Come già risaputo, quando un virus entra nel corpo viene raccolto da alcune cellule del sistema immunitario che lo trasportano verso i linfonodi, dove presentano i suoi frammenti, (noti come antigeni), alle cellule T CD8+ responsabili del controllo delle infezioni virali: ognuna di queste cellule porta un unico recettore di cellule T sulla superficie che può riconoscere specifici antigeni. Tuttavia solo pochissimi recettori corrispondono ad un dato antigene virale: per portare l'infezione sotto controllo e massimizzare le difese contro il virus, queste poche cellule T specifiche dell'antigene iniziano a dividersi rapidamente e si sviluppano in cellule T effettori, le quali uccidono le cellule ospiti infettate dal virus e poi muoiono da sole una volta che l'infezione è stata eliminata. Inoltre, secondo la teoria generalmente accettata, alcune di queste cellule effettori di breve durata si trasformano in cellule T della memoria, che persistono a lungo nell'organismo: nel caso in cui lo stesso agente patogeno entra di nuovo nell'organismo questa tipologia di cellule T sono già presenti e pronte a combattere l'invasore più rapidamente ed efficacemente che durante il primo incontro. Ad ogni modo adesso alcuni ricercatori dell'Institute for Medical Microbiology, Immunology and Hygiene, (in collaborazione con il German Cancer Research Center e l'Helmholtz Centre for Infection Research), tramite uno studio su modello murino pubblicato sulla rivista Nature Immunology, hanno fatto sapere di aver osservato un corso degli eventi diverso. Al riguardo Veit Buchholz, uno dei principali autori, ha dichiarato: "L'opinione scientifica prevalente dice che le cellule T attivate diventano prima cellule effettori e solo dopo si sviluppano gradualmente in cellule della memoria. A nostro avviso, però, non è così. Significherebbe che più cellule effettori si formano dopo il contatto con l'agente patogeno, più numerose diventano le cellule della memoria". Mentre Simon Grassmann, altro principale responsabile dell'indagine in questione, ha poi aggiunto: "Abbiamo studiato le risposte immunitarie antivirali derivanti dalle singole cellule T attivate nei topi ed abbiamo tracciato la discendenza delle cellule della memoria che ne derivano utilizzando la mappatura del destino a cellule singole. Sulla base di questi esperimenti siamo stati in grado di dimostrare che alcune "famiglie di cellule T" discendenti da singole cellule formano fino a 1.000 volte più "memoria" di altre. Tuttavia queste famiglie di cellule T dominanti a lungo termine hanno contribuito poco alla grandezza della risposta immunitaria iniziale, che è stata dominata da cellule effettori derivate da altre famiglie di cellule T di vita più breve". In pratica in questo modo gli scienziati hanno visto che a livello di singole cellule sia lo sviluppo delle cellule effettori che della memoria si separa in una fase molto più precoce di quanto si credesse in precedenza. Difatti in merito a ciò Lorenz Mihatsch, anch'esso uno dei principali autori della suddetta ricerca ha spiegato: "Già nella prima settimana dopo il confronto con l'agente patogeno, abbiamo visto grandi differenze nelle trascrizioni delle famiglie di cellule T rilevate. Normalmente in questo momento della risposta immunitaria le cellule T CD8+ si arricchiscono di molecole che aiutano ad uccidere le cellule infette da virus. Tuttavia non abbiamo trovato alcuna indicazione di queste molecole citolitiche nelle famiglie di cellule T dominanti a lungo termine. Al contrario già in questa fase iniziale erano orientate esclusivamente allo sviluppo di cellule della memoria". Comunque sia a tal proposito lo stesso Veit Buchholz ha, infine, concluso sostenendo: "Questi risultati potrebbero aiutare a migliorare il futuro sviluppo dei vaccini. Per generare una risposta immunitaria ottimale attraverso la vaccinazione l'organismo deve produrre il maggior numero possibile di cellule della memoria. A tal fine è importante avere una comprensione precisa di come vengono programmate le singole cellule T. Il nostro studio potrebbe anche rivelarsi utile per aiutare a riconoscere prima se un nuovo vaccino è efficace. Per determinare la forza a lungo termine di una risposta immunitaria potrebbe essere utile misurare il numero di precursori delle cellule della memoria entro pochi giorni dalla somministrazione di un vaccino".
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