In questi giorni un gruppo di ricercatori guidati da Vladan Vuletić, del Massachusetts Institute of Technology, (più comunemente noto con la sigla MIT), e Mikhail Lukin, dell'Università di Harvard durante uno studio pubblicato sulla rivista Science, (oltre che sul sito ufficiale del MIT), sono riusciti a generare una forma di luce del tutto nuova che potrebbe essere la chiave per lo sviluppo dei futuri computer quantistici. In pratica si tratta di un nuovo tipo di luce i cui fotoni riescono a "parlare" tra loro, (a differenza di quanto succede nella luce tradizionale), e non viaggiano singolarmente ma in grappoli: caratteristica che li rende 100.000 volte più lenti. Al riguardo Tommaso Calarco, direttore dell'Istituto per Sistemi Quantistici Complessi dell'Università di Ulm, ha commentato tale ricerca spiegando: "È una forma di luce completamente nuova. Per i fisici, l'interazione dei fotoni è un sogno che si realizza dopo decenni. Infatti "i fotoni normalmente non "parlano" tra loro. Riuscire a farli comunicare è fondamentale per utilizzarli come unità di informazione dei computer quantistici". Difatti, come noto, questi computer si baseranno sui bit quantistici, (ossia i cosiddetti "qubit"), i quali possono assumere più di due stati: 0, 1, ma anche stati sovrapposti, memorizzando molti più dati e che per questo potranno elaborare le informazioni molto più velocemente. A tal proposito lo stesso Tommaso Calarco ha affermato: "Come possiamo pensare di fare una semplice addizione e quindi unire tra loro due qubit, se questi si ignorano e quindi non si scambiano informazioni?! I ricercatori del MIT e di Harvard sono riusciti a superare questo ostacolo con uno "stratagemma": hanno usato degli atomi come "intermediari" per far dialogare tra loro i fotoni". In sostanza durante il suddetto esperimento, sostenuto in parte dalla National Science Foundation, è stata usata come "mediatrice" una nuvola di atomi di rubidio, che è stata raffreddata a temperature vicine allo zero assoluto per immobilizzare gli atomi. Successivamente i ricercatori hanno "sparato" in questa nube un raggio di luce laser ed hanno osservato il raggio di luce in uscita dalla nube. Così facendo hanno visto la realizzazione di un sogno lungo decenni per i fisici di tutto il mondo: i fotoni non uscivano singolarmente ma a grappoli di due e tre particelle, (simili alle ciliegie); il che significa che i fotoni avevano interagito tra loro, attraverso gli atomi contenuti nella suddetta nuvola. Al riguardo Tommaso Calarco ha, infine, concluso dichiarando: "I fotoni entrati nella nube hanno "parlato" con gli atomi di rubidio e si è verificato un scambio di informazioni che ha permesso alle particelle di accoppiasi. La nuova luce esibiva anche un'altra proprietà molto particolare: le sue particelle erano molto più lente. Mentre i fotoni normalmente viaggiano a 300.000 chilometri al secondo, i fotoni accoppiati viaggiavano circa 100.000 volte più lentamente. Questo perché i fotoni singoli non hanno massa, mentre quelli legati tra loro avevano acquisito una frazione della massa di un elettrone".
In questi giorni un gruppo di ricercatori guidati da Vladan Vuletić, del Massachusetts Institute of Technology, (più comunemente noto con la sigla MIT), e Mikhail Lukin, dell'Università di Harvard durante uno studio pubblicato sulla rivista Science, (oltre che sul sito ufficiale del MIT), sono riusciti a generare una forma di luce del tutto nuova che potrebbe essere la chiave per lo sviluppo dei futuri computer quantistici. In pratica si tratta di un nuovo tipo di luce i cui fotoni riescono a "parlare" tra loro, (a differenza di quanto succede nella luce tradizionale), e non viaggiano singolarmente ma in grappoli: caratteristica che li rende 100.000 volte più lenti. Al riguardo Tommaso Calarco, direttore dell'Istituto per Sistemi Quantistici Complessi dell'Università di Ulm, ha commentato tale ricerca spiegando: "È una forma di luce completamente nuova. Per i fisici, l'interazione dei fotoni è un sogno che si realizza dopo decenni. Infatti "i fotoni normalmente non "parlano" tra loro. Riuscire a farli comunicare è fondamentale per utilizzarli come unità di informazione dei computer quantistici". Difatti, come noto, questi computer si baseranno sui bit quantistici, (ossia i cosiddetti "qubit"), i quali possono assumere più di due stati: 0, 1, ma anche stati sovrapposti, memorizzando molti più dati e che per questo potranno elaborare le informazioni molto più velocemente. A tal proposito lo stesso Tommaso Calarco ha affermato: "Come possiamo pensare di fare una semplice addizione e quindi unire tra loro due qubit, se questi si ignorano e quindi non si scambiano informazioni?! I ricercatori del MIT e di Harvard sono riusciti a superare questo ostacolo con uno "stratagemma": hanno usato degli atomi come "intermediari" per far dialogare tra loro i fotoni". In sostanza durante il suddetto esperimento, sostenuto in parte dalla National Science Foundation, è stata usata come "mediatrice" una nuvola di atomi di rubidio, che è stata raffreddata a temperature vicine allo zero assoluto per immobilizzare gli atomi. Successivamente i ricercatori hanno "sparato" in questa nube un raggio di luce laser ed hanno osservato il raggio di luce in uscita dalla nube. Così facendo hanno visto la realizzazione di un sogno lungo decenni per i fisici di tutto il mondo: i fotoni non uscivano singolarmente ma a grappoli di due e tre particelle, (simili alle ciliegie); il che significa che i fotoni avevano interagito tra loro, attraverso gli atomi contenuti nella suddetta nuvola. Al riguardo Tommaso Calarco ha, infine, concluso dichiarando: "I fotoni entrati nella nube hanno "parlato" con gli atomi di rubidio e si è verificato un scambio di informazioni che ha permesso alle particelle di accoppiasi. La nuova luce esibiva anche un'altra proprietà molto particolare: le sue particelle erano molto più lente. Mentre i fotoni normalmente viaggiano a 300.000 chilometri al secondo, i fotoni accoppiati viaggiavano circa 100.000 volte più lentamente. Questo perché i fotoni singoli non hanno massa, mentre quelli legati tra loro avevano acquisito una frazione della massa di un elettrone".
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