Sebbene l'attività della malattia migliora nel tempo per la maggior parte dei pazienti affetti da artrite reumatoide, (nota anche con la sigla RA), gli esiti a lungo termine migliorano solo in quelli colpiti dalla patologia con i cosiddetti "autoanticorpi"; o almeno questo questo è quanto hanno osservato di recente alcuni ricercatori del Leiden University Medical Center nel corso di un loro studio pubblicato sulla rivista PLOS Medicine, i cui risultati si sono aggiunti ad un numero sempre più crescente di prove che sostengono la RA con e senza autoanticorpi sono due condizioni distinte. In pratica, come già noto da tempo, l'artrite reumatoide è il tipo più comune di poliartrite autoimmune, (che si manifesta quando il sistema immunitario attacca le cellule sane nei rivestimenti delle articolazioni), e nell'ultimo decennio è diventato sempre più chiaro che ci sono alcune differenze più o meno sostanziali nei pazienti affetti, appunto, dalla malattia in questione con e senza autoanticorpi rilevabili nel sangue. Ad ogni modo nel corso della suddetta nuova ricerca gli scienziati hanno seguito 1.285 pazienti affetti da RA tra il 1993 ed il 2016, (rispettivamente 823 con autoanticorpi e 462 senza), attraverso la coorte Leiden Early Arthritis Clinic: ogni anno sono stati raccolti dati sui sintomi dei pazienti, i trattamenti, lo stato degli autoanticorpi, la disabilità e la mortalità. In sostanza così facendo è emerso che, nonostante in entrambi i gruppi l'attività della malattia risultava essere diminuita significativamente con il passare del tempo, i tassi di remissione senza farmaci erano aumentati tra i pazienti con RA autoanticorpo-positiva, ma non tra quelli con RA autoanticorpo-negativa, poiché tra il 2006 ed il 2010 è divenuta comune una nuova strategia di trattamento. Inoltre gli studiosi hanno anche constatato che i tassi di mortalità e di disabilità funzionale erano diminuiti grazie a questo tipo di trattamento soltanto nei pazienti autoanticorpo-positivi. Al riguardo Xanthe Matthijssen, una delle principali autrici dell'indagine in questione, ha spiegato: "La disconnessione tra il miglioramento dell'attività della malattia ed il conseguente miglioramento degli esiti a lungo termine nella RA senza autoanticorpi suggerisce che la patogenesi sottostante della RA con e senza autoanticorpi è diversa. Proponiamo che sia giunto il momento di dividere formalmente la RA in tipo 1, (con autoanticorpi), e tipo 2, (senza autoanticorpi), nella speranza che questo porti ad un trattamento stratificato nella RA autoanticorpo-positiva ed autoanticorpo-negativa". Ed ha, infine, concluso dichiarando: "Nell'ultimo decennio la ricerca della RA si è concentrata in gran parte sul sottoinsieme autoanticorpo-positivo. Sono urgentemente necessarie ulteriori ricerche sulla RA autoanticorpo-negativa per identificare metodi per migliorare anche i loro risultati a lungo termine".
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