Constatato che il metabolismo potrebbe giocare un ruolo anche nella depressione.


In questi giorni un gruppo di ricercatori della University of California San Diego School of Medicine, (in collaborazione con l'Università di Amsterdam ed il Radboud University Medical Center), grazie ad uno studio pubblicato sulla rivista Translational Psychiatry, ha scoperto che alcuni metaboliti, (ossia piccole molecole prodotte dal processo del metabolismo), potrebbe essere indicatori predittivi per le persone a rischio di disturbi depressivi ricorrenti e gravi. Al riguardo Robert K. Naviaux, uno dei principali autori, ha affermato: "Questa è la prova di un nesso mitocondriale nel cuore della depressione. Il nostro è un piccolo studio, ma è il primo a mostrare il potenziale dell'uso di marcatori metabolici come indicatori clinici predittivi dei pazienti a maggior rischio, (ed anche a minor rischio), per i ricorrenti attacchi dei principali sintomi depressivi". In pratica, come già risaputo, il disturbo depressivo maggiore ricorrente, (noto anche con la sigla rMDD, ossia quello che in termini profani viene definito semplicemente depressione clinica), è un disturbo dell'umore caratterizzato dalla combinazione di molteplici sintomi: sentimenti di tristezza o disperazione, rabbia o frustrazione, perdita di interesse, disturbi del sonno, ansia, pensieri rallentati o difficoltà di pensiero, pensieri suicidi e problemi fisici inspiegabili, (come, ad esempio, mal di schiena o mal di testa). Inoltre il disturbo depressivo maggiore, (conosciuto anche con l'acronimo MDD), è tra le malattie mentali più comuni, con una prevalenza stimata nel corso della vita del 20,6%, il che significa che una persona su cinque soffrirà di almeno un episodio nella sua vita; mentre per i pazienti che soffrono di rMDD il rischio di recidiva quinquennale può arrivare fino all'80%. Ad ogni modo per le suddette analisi gli scienziati hanno reclutato 68 soggetti, (nello specifico 45 donne e 23 uomini), che avevano sofferto di rMDD e che erano in remissione senza antidepressivi, e 59 individui sani di uguale età e sesso, i quali sono andati a costituire quello che viene definito gruppo di controllo: dopo aver raccolto dei campioni di sangue dai pazienti in remissione, questi sono stati seguiti prospetticamente per 2 anni e mezzo. In sostanza i risultati ottenuti hanno mostrato che una firma metabolica trovata quando i pazienti stavano bene poteva prevedere quali pazienti avevano più probabilità di ricadere in depressione con un accuratezza superiore al 90%. Tra l'altro le analisi delle sostanze chimiche più predittive hanno mostrato che esse appartengono a certi tipi di lipidi, (tra cui gli eicosanoidi e gli sfingolipidi), e purine, (cioè basi azotate composte da molecole, come l'ATP e l'ADP, che a loro volta rappresentano le principali sostanze chimiche usate per l'immagazzinamento di energia nelle cellule, ma che hanno anche un ruolo nelle comunicazioni usate dalle cellule sotto stress, chiamate segnalazioni purinergiche). Insomma, per farla breve, gli studiosi hanno osservato che nei soggetti affetti da rMDD, i cambiamenti nei metaboliti specifici in 6 percorsi metabolici identificati avevano causato alterazioni fondamentali di importanti attività cellulari. A tal proposito lo stesso Robert K. Naviaux ha concluso spiegando: "I nostri risultati hanno rivelato una firma biochimica sottostante nell'rMDDD rimessa che distingue i pazienti diagnosticati da quelli sani. Queste differenze non sono visibili attraverso la valutazione clinica ordinaria, ma suggeriscono che l'uso della metabolomica, (ossia lo studio biologico dei metaboliti), potrebbe essere un nuovo strumento per prevedere quali pazienti sono più vulnerabili ad una ricorrenza dei sintomi depressivi". Comunque sia i responsabili dell'indagine in questione hanno, infine, evidenziato come questi loro risultati iniziali richiedano una convalida in un futuro lavoro più ampio di almeno 198 donne e 198 uomini, (divisi in 99 soggetti con depressione e 99 individui sani per ciascun sesso).

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