Osservato come appare la solitudine nel cervello.

 
Come ampiamente dimostrato in passato, la solitudine e l'isolamento sociale influenzano negativamente la salute mentale e fisica delle persone; tuttavia di recente un gruppo di ricercatori della McGill University, (in collaborazione con la Vrije Universiteit Amsterdam, l'University of Pennsylvania, la Cornell University, l'RWTH Aachen University Hospital, il Massachusetts General Hospital, la Yale University, la National University of Singapore, la York University e l'University of Oxford), attraverso un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha rilevato una sorta di firma nei cervelli degli individui soli che li rende distinti in modi fondamentali, basati sulle variazioni di volume delle diverse regioni cerebrali, nonché su come queste regioni comunicano tra loro attraverso le reti cerebrali. In pratica gli scienziati hanno passato in rassegna i dati dell'imaging a risonanza magnetica, (nota anche con la sigla MRI), della genetica e dell'autovalutazioni psicologiche di circa 40.000 adulti di mezza età ed anziani che si sono offerti volontari per far parte dell'UK Biobank, ed hanno poi confrontato i dati dell'MRI dei partecipanti che avevano riferito di sentirsi spesso soli con quelli che invece non l'avevano fatto: così facendo hanno trovato diverse differenze nei cervelli delle persone che soffrivano di solitudine. In sostanza queste manifestazioni cerebrali erano incentrate su quello che viene chiamato default mode network, (conosciuto anche con l'acronimo DMN): un insieme di regioni cerebrali coinvolte in pensieri interiori come il ricordo, la pianificazione del futuro, l'immaginazione ed il pensiero degli altri. Ad ogni modo entrando un po' più nei dettagli gli studiosi hanno scoperto che le DMN delle persone sole erano più fortemente collegate tra loro e, sorprendentemente, il loro volume di materia grigia in tali regioni risultava essere maggiore. Tra l'altro è anche emerso che la solitudine era correlata alle differenze nel fornice, vale a dire un fascio di fibre nervose che trasporta i segnali dall'ippocampo al default mode network e la cui struttura si è rivelata essere meglio conservata nelle persone colpite da solitudine. Tra l'altro, considerando che normalmente il DMN viene usato quando si ricorda il passato, immaginando il futuro o pensando ad un ipotetico presente, il fatto che la struttura e la funzione di questa rete sia positivamente associata alla solitudine può essere dovuto al fatto che le persone sole sono più propense ad usare, appunto, l'immaginazione, i ricordi del passato o le speranze per il futuro per superare il loro isolamento sociale. Al riguardo Nathan Spreng, uno dei principali autori della suddetta ricerca, ha spiegando: "In assenza di esperienze sociali desiderate, le persone sole possono essere influenzate da pensieri interni, (come il ricordare o l'immaginare esperienze sociali). Sappiamo che queste abilità cognitive sono mediate dalle regioni cerebrali delle default mode network. Quindi questa maggiore attenzione all'auto-riflessione, e possibilmente alle esperienze sociali immaginate, coinvolgerebbe naturalmente le funzioni basate sulla memoria della default mode network". Comunque sia, come già anticipato, la solitudine è sempre più riconosciuta come uno dei principali problemi di salute, e studi precedenti hanno dimostrato che le persone anziane che sperimentano la solitudine hanno un rischio maggiore di declino cognitivo e demenza: perciò capire come questa condizione si manifesta nel cervello potrebbe essere la chiave per prevenire malattie neurologiche e sviluppare trattamenti migliori. A tal proposito Danilo Bzdok, altro principale responsabile dall'indagine in questione, ha, infine, concluso dichiarando: "Stiamo appena cominciando a capire l'impatto della solitudine sul cervello. Ampliare le nostre conoscenze in questo settore ci aiuterà a valorizzare meglio l'urgenza di ridurre la solitudine nella società odierna".

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