A quanto pare Giove, il pianeta più grande del Sistema Solare, (con un diametro equatoriale di 142.984 km ed una massa 2 volte e mezzo la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme), ha avuto disturbi della crescita durante la sua formazione, la quale sarebbe avvenuta a ritmi diversi; o almeno questo è quanto hanno scoperto di recente alcuni ricercatori dell'NCCR PlanetS dell'Università di Berna, quella di Zurigo e del Politecnico federale di Zurigo, (noto anche con la sigla ETH Zürich), guidati da Yann Alibert, durante un loro studio pubblicato in questi giorni sulla rivista Nature Astronomy. In pratica, stando ha quanto riportato dagli scienziati svizzeri, nel primo milione di anni il pianeta "embrionale" iniziò ad aggregare rapidamente piccole rocce di pochi centimetri andandosi a costruire un cuore; mentre i 2 milioni di anni che seguirono furono caratterizzati da una più lenta aggregazione di rocce più grandi, (della dimensione di chilometri), chiamate planetesimi: quest'ultime colpirono il pianeta in crescita con grande energia, rilasciando calore e facendogli raggiungere una massa equivalente a 50 volte quella della Terra dopo 3 milioni di anni. Successivamente iniziò la 3ª ed ultima fase caratterizzata dall'accumulo dei gas, che ha portato all'attuale gigante gassoso con una massa pari a circa 300 volte quella della Terra. Al riguardo lo stesso Yann Alibert ha spiegato: "È stato particolarmente interessante notare che non è stato lo stesso tipo di corpi a portare massa ed energia. Durante la prima fase le piccole rocce hanno portato la massa; mentre nella seconda fase i planetesimi hanno, sì, aggiunto anche loro un po' di massa, ma, cosa più importante, hanno portato energia". Ad ogni modo questo nuovo modello della formazione di Giove coincide con i dati ricavati da alcuni meteoriti che vennero presentati ad una conferenza negli Stati Uniti lo scorso anno. Difatti le analisi della composizione dei meteoriti all'epoca avevano dimostrato che nei tempi primordiali del Sistema Solare la nebulosa solare rimase divisa in due zone per 2 milioni di anni. Motivo per il quale si era arrivati alla conclusione che Giove si comportò come una sorta di barriera quando crebbe da 20 a 50 volte la massa della Terra: durante periodo il pianeta in formazione deve aver perturbato la nebulosa solare, creando un'eccessiva densità che intrappolò le rocce al di fuori della sua orbita. Pertanto il materiale proveniente dalle regioni esterne non si è potuto mescolare con quello all'interno fino a quando il pianeta non ha raggiunto una massa sufficiente da perturbare e disperdere le rocce verso l'interno. Tuttavia i nuovi dati ottenuti dagli studiosi svizzeri hanno indicato che il periodo durante il quale il giovane pianeta trascorse nell'intervallo che comprendeva una massa da 15 a 50 volte quella della Terra fu molto più lungo di quanto creduto: nel corso di questa fase di formazione, la collisione con rocce della dimensione di chilometri fornì, infatti, abbastanza energia per riscaldare l'atmosfera gassosa di Giove ed evitò il rapido raffreddamento e l'aggregazione di altri gas. A tal proposito Julia Venturini, una delle ricercatrici che ha preso parte allo studio in questione, ha spiegato: "Ci siamo chiesti: «Come potevano essere stati necessari 2 milioni di anni per far crescere Giove da 20 a 50 masse terrestri?». Sembrava un periodo troppo lungo. Questa è stata la domanda che ha scatenato e motivato il nostro studio". Mentre Yann Alibert ha concluso precisando: "Le piccole rocce sono importanti nelle prime fasi per costruire rapidamente un nucleo, ma il calore fornito dai planetesimi è fondamentale per ritardare l'accrescimento del gas in modo che corrisponda alla scala temporale fornita dai dati meteorici". Comunque sia gli scienziati si sono detti convinti che i loro risultati forniscono anche elementi chiave per risolvere, infine, i problemi di vecchia data riguardanti la formazione di Urano, Nettuno e tutti gli esopianeti in questo regime di massa.
Di seguito un'immagine che riassume un po' il tutto:
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