Sembra proprio che il cosiddetto orecchio assoluto, (vale a dire quella rara capacità di riconoscere all'istante le note musicali posseduta da musicisti del calibro di Mozart, Bach e Beethoven), risiede in una caratteristica del cervello e potrebbe essere maggiormente sotto il controllo del DNA di quanto si pensasse; o almeno questo è quanto hanno fatto sapere di recente alcuni ricercatori dall'Università del Delaware, in collaborazione con la York University, attraverso un loro studio pubblicato in questi giorni sul Journal of Neuroscience. In pratica per arrivare a tale conclusione gli scienziati hanno condotto alcuni test su dei volontari, (musicisti e non), per capire le differenze strutturali nei cervelli dei fortunati possessori di questa capacità. Entrando un po' più nei dettagli gli studiosi hanno messo a confronto le strutture e l'attività della corteccia uditiva, (ovvero la regione della corteccia cerebrale che riceve le informazioni, appunto, di tipo uditivo), di 3 gruppi di volontari, (per la precisione 61 persone), che comprendevano 20 musicisti dotati dell'orecchio assoluto, 20 musicisti con un'abilità simile ma privi della capacità di riconoscere precisamente le note, 20 persone con solo un minimo addestramento musicale ed un outlier dotato di un cosiddetto "orecchio quasi-assoluto" e che però non è stato incluso nei risultati. Così facendo hanno osservato che i volontari appartenenti al primo gruppo risultavano avere una corteccia uditiva significativamente più grande rispetto agli altri, capace di rappresentare ed individuare le diverse note musicali anche senza una nota di riferimento. Inoltre i ricercatori hanno anche scoperto che la maggior parte di questa area del cervello "extra" è dedicata all'elaborazione di una banda più ampia di frequenze, non una banda più ristretta: ciò, secondo gli autori della ricerca, potrebbe indicare una maggiore capacità di usare il cosiddetto "ensemble coding", in cui le reti di neuroni con intervalli di frequenza sovrapposti codificano la nota musicale, invece di una serie più piccola di singoli neuroni. Insomma, come già noto, avere l'orecchio assoluto è molto raro, (anche tra i musicisti più esperti), ed i relativi contributi a questa capacità provenienti dalla genetica e dall'esperienza sono da tempo oggetto di dibattito. Difatti, anche se gli scienziati non sanno esattamente come né perché avvengono queste differenze, si sono detti quasi certi che possano esserci anche componenti genetiche e possibilmente fattori ambientali. Al riguardo Keith Schneider, uno dei principali autori dello studio in questione, ha spiegato: "Ci sono, ad esempio, fratelli e studenti dei programmi musicali Suzuki in Giappone che si sono dimostrati più propensi ad avere un orecchio assoluto. Una cosa che non abbiamo determinato è se questa corteccia più grande è una causa o un effetto. Potrebbero averla dalla nascita oppure potrebbero averla sviluppata attraverso l'allenamento. Non l'abbiamo determinato. Si dovrebbe fare uno studio longitudinale sulla durata della vita delle persone". Mentre Larissa McKetton, altra responsabile dell'analisi, (che oltre ad essere una neuroscienziata è una pianista, cantante e compositrice a pieno titolo), ha dichiarato: "Sono sempre stata affascinata dall'orecchio assoluto. La particolarità di chi possiede un orecchio assoluto è la capacità di percepire una nota o un gruppo di note e ricrearle in assenza di un tono di riferimento. Il mio interesse per le neuroscienze ed il neuroimaging mi ha permesso di scavare più a fondo nei neurali correlati e nei meccanismi che possono essere alla base di questa abilità, cosa che non è stata fatta prima". Comunque sia, come già anticipato, i risultati ottenuti da questa ricerca hanno anche suggerito che il DNA potrebbe avere, infine, un influenza più forte di quanto si pensasse, soprattutto perché circa un quarto dei partecipanti con un orecchio assoluto non avevano iniziato a studiare musica prima dell'adolescenza e quindi è molto probabile che la loro abilità sia in larga misura innata.
Di seguito un breve video pubblicato dagli stessi studiosi:
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