerazione che sempre da un ettaro di coltivazione si riescono ad ottenere circa 20 tonnellate di frutta: nei luoghi dove vengono utilizzati sistemi di irrigazione si può arrivare anche a 50 tonnellate. Tuttavia il delizioso frutto non rappresenta l'unica parte commestibile della pianta: in Messico, ad esempio, sono molto apprezzate le foglie giovani ed i germogli, (i cosiddetti nopalli), sfruttati per numerosi piatti come frittate, zuppe, insalate ed altro ancora. Quindi è chiaro come coltivazioni di queste piante, considerate "umili", se opportunamente rivalutate potrebbero sfamare milioni di persone nelle aree più povere ed aride della Terra, ovvero quelle già esposte agli effetti più drammatici dei cambiamenti climatici. Comunque sia se tutto ciò non bastasse dai fichi d'India si possono ottenere, come già anticipato, ottimi mangimi per gli animali: non solo bovini, (un ettaro produce acqua sufficiente per sostenere 5 mucche adulte), ma anche insetti, considerati anch'essi "cibo del futuro", (oltre che materia prima per alcuni coloranti).
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