A quanto pare l'espressione di diversi geni precedentemente associati all'autismo risulterebbe essere anormale anche nella psicopatia; o almeno questo è quanto hanno fatto sapere alcuni ricercatori dell'Università della Finlandia orientale, dell'Università di Helsinki e dell'Istituto Karolinska, attraverso uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, durante il quale è stata utilizzata la tecnologia delle cellule staminali per analizzare l'espressione di geni e proteine nelle cellule cerebrali di alcuni criminali psicopatici ed i cui i risultati potrebbero aprire nuove strade per il trattamento della patologia in questione. In pratica, come già risaputo, la psicopatia è una forma estrema di comportamento antisociale, con una prevalenza circa dell'1% nella popolazione generale ed una prevalenza del 10-30% tra i criminali incarcerati: si tratta di una malattia fortemente ereditaria, ma non è chiaro se sia associata ad un'espressione anormale di geni oppure a delle proteine nei neuroni. O così era stato finora, in quanto, come già anticipato, nel corso della suddetta ricerca gli scienziati hanno usato le cellule staminali per analizzare l'espressione di geni e proteine associati alla psicopatia: le cellule della pelle dei partecipanti, (criminali psicopatici e persone sane, facenti parte del gruppo di controllo), sono state impiegate per creare cellule staminali pluripotenti indotte, che sono state poi differenziate in neuroni corticali ed astrociti. Inoltre, considerando che nei criminali presi in esame la psicopatia era accompagnata da abuso di sostanze, gli studiosi hanno "reclutato" anche tossicodipendenti non affetti dal disturbo mentale; il che ha permesso loro di determinare quali anomalie fossero associate esclusivamente alla psicopatia. Difatti i ricercatori hanno scoperto che la patologia in questione risulta essere associata a forti alterazioni nell'espressione dei geni e nei percorsi molecolari correlati alla risposta immunitaria. Tra l'altro hanno osservato che nei neuroni la psicopatia era associata ad una marcata sovraespressione dei geni RPL10P9 e ZNF132 e ad una sottoregolazione di CDH5 ed OPRD1; mentre negli astrociti a risultare sovraregolati erano i geni RPL10P9 e MT-RNR2. In sostanza l'espressione di questi geni ha spiegato il 30-92% della varietà dei sintomi legati alla psicopatia, la quale è risultata essere associata anche ad un'alterata espressione delle proteine del metabolismo del glucosio e del sistema oppioide. Comunque sia diversi studi precedenti avevano suggerito che il comportamento violento e psicotico sono associati proprio ad alterazioni del metabolismo del glucosio ed alla cosiddetta "neurotrasmissione oppioidergica" ed adesso queste nuove scoperte sono andate a supportare l'idea che la funzione anomala del sistema oppioide sia un fattore alla base della psicopatia; il che, secondo gli scienziati, suggerisce che l'uso di iniezioni a lungo termine di naltrexone o buprenorfina per bilanciare il sistema oppioide potrebbe essere, infine, un possibile trattamento futuro per combattere il disturbo mentale in questione.
A quanto pare l'espressione di diversi geni precedentemente associati all'autismo risulterebbe essere anormale anche nella psicopatia; o almeno questo è quanto hanno fatto sapere alcuni ricercatori dell'Università della Finlandia orientale, dell'Università di Helsinki e dell'Istituto Karolinska, attraverso uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, durante il quale è stata utilizzata la tecnologia delle cellule staminali per analizzare l'espressione di geni e proteine nelle cellule cerebrali di alcuni criminali psicopatici ed i cui i risultati potrebbero aprire nuove strade per il trattamento della patologia in questione. In pratica, come già risaputo, la psicopatia è una forma estrema di comportamento antisociale, con una prevalenza circa dell'1% nella popolazione generale ed una prevalenza del 10-30% tra i criminali incarcerati: si tratta di una malattia fortemente ereditaria, ma non è chiaro se sia associata ad un'espressione anormale di geni oppure a delle proteine nei neuroni. O così era stato finora, in quanto, come già anticipato, nel corso della suddetta ricerca gli scienziati hanno usato le cellule staminali per analizzare l'espressione di geni e proteine associati alla psicopatia: le cellule della pelle dei partecipanti, (criminali psicopatici e persone sane, facenti parte del gruppo di controllo), sono state impiegate per creare cellule staminali pluripotenti indotte, che sono state poi differenziate in neuroni corticali ed astrociti. Inoltre, considerando che nei criminali presi in esame la psicopatia era accompagnata da abuso di sostanze, gli studiosi hanno "reclutato" anche tossicodipendenti non affetti dal disturbo mentale; il che ha permesso loro di determinare quali anomalie fossero associate esclusivamente alla psicopatia. Difatti i ricercatori hanno scoperto che la patologia in questione risulta essere associata a forti alterazioni nell'espressione dei geni e nei percorsi molecolari correlati alla risposta immunitaria. Tra l'altro hanno osservato che nei neuroni la psicopatia era associata ad una marcata sovraespressione dei geni RPL10P9 e ZNF132 e ad una sottoregolazione di CDH5 ed OPRD1; mentre negli astrociti a risultare sovraregolati erano i geni RPL10P9 e MT-RNR2. In sostanza l'espressione di questi geni ha spiegato il 30-92% della varietà dei sintomi legati alla psicopatia, la quale è risultata essere associata anche ad un'alterata espressione delle proteine del metabolismo del glucosio e del sistema oppioide. Comunque sia diversi studi precedenti avevano suggerito che il comportamento violento e psicotico sono associati proprio ad alterazioni del metabolismo del glucosio ed alla cosiddetta "neurotrasmissione oppioidergica" ed adesso queste nuove scoperte sono andate a supportare l'idea che la funzione anomala del sistema oppioide sia un fattore alla base della psicopatia; il che, secondo gli scienziati, suggerisce che l'uso di iniezioni a lungo termine di naltrexone o buprenorfina per bilanciare il sistema oppioide potrebbe essere, infine, un possibile trattamento futuro per combattere il disturbo mentale in questione.
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