Individuato un legame tra l'inquinamento atmosferico, la demenza e la depressione nelle donne più anziane.

 
Che l'inquinamento dell'aria sia dannoso per la salute non è di certo una novità assoluta, ma pare che le donne più anziane che vivono in luoghi con livelli di inquinamento atmosferico più elevati possano avere un maggiore restringimento cerebrale, (cioè lo stesso tipo visto nella malattia di Alzheimer), rispetto alle altre; o almeno questo è quanto ha rivelato uno studio pubblicato in questi giorni sulla rivista Neurology da parte di alcuni ricercatori dell'University of Southern California, Los Angeles, il quale ha esaminato l'inquinamento da polveri sottili, (per la precisione del PM2.5), ed ha, appunto, scoperto che la respirazione di alti livelli di questo tipo di inquinamento atmosferico è legata al restringimento delle aree del cervello vulnerabili all'Alzheimer. In pratica, come già risaputo, l'inquinamento da particelle fini è costituito da particelle microscopiche di sostanze chimiche, fumo, polvere ed altri inquinanti sospesi nell'aria, che non risultano essere più grandi di 2,5 micrometri, (ovvero 30 volte più piccole della larghezza di un capello umano). Al riguardo Diana Younan, una delle principali autrici, ha dichiarato: "Il volume più piccolo del cervello è un noto fattore di rischio per la demenza ed il morbo di Alzheimer, ma non è ancora ben chiaro se l'inquinamento atmosferico altera la struttura del cervello. Il nostro studio ha trovato che le donne nei loro 70 ed 80 anni esposte a livelli più alti di inquinamento atmosferico avevano un aumentato rischio di cambiamenti cerebrali legati al morbo di Alzheimer nel giro di 5 anni. La nostra ricerca suggerisce che queste tossine possono disturbare la struttura del cervello o le connessioni nella rete di cellule nervose, contribuendo alla progressione verso la malattia". In sostanza per arrivare a tale conclusione gli scienziati hanno reclutato 712 donne con un'età media di 78 anni che all'inizio della ricerca non erano affette da demenza ed alle quali è stato chiesto di fornire le proprie storie cliniche, nonché informazioni su razza/etnia, istruzione, occupazione, uso di alcolici, fumo e attività fisica: tutte le donne sono state, inoltre, sottoposte ad una scansione di imaging a risonanza magnetica, (nota anche con la sigla MRI), al cervello sia nella fase iniziale dell'analisi che 5 anni dopo. Per di più gli studiosi hanno utilizzato gli indirizzi residenziali di ogni partecipante per determinare la loro esposizione media all'inquinamento atmosferico nei 3 anni precedenti la prima scansione di MRI e le hanno poi divise in 4 gruppi uguali: quello con la più bassa esposizione era stato esposto ad una media di 7-10 microgrammi di inquinamento da particelle fini per metro cubo d'aria, (o μg/m3); mentre quello con l'esposizione più alta ad una media di 13-19 μg/m3, (ossia al di sopra della media massima considerata sicura di 12 μg/m3). Tra l'altro i ricercatori hanno usufruito di uno strumento di apprendimento automatico addestrato per identificare i modelli di restringimento cerebrale specifici per un aumento del rischio di Alzheimer leggendo le scansioni cerebrali delle persone con questa malattia. Ad ogni modo a tutte le suddette scansioni cerebrali MRI delle partecipanti sono stati assegnati dei punteggi in base a quanto fossero simili ai modelli di malattia di Alzheimer identificati dallo strumento di apprendimento automatico, ed in particolare i cambiamenti cerebrali nelle regioni risultate vulnerabili alla patologia: questi punteggi variavano da 0 ad 1, con quelli più alti che mostravano più cambiamenti cerebrali; nel complesso i punteggi delle donne sono cambiati dallo 0,28 all'inizio dello studio allo 0,44 verso la fine. Oltretutto per ogni 3 μg/m3 di aumento dei livelli di esposizione all'inquinamento atmosferico, gli scienziati hanno trovato una gamma più ampia di punteggi tra le due scansioni ed un aumento medio di 0,03, mostrando un maggiore grado di restringimento cerebrale nell'arco di 5 anni, (equivalente ad un aumento del 24% del rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer). Come se non bastasse si è visto che tali aumenti rimanevano invariati anche dopo essere stati adattati all'età, all'istruzione, all'occupazione, alle malattie cardiovascolari, all'ipertensione, all'attività fisica e ad altri fattori che potrebbero influenzare il restringimento cerebrale. In merito a ciò la stessa Diana Younan ha concluso spiegando: "Le nostre scoperte hanno importanti implicazioni per la salute pubblica, perché non solo abbiamo trovato il restringimento cerebrale nelle donne esposte a livelli più alti di inquinamento atmosferico, ma lo abbiamo trovato anche nelle donne esposte a livelli di inquinamento atmosferico inferiori a quelli considerati sicuri. Anche se sono necessarie ulteriori ricerche, gli sforzi federali per inasprire gli standard di esposizione all'inquinamento atmosferico in futuro potrebbero aiutare a ridurre il rischio di Alzheimer nelle nostre popolazioni più anziane". Difatti le limitazioni dell'indagine in questione consistono nel fatto che ha preso in esame solo il cervello delle donne più anziane, (quindi i risultati potrebbero non essere gli stessi per gli uomini o le donne più giovani), ed anche che ha esaminato solamente l'inquinamento regionale da polveri sottili, non altre fonti di inquinamento, (come, ad esempio, le emissioni del traffico). In aggiunta gli studiosi non sono stati, infine, in grado di stimare l'esposizione delle partecipanti all'inquinamento da particelle sottili nella mezza età e nell'età adulta a causa della mancanza di dati a livello nazionale per queste fasce d'età. Comunque sia sempre di recente un altro studio pubblicato sul Journal of the American Geriatrics Society e condotto dagli stessi ricercatori dell'University of Southern California, Los Angeles, (in collaborazione con la Wake Forest School of Medicine, la Chapman University, l'University of Washington, il Brigham and Women's Hospital, il Laboratory of Behavioral Neuroscience, la Boston University e l'University of California, Riverside), su un gruppo di donne di 80 anni e più, ha associato un maggiore esposizione all'inquinamento atmosferico ad un aumento dei sintomi depressivi. Praticamente esaminando i singoli inquinanti atmosferici gli scienziati hanno constatato che l'esposizione a lungo termine al diossido di azoto o all'inquinamento atmosferico da polveri sottili era, appunto, collegata ad un aumento dei sintomi della depressione, ma con solo un piccolo effetto. Inoltre i risultati del suddetto lavoro hanno anche suggerito che i sintomi depressivi potrebbero avere un ruolo nel collegare l'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico al declino della memoria più di 10 anni dopo l'esposizione. Al riguardo Andrew Petkus, uno dei principali autori, ha affermato: "Questo è il primo studio che mostra come le esposizioni all'inquinamento atmosferico influenzino i sintomi depressivi e l'interrelazione tra i sintomi ed il successivo declino della memoria che non era stato trovato in persone anziane di età inferiore agli 80 anni". Mentre Jiu-Chiuan Chen, altro principale responsabile delle analisi, ha, infine, aggiunto: "Sappiamo che le esposizioni tardive agli inquinanti dell'aria ambiente accelerano l'invecchiamento del cervello ed aumentano il rischio di demenza, ma le nostre nuove scoperte suggeriscono che le popolazioni più anziane possono rispondere alla neurotossicità dell'inquinamento atmosferico in un modo diverso che deve essere studiato ulteriormente".

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