Svelato come l'intestino protegge il fegato dai danni provocati dall'assunzione di fruttosio.


Sembra proprio che dopo aver consumato un cibo o una bevanda contenente fruttosio, il sistema gastrointestinale aiuta a proteggere il fegato dai danni abbattendo lo zucchero prima che raggiunga tale organo; o almeno questo è quanto hanno dimostrato alcuni ricercatori della Perelman School of Medicine, della Princeton University e della Weill Cornell Medicine, attraverso un nuovo studio multicentrico pubblicato in questi giorni su Nature Metabolism. Tuttavia gli scienziati hanno anche scoperto che il consumo elevato di fruttosio, (in particolare in un breve periodo di tempo), può sopraffare l'intestino, causando la "fuoriuscita" dello zucchero nel fegato, dove provoca scompiglio e causare la steatosi epatica (comunemente nota come "fegato grasso"). In pratica si tratta di risultati, (ottenuti per il momento su modello murino), che hanno aiutato a dare una riposta a domande di lunga data su come il corpo metabolizza il fruttosio, (ossia una forma di zucchero che si trova spesso in frutta, verdura e miele; così come nella maggior parte degli alimenti trasformati sotto forma di isoglucosio). Al riguardo Zoltan Arany, uno dei principali autori della suddetta ricerca, ha affermato: "Ciò che abbiamo scoperto e mostrato è che, dopo aver mangiato o bevuto fruttosio, l'intestino consuma prima il fruttosio, contribuendo a proteggere il fegato dai danni indotti dal fruttosio. È importante sottolineare che dimostriamo anche che consumare il cibo o la bevanda lentamente durante un pasto lungo, piuttosto che in un solo sorso, può mitigare le conseguenze negative". In sostanza, come già noto, lavori precedenti hanno fatto vedere che il consumo eccessivo di fruttosio può, appunto, risultare tossico per il fegato: quando grandi quantità di questo zucchero raggiungono l'organo in questione, quest'ultimo usa il fruttosio in eccesso per creare grasso, (nel corso di un processo chiamato lipogenesi), e dunque alla fine le persone che consumano troppo fruttosio possono sviluppare, appunto, una steatosi epatica non alcolica, una condizione in cui viene immagazzinato troppo grasso nelle cellule del fegato. Ad ogni modo finora non era mai stato chiaro se il ruolo dell'intestino nel trattamento del fruttosio prevenga o contribuisca la lipogenesi indotta dal fruttosio e lo sviluppo di malattie del fegato; motivo per il quale gli studiosi hanno deciso di prendere in esame un particolare enzima chiave, (chiamato ketohexokinase), che controlla la velocità con cui viene consumato il fruttosio: ingegnerizzando geneticamente su alcuni topi hanno così osservato che abbassare i livelli di questo enzima nell'intestino portava a fegati grassi negli animali, e che, al contratio, aumentare il livello di ketohexokinase nell'intestino proteggeva gli esemplari dallo sviluppo del "fegato grasso". Tra l'altro i ricercatori hanno anche rilevato che nei topi da laboratorio la scomposizione del fruttosio nell'intestino mitigava lo sviluppo di grasso extra nelle cellule del fegato e che la velocità con cui l'intestino può liberare il fruttosio determina la velocità con cui tale zucchero può essere ingerito in modo sicuro. Per di più gli scienziati sono anche stati in grado di mostrare che la stessa quantità di fruttosio ha maggiori probabilità di provocare lo sviluppo della steatosi epatica quando viene consumato attraverso una bevanda, e che si va in contro ad un maggiore rischio di incorrere in questa condizione quando si consuma fruttosio in un unica volta piuttosto che in diverse dosi distribuite in 45 minuti. A tal proposito lo stesso Zoltan Arany ha, infine, concluso spiegando: "Collettivamente i nostri risultati mostrano che il fruttosio induce la lipogenesi quando il tasso di assunzione supera la capacità dell'intestino di elaborare il fruttosio e proteggere il fegato. Nel moderno contesto di eccessiva disponibilità e consumo di alimenti processati, è facile vedere come la conseguente diffusione di fruttosio possa guidare la sindrome metabolica. Naturalmente sono necessarie ulteriori ricerche per determinare la misura in cui risultati ottenuti sui topi si estendono agli esseri umani".

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