A quanto pare anche le mutazioni nel cosiddetto "DNA spazzatura" possono contribuire a causare l'autismo; o almeno questo è quanto hanno scoperto alcuni ricercatori del Lewis–Sigler Institute for Integrative Genomics, del Flatiron Institute e del Laboratory of Molecular Neuro-Oncology, dell'Howard Hughes Medical Institute, tramite uno studio pubblicato sulla rivista Nature Genetics, il quale ha sfruttato le tecniche di intelligenza artificiale e rappresenta il primo a collegare funzionalmente tali mutazioni alla condizione di sviluppo neurologico. In pratica gli scienziati hanno utilizzato l'apprendimento automatico per analizzare l'intero genoma di 1.790 individui affetti da autismo e quello dei loro genitori e fratelli non colpiti dal disturbo: questi soggetti non avevano una storia familiare di autismo, il che significa che la causa genetica della loro condizione era probabilmente dovuta a mutazioni spontanee, (che si verificano nello sperma e negli ovuli e/o negli embrioni), piuttosto che mutazioni ereditarie. In sostanza l'analisi ha predetto le ramificazioni delle mutazioni genetiche in parti del genoma che non codificano proteine, (regioni spesso caratterizzate, appunto, come "DNA spazzatura"), ed ha mostrato che il numero di casi di autismo legati alle mutazioni non codificanti era paragonabile al numero di casi collegati a mutazioni codificanti proteine che disabilitano la funzione genica. Al riguardo Olga Troyanskaya, una delle principali autrici della ricerca, ha affermato: "Le implicazioni del lavoro vanno oltre l'autismo. Questa è la prima chiara dimostrazione che mutazioni non ereditarie e non codificanti possono causare qualsiasi malattia o disturbo umano complesso". Mentre Jian Zhou, altro autore dello studio, ha dichiarato: "Gli scienziati possono applicare le stesse tecniche utilizzate nel nostro nuovo studio per esplorare il ruolo che le mutazioni non codificanti svolgono in malattie come il cancro e le malattie cardiache. Ciò consente una nuova prospettiva sulla causa non solo dell'autismo, ma di molte malattie umane". Praticamente, come già noto, solo l'1-2% del genoma umano è costituito da geni che codificano la produzione di proteine, le quali a loro volta svolgono compiti in tutto il corpo, (come regolare i livelli di zucchero nel sangue, combattere le infezioni e inviare comunicazioni tra le cellule). Tuttavia l'altro 98% non è un peso morto genetico poiché le regioni non codificanti aiutano a regolare quando e dove i geni producono proteine. Inoltre, anche se le mutazioni nelle regioni codificanti proteine rappresentano il 30% dei casi di autismo in individui senza una storia familiare di tale disturbo, le prove hanno suggerito che le mutazioni che causano l'autismo avvengono anche altrove nel genoma. Ciononostante scoprire quali mutazioni non codificanti possono causare la patologia in questione non è tanto semplice: un singolo individuo può avere dozzine di mutazioni non codificanti, molte delle quali saranno uniche per l'individuo; il che rende inadatto l'approccio tradizionale di identificazione usato per le mutazioni comuni. Motivo per il quale, come già detto, durante la suddetta ricerca gli studiosi hanno deciso di adottare un nuovo approccio: hanno addestrato un modello di apprendimento automatico per prevedere come una data sequenza influirebbe sull'espressione genica. In merito a ciò Chandra Theesfeld, altra principale autrice dello studio, ha spiegato: "Questo è un cambiamento nel pensare agli studi genetici che stiamo introducendo con questa analisi. Oltre agli scienziati che studiano le mutazioni genetiche condivise tra ampi gruppi di individui, qui stiamo applicando una serie di strumenti intelligenti e sofisticati che ci dicono cosa farà ogni specifica mutazione, anche quelle che sono rare o mai osservate prima". Tra l'altro i ricercatori hanno studiato le basi genetiche dell'autismo applicando il modello di apprendimento automatico ad un tesoro di dati genetici chiamato Simons Simplex Collection, che contiene l'intero genoma di quasi 2.000 "quartetti" composti, appunto, da un bambino con autismo, un fratello ed i loro genitori non affetti. Insomma, i ricercatori hanno usato il loro modello per predire l'impatto di mutazioni non codificate e non codificanti in ogni bambino con autismo ed hanno quindi confrontato quelle previsioni con gli effetti dello stesso filone immutato nel fratello non affetto del bambino. A tal proposito lo stesso Jian Zhou ha affermato: "Il design della Simons Simplex Collection è ciò che ci ha permesso di fare questo studio. I fratelli non affetti sono un controllo integrato". Ad ogni modo la ricerca ha suggerito che le mutazioni non codificanti presenti in molti dei bambini con regolazione genica alterata dall'autismo possono influenzare l'espressione genica nel cervello e geni già legati a questo disturbo, come quelli responsabili della migrazione e dello sviluppo dei neuroni. Al riguardo Christopher Park, un altro autore dello studio in questione, ha detto: "Questo è coerente con il modo in cui l'autismo si manifesta molto probabilmente nel cervello. Non è solo il numero di mutazioni che si verificano, ma anche il tipo di mutazioni si verificano". Per di più gli scienziati hanno testato gli effetti di alcune delle mutazioni non codificanti in alcuni esperimenti di laboratorio: inserirono le predette mutazioni ad alto impatto riscontrate nei bambini con autismo nelle cellule, hanno osservato che i cambiamenti risultanti nell'espressione genica confermavano le previsioni del modello. Comunque sia gli studiosi adesso continueranno a migliorare e ad espandere il loro metodo, con la speranza che il lavoro migliorerà il modo in cui i dati genetici vengono utilizzati per diagnosticare e curare malattie e disturbi. A tal proposito Olga Troyanskaya ha, infine, concluso commentando: "In questo momento, il 98% del genoma viene solitamente "gettato via". Il nostro lavoro consente di pensare a cosa si potrebbe fare con questo 98%".
A quanto pare anche le mutazioni nel cosiddetto "DNA spazzatura" possono contribuire a causare l'autismo; o almeno questo è quanto hanno scoperto alcuni ricercatori del Lewis–Sigler Institute for Integrative Genomics, del Flatiron Institute e del Laboratory of Molecular Neuro-Oncology, dell'Howard Hughes Medical Institute, tramite uno studio pubblicato sulla rivista Nature Genetics, il quale ha sfruttato le tecniche di intelligenza artificiale e rappresenta il primo a collegare funzionalmente tali mutazioni alla condizione di sviluppo neurologico. In pratica gli scienziati hanno utilizzato l'apprendimento automatico per analizzare l'intero genoma di 1.790 individui affetti da autismo e quello dei loro genitori e fratelli non colpiti dal disturbo: questi soggetti non avevano una storia familiare di autismo, il che significa che la causa genetica della loro condizione era probabilmente dovuta a mutazioni spontanee, (che si verificano nello sperma e negli ovuli e/o negli embrioni), piuttosto che mutazioni ereditarie. In sostanza l'analisi ha predetto le ramificazioni delle mutazioni genetiche in parti del genoma che non codificano proteine, (regioni spesso caratterizzate, appunto, come "DNA spazzatura"), ed ha mostrato che il numero di casi di autismo legati alle mutazioni non codificanti era paragonabile al numero di casi collegati a mutazioni codificanti proteine che disabilitano la funzione genica. Al riguardo Olga Troyanskaya, una delle principali autrici della ricerca, ha affermato: "Le implicazioni del lavoro vanno oltre l'autismo. Questa è la prima chiara dimostrazione che mutazioni non ereditarie e non codificanti possono causare qualsiasi malattia o disturbo umano complesso". Mentre Jian Zhou, altro autore dello studio, ha dichiarato: "Gli scienziati possono applicare le stesse tecniche utilizzate nel nostro nuovo studio per esplorare il ruolo che le mutazioni non codificanti svolgono in malattie come il cancro e le malattie cardiache. Ciò consente una nuova prospettiva sulla causa non solo dell'autismo, ma di molte malattie umane". Praticamente, come già noto, solo l'1-2% del genoma umano è costituito da geni che codificano la produzione di proteine, le quali a loro volta svolgono compiti in tutto il corpo, (come regolare i livelli di zucchero nel sangue, combattere le infezioni e inviare comunicazioni tra le cellule). Tuttavia l'altro 98% non è un peso morto genetico poiché le regioni non codificanti aiutano a regolare quando e dove i geni producono proteine. Inoltre, anche se le mutazioni nelle regioni codificanti proteine rappresentano il 30% dei casi di autismo in individui senza una storia familiare di tale disturbo, le prove hanno suggerito che le mutazioni che causano l'autismo avvengono anche altrove nel genoma. Ciononostante scoprire quali mutazioni non codificanti possono causare la patologia in questione non è tanto semplice: un singolo individuo può avere dozzine di mutazioni non codificanti, molte delle quali saranno uniche per l'individuo; il che rende inadatto l'approccio tradizionale di identificazione usato per le mutazioni comuni. Motivo per il quale, come già detto, durante la suddetta ricerca gli studiosi hanno deciso di adottare un nuovo approccio: hanno addestrato un modello di apprendimento automatico per prevedere come una data sequenza influirebbe sull'espressione genica. In merito a ciò Chandra Theesfeld, altra principale autrice dello studio, ha spiegato: "Questo è un cambiamento nel pensare agli studi genetici che stiamo introducendo con questa analisi. Oltre agli scienziati che studiano le mutazioni genetiche condivise tra ampi gruppi di individui, qui stiamo applicando una serie di strumenti intelligenti e sofisticati che ci dicono cosa farà ogni specifica mutazione, anche quelle che sono rare o mai osservate prima". Tra l'altro i ricercatori hanno studiato le basi genetiche dell'autismo applicando il modello di apprendimento automatico ad un tesoro di dati genetici chiamato Simons Simplex Collection, che contiene l'intero genoma di quasi 2.000 "quartetti" composti, appunto, da un bambino con autismo, un fratello ed i loro genitori non affetti. Insomma, i ricercatori hanno usato il loro modello per predire l'impatto di mutazioni non codificate e non codificanti in ogni bambino con autismo ed hanno quindi confrontato quelle previsioni con gli effetti dello stesso filone immutato nel fratello non affetto del bambino. A tal proposito lo stesso Jian Zhou ha affermato: "Il design della Simons Simplex Collection è ciò che ci ha permesso di fare questo studio. I fratelli non affetti sono un controllo integrato". Ad ogni modo la ricerca ha suggerito che le mutazioni non codificanti presenti in molti dei bambini con regolazione genica alterata dall'autismo possono influenzare l'espressione genica nel cervello e geni già legati a questo disturbo, come quelli responsabili della migrazione e dello sviluppo dei neuroni. Al riguardo Christopher Park, un altro autore dello studio in questione, ha detto: "Questo è coerente con il modo in cui l'autismo si manifesta molto probabilmente nel cervello. Non è solo il numero di mutazioni che si verificano, ma anche il tipo di mutazioni si verificano". Per di più gli scienziati hanno testato gli effetti di alcune delle mutazioni non codificanti in alcuni esperimenti di laboratorio: inserirono le predette mutazioni ad alto impatto riscontrate nei bambini con autismo nelle cellule, hanno osservato che i cambiamenti risultanti nell'espressione genica confermavano le previsioni del modello. Comunque sia gli studiosi adesso continueranno a migliorare e ad espandere il loro metodo, con la speranza che il lavoro migliorerà il modo in cui i dati genetici vengono utilizzati per diagnosticare e curare malattie e disturbi. A tal proposito Olga Troyanskaya ha, infine, concluso commentando: "In questo momento, il 98% del genoma viene solitamente "gettato via". Il nostro lavoro consente di pensare a cosa si potrebbe fare con questo 98%".
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