Secondo una nuova ipotesi, nel cuore della Terra potrebbero nascondersi tracce di materia oscura.


A quanto pare nelle profondità della Terra ci sarebbero dei minerali che potrebbero contenere la traccia di collisioni con particelle di materia oscura, (vale a dire quella sostanza elusiva che il mondo scientifico ritiene costituisca la maggior parte della materia presente nell'Universo). O almeno questo è quanto hanno fatto sapere di recente alcuni ricercatori dell'Università del Michigan, guidati dall'astrofisica teorica Katherine Freese, tramite una proposta di studio pubblicata sul sito ArXiv, (nel quale gli articoli non sono sottoposti all'esame della comunità scientifica), e ripresa in questi giorni dalla rivista Nature. In pratica da decenni gli scienziati usano strumenti sofisticati per analizzare il sottosuolo terrestre in cerca di questa materia, ma adesso questa nuova ipotesi suggerisce che minerali come il salgemma e la zabuyelite potrebbero agire da "rivelatori" già pronti all'uso. Per farla breve attualmente gli astronomi sono in grado di rilevare l'influenza gravitazionale della materia oscura sul movimento delle galassie e dei gruppi galattici, ma finora non sono mai stati in grado di individuarla direttamente: una delle ragioni per cui ciò non è stato possibile è che si presume la materia oscura sia composta da un materiale noto come particelle massive debolmente interagenti, (o WIMP), che interagisce con la materia normale soltanto attraverso la gravità e la forza nucleare debole. Motivo per il quale gli esperimenti di rilevamento diretto mirano a trovare gli effetti postumi dei WIMP in collisione con i nuclei di atomi in materiali come germanio, silicio e/o ioduro di sodio. Tuttavia tali esperimenti andrebbero effettuati in profondità nel sottosuolo, per proteggersi dai raggi cosmici che bombardano la superficie terrestre e che possono anche lasciare deboli tracce delle loro collisioni con i suddetti materiali "rivelatori", andando a coprire qualsiasi potenziale segnale di materia oscura. Al riguardo, come già anticipato, Katherine Freese ed i suoi colleghi hanno sostenuto che minerali come, appunto, il salgemma o la zabuyelite sarebbero ottimali per eventuali studi in quanto si trovano già nelle profondità della Terra e quindi risultano essere schermati dai raggi cosmici. Inoltre, secondo l'analisi del team di ricerca, se un WIMP dovesse penetrare, ad esempio, nel nucleo di un atomo di sodio o di cloro, questo si ritirerebbe scavando un solco nel minerale lungo da 1 a 1.000 nanometri. Insomma, sempre secondo i ricercatori, un futuro esperimento potrebbe estrarre i minerali, (che potrebbero avere anche 500 milioni di anni), dalle perforazioni di chilometri di chilometri che esistono già per la ricerca geologica e le estrazioni petrolifere: i geofisici dovrebbero aprire i minerali estratti e scansionare la loro superficie tramite dei microscopi a forza di elettroni oppure a forza atomica per rilevare le eventuali spaccature provocate dal ritiro dei nuclei; in alternativa potrebbero anche utilizzare scanner 3D a raggi X o ultravioletti per studiare un maggior numero di minerali più velocemente, ma i risultati avrebbero una risoluzione inferiore. A tal proposito la stessa Katherine Freese ha spiegato: "Le potenziali collisioni con i WIMP creerebbero diverse firme in ogni elemento di qualsiasi minerale e quindi fornirebbero diverse fonti di informazione. Ad esempio, il cloruro di sodio è costituito sia da sodio che da cloro, quindi si otterrebbero più segnali da un solo minerale. Qualora si trovassero dei segnali positivi, allora si potrebbe capire che tipo di WIMP è basato sulla sua dispersione del sodio e quali sulla sua dispersione del cloro". Mentre Dan Hooper, fisico presso il Fermi National Accelerator Laboratory, ha commentato: "L'idea è piuttosto interessante. Sebbene ci siano molti dettagli ancora da dimostrare prima che questo tipo di programma possa essere attuato realisticamente, non vedo alcun motivo per cui non possa riuscire, almeno in linea di massima". Naturalmente c'è stato anche chi ha espresso alcuni dubbi in merito a tale proposta come Juan Collar, dell'Università di Chicago, il quale ha spiegato: "A metà degli anni '90 i fisici consideravano l'utilizzo della mica come bersaglio per ricerche simili sulla materia oscura. Tuttavia successivamente abbiamo dimostrato che la radioattività dell'uranio nei minerali creava tracce nella mica impossibili da distinguere da quelle create dai WIMP. Temo che un simile destino si potrebbe verificare per quanto riguarda la proposta di Katherine Freese e colleghi. Questo problema, infatti, non è limitato alla mica, ma influisce invece su qualsiasi minerale contenente l'onnipresente abbondanza naturale di uranio e torio. I ricercatori del Michigan potrebbero essere in grado di trovare minerali dove questo problema si riduce, ma penso che in questo momento le loro affermazioni siano troppo ottimistiche". Al riguardo l'astrofisica teorica ha risposto dichiarando: "L'uranio è una preoccupazione, anche se al momento non è chiaro se i minerali che io ed il mio team proponiamo siano contaminati dall'uranio o dal torio. Tuttavia potrebbe essere possibile identificare specifici modelli di incisione che possono essere stati creati solo da una raffica di radioattività e ignorarli. La verità è che devi farlo e scoprirlo". Comunque sia se i futuri studi dovessero confermare tali ipotesi, allora andrebbero, infine, confermati anche i dati dell'esperimento DAMA-LIBRA, condotto nel 2016 presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso appartenenti all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, nonché il primo ad aver affermato di avere individuato la materia oscura.

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