A quanto pare il pessimismo è legato all'attività di una precisa area del cervello: il nucleo caudato; o almeno questo è quanto hanno scoperto di recente alcuni ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, (noto anche con la sigla MIT), guidati da Ken-ichi Amemori e Satoko Amemori, durante un loro studio pubblicato in questi giorni sulla rivista Neuron, il quale ha mostrato come in questa zona del cervello è possibile rintracciare, appunto, quella che è stata definita come "la culla del pessimismo". In pratica per arrivare a tali conclusioni gli scienziati hanno effettuato alcuni esperimenti su modello murino, nell'ambito di un progetto di ricerca sui circuiti che controllano le emozioni, in particolare quelle legate alle analisi di costi e benefici delle scelte: così facendo hanno osservato che la stimolazione, appunto, del nucleo caudato creava nei topi una sorta di effetto paralizzante, (che tra l'altro durava anche il giorno successivo alla stimolazione), offuscando la loro capacità di prendere decisioni e portandoli a fare scelte negative ed a dare molto più peso all'anticipato inconveniente di una situazione piuttosto che al suo vantaggio. In sostanza entrando un po' più nei dettagli, in passato gli studiosi avevano identificato un circuito neurale che sottostà ad uno specifico tipo di processo decisionale noto come "conflitto di evitamento di approccio": questi tipi di decisioni, che richiedono opzioni di ponderazione sia con elementi positivi che negativi, tendono a provocare una grande quantità di ansia. Inoltre i ricercatori avevano anche dimostrato che lo stress cronico influisce drammaticamente su questo tipo di processo decisionale: più stress portava solitamente gli animali a scegliere opzioni ad alto rischio ed alto rendimento. Tuttavia in questo nuovo studio, (finanziato dai National Institutes of Health, dalla CHDI Foundation, dall'US Office of Naval Research, dall'US Army Research Office, dal MEXT KAKENHI, dal Simons Center for Social Brain, dalla Naito Foundation, dalla Uehara Memorial Foundation, da Robert Buxton, Amy Sommer e Judy Goldberg), gli scienziati del MIT hanno voluto vedere se potevano riprodurre un effetto che è spesso visto in persone affette da depressione, ansia o disturbo ossessivo-compulsivo. Si tratta di pazienti che tendono ad impegnarsi in comportamenti rituali progettati per combattere i pensieri negativi ed a dare più peso al potenziale risultato negativo di una determinata situazione; il che, secondo gli autori della ricerca, potrebbe influenzare il processo decisionale di evitare l'approccio. Ad ogni modo, come già anticipato, per verificare questa ipotesi gli studiosi hanno stimolato il nucleo caudato con una piccola corrente elettrica quando agli animali veniva offerta una ricompensa, (ossia del succo), associata a uno stimolo spiacevole, (ovvero una boccata d'aria alla faccia): in ogni prova il rapporto tra la ricompensa e gli stimoli avversi era diverso e gli animali potevano scegliere se accettare oppure no. Per farla breve questo tipo di processo decisionale richiede un'analisi costi-benefici: se la ricompensa era abbastanza alta da bilanciare il soffio d'aria, gli animali sceglievano di accettarlo, ma quando tale rapporto era troppo basso, lo rifiutavano. In ogni caso quando i ricercatori hanno stimolato il nucleo caudato, hanno notato che questo calcolo del costo-beneficio risultava essere distorto e gli animali iniziavano ad evitare combinazioni che in precedenza avrebbero accettato; il che, come già detto, è continuato anche dopo che la stimolazione era terminata e poteva avere effetti anche il giorno seguente, per poi scomparire gradualmente nei giorni successivi. Insomma, questo risultato ha suggerito che i topi hanno iniziato a svalutare il premio che avevano precedentemente desiderato e si sono concentrati maggiormente sul costo dello stimolo avverso. Tra l'altro gli MIT hanno anche scoperto che l'attività delle onde cerebrali nel nucleo caudato risultava essere stata alterata quando i modelli decisionali cambiavano: si tratta di un cambiamento nella frequenza beta che potrebbe servire come biomarcatore per monitorare se gli animali oppure i pazienti rispondono al trattamento farmacologico. Non a caso il passo successivo della ricerca sarà quello di valutare, (attraverso la risonanza magnetica funzionale), l'attività di questa area del cervello in individui che soffrono di depressione e stati d'ansia, nella speranza di capirne l'origine e di sviluppare nuovi possibili trattamenti. Al riguardo Ann Graybiel, autrice senior dello studio, nonché ricercatrice del McGovern Institute for Brain Research, ha, infine, commentato: "Abbiamo la sensazione di aver visto un proxy per l'ansia, la depressione o una combinazione di entrambe. Questi problemi psichiatrici sono ancora così difficili da trattare per molte persone che ne soffrono. Devono esserci molti circuiti coinvolti. Ma a quanto pare siamo così delicatamente equilibrati che basta abbandonare un po' il sistema per cambiare rapidamente il comportamento".
Di seguito una ricostruzione computerizzata del nucleo caudato:
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