Sembra proprio che una volta arrivati a 105 anni il rischio di morire si stabilizza e rimane costante: ciò significa che, dopo questa età, diventa quasi impossibile dire con certezza quale sia il limite della durata della vita umana. O almeno questo è quanto hanno dimostrato uno studio pubblicato in questi giorni sulla rivista Science e condotto da alcuni ricercatori dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", in collaborazione con l'Università degli Studi Roma Tre, l'Università della California, Berkeley, (conosciuta anche con la sigla UC Berkeley), l'Università della Danimarca del Sud e l'Istituto nazionale di statistica, (meglio noto come ISTAT). In pratica già da diverso tempo la comunità scientifica cercava di capire se e come il rischio di mortalità cambiasse con l'avanzare dell'età: c'era chi sosteneva che la curva di questo rischio continuasse ad aumentare esponenzialmente con l'età e chi, invece, era convinto che decelerasse, per poi raggiungere un livello costante durante le età più elevate. Tuttavia per rispondere a queste domande era necessario stimare con esattezza il rischio di mortalità degli ultracentenari, il che finora non era stato possibile per via della mancanza di dati affidabili. Difatti durante la suddetta ricerca il gruppo di ricercatori internazionale ha preso in esame i dati relativi a quasi 4.000 ultracentenari residenti in Italia, (per la precisione 3.836 nati tra il 1896 ed 1910, la maggior parte dei quali donne), raccolti dall'ISTAT fra il 2009 ed il 2015 e, come già anticipato, ha scoperto che le loro probabilità di sopravvivenza raggiungevano un punto di stabilità una volta superati i 105 anni. Al riguardo Elisabetta Barbi, ricercatrice del dipartimento di statistica dell'ateneo romano nonché autrice dello studio in questione, ha spiegato: "Se esiste un limite biologico alla vita umana, questo non è ancora diventato visibile o non è stato raggiunto. Grazie alle nostre analisi è stato possibile verificare che il rischio di morte accelera esponenzialmente con l'età fino a 80 anni, per poi decelerare progressivamente, fino a raggiungere un plateau e rimanere costante, (o quasi), dopo i 105 anni". Mentre Kenneth Wachter, professore emerito di demografia e statistica presso la UC Berkeley, nonché autore senior della ricerca ha aggiunto: "I nostri dati ci dicono che non esiste ancora un limite fisso alla durata della vita umana. Non solo vediamo tassi di mortalità che smettono di peggiorare con l'età, ma li vediamo migliorare leggermente nel tempo". In sostanza entrando un po' più nei dettagli, i risultati ottenuti hanno mostrato come le persone di età compresa tra 105 e 109 anni risultavano avere una possibilità del 50/50 di morire entro l'anno o di vivere circa un altro anno e mezzo: lo stesso tasso di sopravvivenza è emerso anche negli individui che superavano i 110 anni; da qui il suddetto plateau. Tuttavia i dati per quanto riguarda i cosiddetti "nonagenari" sono risultati essere meno indulgenti: ad esempio, lo studio ha scoperto che le donne italiane nate nel 1904, (e che quindi avevano raggiunto i 90 anni), avevano il 15% di probabilità di morire entro l'anno successivo ed una possibilità di vivere in media altri 6 anni; mentre una volta raggiunti 95 anni, le loro probabilità di morire entro un anno sono aumentate al 24% e la loro aspettativa di vita da quel momento in poi è scesa a 3,7 anni. Ad ogni modo la stessa Elisabetta Barbi ha poi proseguito dichiarando: "Un altro dato interessante emerso dalla nostra ricerca è che per le generazioni di nascita più giovani i livelli di mortalità sono leggermente più bassi. Questo dato, unito alla crescita dei super-centenari negli ultimi anni, indica un aumento nel tempo della longevità umana. Un andamento simile della mortalità alle età più estreme è stato osservato anche in altre specie animali, (come insetti e vermi), il che fa pensare che esista una spiegazione comune dal punto di vista evolutivo". Ed ha, infine, concluso affermando: "La scoperta di questa soglia non solo dà una risposta chiara e certa sulle curve di mortalità, ma è cruciale per la comprensione dei meccanismi alla base della longevità umana, e gli sviluppi futuri delle teorie sull'invecchiamento. Si tratta di una prima conferma del ruolo giocato dalla sopravvivenza selettiva, cioè del fatto che sopravvivono gli individui meno fragili e vulnerabili alle malattie ed alla morte".
Sembra proprio che una volta arrivati a 105 anni il rischio di morire si stabilizza e rimane costante: ciò significa che, dopo questa età, diventa quasi impossibile dire con certezza quale sia il limite della durata della vita umana. O almeno questo è quanto hanno dimostrato uno studio pubblicato in questi giorni sulla rivista Science e condotto da alcuni ricercatori dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", in collaborazione con l'Università degli Studi Roma Tre, l'Università della California, Berkeley, (conosciuta anche con la sigla UC Berkeley), l'Università della Danimarca del Sud e l'Istituto nazionale di statistica, (meglio noto come ISTAT). In pratica già da diverso tempo la comunità scientifica cercava di capire se e come il rischio di mortalità cambiasse con l'avanzare dell'età: c'era chi sosteneva che la curva di questo rischio continuasse ad aumentare esponenzialmente con l'età e chi, invece, era convinto che decelerasse, per poi raggiungere un livello costante durante le età più elevate. Tuttavia per rispondere a queste domande era necessario stimare con esattezza il rischio di mortalità degli ultracentenari, il che finora non era stato possibile per via della mancanza di dati affidabili. Difatti durante la suddetta ricerca il gruppo di ricercatori internazionale ha preso in esame i dati relativi a quasi 4.000 ultracentenari residenti in Italia, (per la precisione 3.836 nati tra il 1896 ed 1910, la maggior parte dei quali donne), raccolti dall'ISTAT fra il 2009 ed il 2015 e, come già anticipato, ha scoperto che le loro probabilità di sopravvivenza raggiungevano un punto di stabilità una volta superati i 105 anni. Al riguardo Elisabetta Barbi, ricercatrice del dipartimento di statistica dell'ateneo romano nonché autrice dello studio in questione, ha spiegato: "Se esiste un limite biologico alla vita umana, questo non è ancora diventato visibile o non è stato raggiunto. Grazie alle nostre analisi è stato possibile verificare che il rischio di morte accelera esponenzialmente con l'età fino a 80 anni, per poi decelerare progressivamente, fino a raggiungere un plateau e rimanere costante, (o quasi), dopo i 105 anni". Mentre Kenneth Wachter, professore emerito di demografia e statistica presso la UC Berkeley, nonché autore senior della ricerca ha aggiunto: "I nostri dati ci dicono che non esiste ancora un limite fisso alla durata della vita umana. Non solo vediamo tassi di mortalità che smettono di peggiorare con l'età, ma li vediamo migliorare leggermente nel tempo". In sostanza entrando un po' più nei dettagli, i risultati ottenuti hanno mostrato come le persone di età compresa tra 105 e 109 anni risultavano avere una possibilità del 50/50 di morire entro l'anno o di vivere circa un altro anno e mezzo: lo stesso tasso di sopravvivenza è emerso anche negli individui che superavano i 110 anni; da qui il suddetto plateau. Tuttavia i dati per quanto riguarda i cosiddetti "nonagenari" sono risultati essere meno indulgenti: ad esempio, lo studio ha scoperto che le donne italiane nate nel 1904, (e che quindi avevano raggiunto i 90 anni), avevano il 15% di probabilità di morire entro l'anno successivo ed una possibilità di vivere in media altri 6 anni; mentre una volta raggiunti 95 anni, le loro probabilità di morire entro un anno sono aumentate al 24% e la loro aspettativa di vita da quel momento in poi è scesa a 3,7 anni. Ad ogni modo la stessa Elisabetta Barbi ha poi proseguito dichiarando: "Un altro dato interessante emerso dalla nostra ricerca è che per le generazioni di nascita più giovani i livelli di mortalità sono leggermente più bassi. Questo dato, unito alla crescita dei super-centenari negli ultimi anni, indica un aumento nel tempo della longevità umana. Un andamento simile della mortalità alle età più estreme è stato osservato anche in altre specie animali, (come insetti e vermi), il che fa pensare che esista una spiegazione comune dal punto di vista evolutivo". Ed ha, infine, concluso affermando: "La scoperta di questa soglia non solo dà una risposta chiara e certa sulle curve di mortalità, ma è cruciale per la comprensione dei meccanismi alla base della longevità umana, e gli sviluppi futuri delle teorie sull'invecchiamento. Si tratta di una prima conferma del ruolo giocato dalla sopravvivenza selettiva, cioè del fatto che sopravvivono gli individui meno fragili e vulnerabili alle malattie ed alla morte".
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