A quanto pare la profondità del sonno può influire sulla capacità del cervello di rimuovere le sostanze di scarto; o almeno questo è quanto hanno suggerito di recente alcuni ricercatori dell'University of Rochester Medical Center e dell'Università di Copenhagen, tramite uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, secondo il quale questa scoperta potrebbe spiegare il legame esistente tra l'invecchiamento, la privazione del sonno e l'aumento del rischio di Alzheimer. In pratica gli scienziati hanno osservato che l'attività lenta e costante del cervello associata al sonno profondo non-REM sarebbe ottimale per il corretto funzionamento del sistema glinfatico, vale a dire il processo attraverso cui il cervello rimuove le proteine tossiche, i fluidi in eccesso ed i prodotti di scarto presenti nel sistema nervoso centrale. In sostanza per giungere a queste conclusioni gli studiosi hanno fatto addormentare un gruppo di topi con 6 diversi tipi di anestesia e ne hanno quindi monitorato l'attività elettrica cerebrale, l'attività cardiovascolare ed il flusso del liquido cerebrospinale. Così facendo al termine dell’esperimento è emerso che la combinazione dei farmaci ketamina ed xilazina era in grado di replicare l'attività elettrica lenta e costante nel cervello e la ridotta frequenza cardiaca che sono associate al sonno profondo non-REM. Inoltre, come già anticipato, i ricercatori hanno osservato che l'impiego di questi due medicinali risultava anche ottimale, appunto, per il funzionamento del sistema glinfatico. Ad ogni modo, secondo gli autori, questi risultati suggeriscono innanzitutto che il sonno profondo non-REM migliorerebbe la capacità del cervello di rimuovere i prodotti di scarto; mentre in secondo luogo rafforzano l'ipotesi di un legame tra sonno, invecchiamento ed il morbo di Alzheimer: dato che il sonno profondo non-REM è importante per il corretto funzionamento del sistema glinfatico, ma con il passare degli anni diventa più difficile da raggiungere, si può concludere dicendo che la riduzione della qualità del sonno potrebbe ostacolare la rimozione cerebrale di proteine tossiche, favorendo il rischio di sviluppare la demenza. Quindi di conseguenza, migliorare il sonno grazie all'impiego di farmaci che replichino il sonno profondo non-REM, potrebbe consentire d'influenzare positivamente il sistema glinfatico e forse prevenire addirittura la malattia di Alzheimer nelle persone più a rischio. Al riguardo Maiken Nedergaard, principale autrice della ricerca in questione ha, infine, concluso spiegando: "Il sonno è fondamentale per il funzionamento del sistema di rimozione dei rifiuti del cervello e questo studio dimostra che più il sonno è profondo, meglio è. Questi risultati confermano anche che la qualità del sonno o la sua privazione possono predire l'insorgenza di Alzheimer e demenza".
A quanto pare la profondità del sonno può influire sulla capacità del cervello di rimuovere le sostanze di scarto; o almeno questo è quanto hanno suggerito di recente alcuni ricercatori dell'University of Rochester Medical Center e dell'Università di Copenhagen, tramite uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, secondo il quale questa scoperta potrebbe spiegare il legame esistente tra l'invecchiamento, la privazione del sonno e l'aumento del rischio di Alzheimer. In pratica gli scienziati hanno osservato che l'attività lenta e costante del cervello associata al sonno profondo non-REM sarebbe ottimale per il corretto funzionamento del sistema glinfatico, vale a dire il processo attraverso cui il cervello rimuove le proteine tossiche, i fluidi in eccesso ed i prodotti di scarto presenti nel sistema nervoso centrale. In sostanza per giungere a queste conclusioni gli studiosi hanno fatto addormentare un gruppo di topi con 6 diversi tipi di anestesia e ne hanno quindi monitorato l'attività elettrica cerebrale, l'attività cardiovascolare ed il flusso del liquido cerebrospinale. Così facendo al termine dell’esperimento è emerso che la combinazione dei farmaci ketamina ed xilazina era in grado di replicare l'attività elettrica lenta e costante nel cervello e la ridotta frequenza cardiaca che sono associate al sonno profondo non-REM. Inoltre, come già anticipato, i ricercatori hanno osservato che l'impiego di questi due medicinali risultava anche ottimale, appunto, per il funzionamento del sistema glinfatico. Ad ogni modo, secondo gli autori, questi risultati suggeriscono innanzitutto che il sonno profondo non-REM migliorerebbe la capacità del cervello di rimuovere i prodotti di scarto; mentre in secondo luogo rafforzano l'ipotesi di un legame tra sonno, invecchiamento ed il morbo di Alzheimer: dato che il sonno profondo non-REM è importante per il corretto funzionamento del sistema glinfatico, ma con il passare degli anni diventa più difficile da raggiungere, si può concludere dicendo che la riduzione della qualità del sonno potrebbe ostacolare la rimozione cerebrale di proteine tossiche, favorendo il rischio di sviluppare la demenza. Quindi di conseguenza, migliorare il sonno grazie all'impiego di farmaci che replichino il sonno profondo non-REM, potrebbe consentire d'influenzare positivamente il sistema glinfatico e forse prevenire addirittura la malattia di Alzheimer nelle persone più a rischio. Al riguardo Maiken Nedergaard, principale autrice della ricerca in questione ha, infine, concluso spiegando: "Il sonno è fondamentale per il funzionamento del sistema di rimozione dei rifiuti del cervello e questo studio dimostra che più il sonno è profondo, meglio è. Questi risultati confermano anche che la qualità del sonno o la sua privazione possono predire l'insorgenza di Alzheimer e demenza".
Commenti
Posta un commento