Scoperto che l'orologio cerebrale delle persone autistiche "segna il tempo" in modo diverso.


A quanto pare le cosiddette "finestre del tempo" neurali in alcune aree del cervello potrebbero contribuire ai complessi sintomi cognitivi dell'autismo; o almeno questo è quanto hanno scoperto di recente alcuni ricercatori del RIKEN Center for Brain Science, (in collaborazione con l'University College London e l'Università di Bristol), grazie ad un nuovo studio pubblicato sulla rivista eLife, il quale servendosi dell'imaging cerebrale ha mostrato come la gravità dei sintomi autistici possa essere legata al tempo in cui queste aree cerebrali memorizzavano le informazioni. Da qui la conclusione che le differenze nella scala temporale neurale possono essere alla base delle caratteristiche dell'autismo, (come, ad esempio, l'ipersensibilità), e potrebbero essere utili come strumento diagnostico per il futuro. In pratica solitamente le aree sensoriali del cervello che ricevono input da occhi, pelle e muscoli hanno periodi di elaborazione più brevi rispetto alle aree di ordine superiore che integrano le informazioni e controllano la memoria ed il processo decisionale. Tuttavia questa nuova ricerca ha messo in evidenza come nei soggetti affetti, appunto, da autismo questa gerarchia di tempistiche neurali intrinseche viene interrotta: si pensa che l'elaborazione di informazioni atipiche nel cervello sia alla base dei comportamenti ripetitivi e delle difficoltà socio-comunicazionali osservate nei Disturbi dello Spettro Autistico, (noti anche con la sigla ASD), ma questa è una delle prime indicazioni che le dinamiche temporali su piccola scala potrebbero avere un effetto fuori misura. In sostanza per entrare un po' più nei dettagli durante il suddetto studio gli scienziati hanno confrontato l'imaging a risonanza magnetica del cervello di alcuni uomini adulti affetti da autismo con quelle di persone non colpite da questo disturbo ed hanno osservato che nello stato di riposo entrambi i gruppi mostravano lo schema atteso di scale temporali: più lunghe nelle aree frontali del cervello legate al controllo esecutivo, e più brevi nelle aree sensoriali e motorie. Al riguardo Takamitsu Watanabe, uno dei principali autori della ricerca in questione, ha affermato: "Tempi più brevi significano maggiore sensibilità in una particolare regione del cervello, ed abbiamo trovato che le risposte neurali erano più sensibili in quegli individui con i più gravi sintomi autistici". In particolar modo una delle aree del cervello che mostravano uno schema opposto era il caudato destro, in cui la scala temporale neurale era più lunga del normale soprattutto egli individui con comportamenti più severi, ripetitivi e limitati: queste stesse differenze nell'attività cerebrale sono state trovate anche in scansioni separate di bambini autistici e neurotipici. Ad ogni modo il team di studiosi giapponesi e britannici ha ritenuto che i cambiamenti strutturali in piccole parti del cervello colleghino queste dinamiche locali ai sintomi dell'ASD. Tra l'altro hanno trovato variazioni nel volume di materia grigia nelle aree con scadenze neurali atipiche: una maggiore densità di neuroni può contribuire a schemi di attività neurale ripetitive e ricorrenti, che sono alla base dei tempi più lunghi e più brevi osservati rispettivamente nel caudato destro e nella corteccia bilaterale sensoriale ed in quella visiva. A tal proposito lo stesso Takamitsu Watanabe ha, infine, concluso spiegando: "La scala temporale neurale è una misura di quanto prevedibile l'attività è in una determinata regione del cervello. I tempi più brevi che abbiamo osservato negli individui autistici suggeriscono che i loro cervelli hanno difficoltà a trattenere ed elaborare input sensoriali tanto a lungo quanto le persone neurotipiche. Questo potrebbe spiegare una caratteristica importante dell'autismo, il grande peso dato dal cervello alle informazioni sensoriali locali e la risultante ipersensibilità percettiva".

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