Osservato in che modo il virus Zika viene trasmesso dalla madre al feto durante la gravidanza.


Negli utlimi mesi alcuni ricercatori del Morsani College of Medicine e della Yale University School of Medicine, tramite uno studio pubblicato sul Journal of Immunology, ha annunciato di aver scoperto un nuovo meccanismo che permette al virus Zika di passare dalle madri ai loro figli durante la gravidanza: un processo noto come trasmissione verticale. In pratica gli scienziati sono riusciti a dimostrare per la prima volta che le cellule specializzate che rivestono l'utero, (ossia le decidue materne), agiscono come dei serbatoi addetti per il trasporto trimestre-dipendente del suddetto virus attraverso la placenta; il che giustifica sia la maggiore suscettibilità del feto all'infezione da Zika nel primo trimestre, sia i difetti congeniti più gravi osservati all'inizio della gravidanza rispetto che alla fine. Inoltre gli studiosi hanno anche rilevato che l'agente tizoxanide si è dimostrato essere efficace nell'inibire il virus in questione in un gruppo di cellule decidue materne coltivate in laboratorio, offrendo una promessa per prevenire la trasmissione perinatale che può causare malformazioni devastanti e danni cerebrali nei feti e nei neonati in via di sviluppo. Al riguardo Ozlem Guzeloglu-Kayisli, una delle principali autrici della sopracitata ricerca, ha affermato: "Se riusciamo a capire meglio la trasmissione verticale del virus Zika ed a bloccare con successo l'infezione nelle cellule decidue materne all'inizio della gravidanza, il virus non passerà attraverso la placenta per raggiungere il feto ed avrà meno probabilità di causare gravi anomalie". Ad ogni modo, sebbene l'allarme globale diffuso causato dalla diffusione del virus Zika trasmesso dalle zanzare in tutte le Americhe nel 2015-2016 si è dissipato dopo che il virus è scomparso nel 2017, un sua eventuale ricomparsa rimane possibile nelle aree in cui la zanzara Aedes aegypti è prevalente, ed attualmente non c'è alcun trattamento o vaccino disponibile contro questo tipo di infezione. Tra l'altro, mentre la maggior parte degli adulti infettati da Zika non mostrano sintomi, il virus può causare effetti collaterali minori simili all'influenza ed in rari casi è stato associato alla Sindrome di Guillain-Barré: la maggior preoccupazione riguarda proprio le donne incinte, poiché fino ad un neonato su 10 nati da madri colpite da tale virus soffrono di difetti di nascita, (tra cui la microcefalia, una dimensione della testa più piccola del normale, che può portare a disabilità dello sviluppo ed altri problemi di salute). Per di più l'infezione da Zika è stata anche collegata a complicazioni della gravidanza, (come, ad esempio, la nascita pretermine, la preeclampsia e l'aborto spontaneo), ma, come già anticipato, la tempistica sembra essere importante: le madri infettate nel primo trimestre hanno molte più probabilità di avere bambini con gravi difetti di nascita provocati dal suddetto virus rispetto alle madri infettate nel terzo semestre. In merito a ciò la stessa Ozlem Guzeloglu-Kayisli ha proseguito spiegando: "La placenta, l'organo che fornisce ossigeno e nutrienti materni al feto in crescita, ha modi per prevenire la maggior parte degli agenti patogeni, (compresi i virus), di attraversare la sua barriera protettiva materno-fetale. Un sottotipo di cellule placentari di derivazione fetale conosciute come sinciziotrofoblasti, in contatto diretto con il sangue materno, si presume essere il sito dove il virus Zika entra nella placenta, portando ad una potenziale infezione fetale. Tuttavia questi particolari trofoblasti resistono all'attacco ed alla replicazione del virus Zika". Quindi per saperne di più su come tale virus riesce ed eludere le difese della barriera e passare attraverso la parete placentare i ricercatori hanno indagato sui mediatori cellulari e molecolari della sua replicazione: così facendo hanno dimostrato che le cellule uterine specializzate, (ovvero quelle immunologicamente attive che rivestono l'utero in preparazione e durante la gravidanza e che formano la parte materna della placenta più vicina al feto), sia di donne incinte che non erano altamente infettabili dal virus in questione. Ma non è tutto in quanto gli scienziati sono anche stati capaci di identificare un'espressione più di 10.000 volte superiore del recettore di attacco del virus Zika nelle cellule decidue materne rispetto a quella nei trofoblasti fetali: si è visto che una volta all'interno delle cellule materne, questo agente patogeno, (cioè un virus a RNA), dirotta il meccanismo cellulare per produrre le proteine necessarie per copiare il suo materiale genetico e sfornare nuove particelle virali. Successivamente la proliferazione delle particelle virali rilasciate dalle cellule materne vengono trasmesse attraverso proiezioni vascolari ramificate, (ossia i cosiddetti villi coriali), sullo strato superficiale della placenta dove possono infettare le cellule fetali dei trofoblasti altrimenti resistenti al virus Zika. In aggiunta gli studiosi hanno constatato che l'efficienza della replicazione virale era significativamente maggiore nelle cellule decidue materne del primo trimestre rispetto a quelle delle gravidanze a termine: hanno dunque ipotizzato che probabilmente queste cellule servono come fonte per l'infezione iniziale del virus Zika e migliorano la successiva trasmissione dalla placenta al feto. A tal proprosito gli autori dell'indagine in questione hanno sostenuto: "Le risposte dipendenti dal trimestre delle cellule decidue materne al virus Zika aiutano a spiegare perché le donne incinte sono suscettibili all'infezione da Zika e perché gli effetti successivi sono più dannosi nel primo trimestre che nella tarda gravidanza". Comunque sia, come già detto, durante i loro esperimenti i ricercatori hanno osservato che il tizoxanide, vale a dire il metabolita attivo del nitazoxanide, (ovvero un farmaco antiparassitario approvato dalla FDA), è risultato essere in grado di impedire efficacemente l'infezione da virus Zika sia nelle cellule decidue materne che in quelle fetali dei trofoblasti: secondo gli stessi autori, la loro scoperta giustificherebbe ulteriori analisi il cui scopo sarà quello di appurare se il suddetto farmaco possa effettivamente bloccare la trasmissione perinatale del virus e quindi proteggere, infine, il feto da esiti dannosi.

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