Scoperto che nelle donne il mal di schiena può aumenta il rischio di mortalità.


Sembra proprio che con l'età avanzata il mal di schiena possa mettere in serio pericolo la salute: un tipo di dolore cronico ed insistente può, infatti, aumentare il rischio di mortalità di oltre il 20%; o almeno questo è quanto hanno osservato di recente alcuni ricercatori del Boston Medical Center durante uno studio pubblicato lo scorso Ottobre su The Journal of General Internal Medicine e condotto su un gruppo di donne over 65. In pratica al riguardo Eric Roseen, principale autore della ricerca, ha spiegato: "Il mal di schiena può avere un impatto diretto sulle attività di tutti i giorni ma gli anziani, in maniera inopportuna, potrebbero evitarle per paura di farsi male o di peggiorare i sintomi. Non essere in grado di eseguire determinate azioni, o evitarle del tutto potrebbe portare ad aumento di peso, allo sviluppo o alla progressione di altre condizioni croniche di salute e, infine, a morte prematura". In pratica, come risaputo, il mal di schiena è una condizione estremamente comune e quasi tutti ne avranno a che fare nel corso della loro vita, a qualsiasi età: la sua incidenza è, infatti, in aumento e la disabilità riconducibile al mal di schiena è aumentata, in tutto il mondo, di oltre il 50% dal 1990. Inoltre, secondo alcune stime, le donne tra i 40 e gli 80 anni sono la categoria più colpita; mentre in generale sono sempre le donne, (più degli uomini), che riferiscono un dolore più frequente e disabilitante. Tra l'altro soprattutto a causa dell'allungamento dell'età media e dell'aumento della popolazione il mal di schiena risulta essere progressivamente sempre più diffuso: come hanno ricordato gli stessi scienziati, solo negli Stati Uniti la proporzione di adulti con più di 65 anni è in rapido aumento, perciò ottimizzare le condizioni fisiche degli anziani è un chiaro obiettivo di salute pubblica proprio allo scopo di garantire loro una longevità in salute. Ad ogni modo alla suddetta ricerca hanno partecipato oltre 8.000 donne con almeno 65 anni di età, (la cui età media era di 71,5 anni), e sono state seguite per circa 14 anni: un arco di tempo durante il quale è deceduta più della metà delle partecipanti, e tra queste una quota maggiore tra chi soffriva di mal di schiena, (vale a dire il 65,8% contro il 53,5%). Entrando un po' più nei dettagli le donne sono state divise in 4 gruppi: quelle senza mal di schiena; quelle con dolore non persistente; quelle con dolore persistente ma non frequente; e quelle con dolore frequente e persistente. Per di più le caratteristiche del mal di schiena sono state valutate anche 2 anni dopo lo studio e sono state raccolte delle informazioni relative all'impatto del mal di schiena sulle attività quotidiane e le partecipanti sono state osservate mentre eseguivano particolari azioni. Così facendo gli studiosi hanno scoperto che la disabilità derivata dalla lombalgia si è dimostrata un fattore chiave dietro la relazione tra mal di schiena e mortalità: in particolare la difficoltà ad eseguire una o più attività quotidiane, come camminare su brevi distanze o preparare da mangiare, spiegava circa la metà, (per la precisione il 47%), dell'effetto sulla mortalità dovuto al dolore frequente e persistente; mentre circa un quarto, (ossia rispettivamente il 27% ed il 24%), era riconducibile invece ad altri indici, (misurati in maniera oggettiva), cioè la velocità nel camminare o il tempo impiegato per alzarsi più volte di continuo da una sedia. Comunque sia la conclusione a cui sono giunti i ricercatori vedeva le donne del gruppo con dolore alla schiena frequente e persistente con un maggior rischio di mortalità generale, (pari ovvero al 24% in più rispetto al primo gruppo), ma anche specifico per malattie cardiovascolari e tumore: nessuna associazione è stata tuttavia riscontrata per gli altri 3 gruppi. A tal proposito lo stesso Eric Roseen ha, infine, concluso dichiarando: "Alla luce dei nostri risultati ci si può chiedere se una migliore gestione del mal di schiena nel corso della vita possa prevenire la disabilità, migliorare la qualità di vita ed allungarne la durata media".

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