Si sa, uno dei tratti caratteristici della malattia di Alzheimer è l'accumulo di placche di amiloide-beta nel cervello: la maggior parte delle terapie progettate per trattare tale patologia mirano proprio a queste placche, ma finora hanno ampiamente fallito negli studi clinici. Tuttavia un nuovo lavoro condotto da alcuni ricercatori del Salk Institute for Biological Studies e pubblicato sulla rivista Nature Immunology ha ribaltato le opinioni convenzionali sull'origine di un tipo prevalente di placca, indicando una ragione per cui gli attuali trattamenti non sono andati a buon fine. In pratica, come già noto, la visione tradizionale sostiene che le cellule immunitarie del cervello che eliminano la "spazzatura", (ossia quelle che prendono il nome di cellule della microglia, inibiscono la crescita delle placche "mangiandole". Invece adesso gli scienziati hanno mostrato che questo tipo di cellule può promuovere la formazione di placche a nucleo denso, e che questa azione spazza via il materiale vaporoso della placca dai neuroni, dove causa la morte cellulare: per farla breve gli esiti della suddetta ricerca hanno suggerito che contrariamente a quanto pensato finora le placche a nucleo denso svolgono un ruolo protettivo, quindi i trattamenti per distruggerle possono fare più male che bene. Al riguardo Greg Lemke, uno dei principali autori, ha affermato: "Abbiamo mostrato che le placche a nucleo denso non si formano spontaneamente. Crediamo che siano costruite dalla microglia come meccanismo di difesa, quindi è meglio lasciarle stare. Ci sono vari sforzi per far approvare dalla FDA gli anticorpi il cui principale effetto clinico è la riduzione della formazione della placca a nucleo denso, ma noi sosteniamo che rompere questo tipo di placca può fare più danni". In sostanza è cosa già risaputa che il morbo di Alzheimer rappresenta una condizione neurologica che si traduce in perdita di memoria, deterioramento del pensiero e cambiamenti comportamentali, che peggiorano con l'età: questa malattia sembra essere causata dalla produzione anormale di specifiche proteine che si aggregano tra le cellule del cervello per formare, appunto, le caratteristiche placche, le quali a loro volta interrompono l'attività che mantiene le cellule in vita. Inoltre nel corso degli anni si è viso che esistono numerose forme di placche, ma le due più prevalenti sono caratterizzate come "diffuse" ed "a nucleo denso": le prime sono una sorta di nuvole amorfe e poco organizzate; mentre le seconde hanno un centro compatto circondato da un alone. Per di più, sebbene fino ad ora la comunità scientifica abbia generalmente creduto che entrambi i tipi di placche si formano spontaneamente dalla produzione in eccesso di una molecola chiamata proteina precorritrice della beta-amiloide, (nota anche con la sigla APP), ora il sopracitato gruppo di studiosi ha fatto sapere che in realtà sono le cellule della microglia a formare le placche a nucleo denso partendo da fibrille di beta-amiloide diffusa, come parte della loro pulizia cellulare. Insomma, per arrivare a tale conclusione, i ricercatori si sono basati su una scoperta effettuata nel 2016 e la quale ha determinato che quando una cellula cerebrale muore, una molecola di grasso si capovolge dall'interno all'esterno della cellula, segnalando: "Sono morta, mangiatemi". A questo punto le cellule della microglia, tramite proteine di superficie chiamate recettori TAM, "mangia" la cellula morta, con l'aiuto di una molecola intermedia denominata GAS6: da ciò si evince che senza tali recettori né la molecola in questione, questa tipologia di cellule "spazzine" non può collegarsi alle cellule morte e consumarle. Ad ogni modo le attuali osservazioni hanno mostrato che non sono soltanto le cellule morte e la molecola GAS6 ad inviare il segnale "mangiami": lo stesso fanno anche placche amiloidi prevalenti nell'Alzheimer. Concretamente nel corso dei loro esperimenti gli scienziati hanno utilizzato dei modelli animali e sono stati in grado di dimostrare sperimentalmente per la prima volta che le cellule della microglia con recettori TAM mangiano le placche amiloidi attraverso il segnale "mangiami" e la molecola intermedia di cui sopra: nei topi geneticamente modificati per non avere i recettori TAM, le cellule immunitarie non erano, infatti, in grado di svolgere questa funzione di pulizia. In aggiunta scavando più a fondo gli studiosi hanno tracciato le placche a nucleo denso usando l'imaging dal vivo: con grande sorpresa hanno rilevato che dopo che una cellula microgliale mangia una placca diffusa, trasferisce la beta-amiloide in un compartimento fortemente acido e la converte in un aggregato altamente compattato che viene poi trasferito proprio in una placca a nucleo denso; questo, sempre secondo gli autori dell'indagine in questione, sarebbe un meccanismo benefico che organizza la placca diffusa in placca a nucleo denso e libera l'ambiente intercellulare dai "rifiuti". In merito a ciò Youtong Huang, altra principale responsabile delle analisi, ha spiegato: "La nostra ricerca sembra mostrare che quando ci sono meno placche a nucleo denso parrebbero essereci più effetti dannosi. Con placche più diffuse c'è un'abbondanza di neuriti distrofici, un proxy per il danno neuronale. Non credo che ci sia una decisione clinica distinta su quale forma di placca è più o meno dannosa, ma, stando alla nostra ricerca, sembra che le placche a nucleo denso sono un po' più benigne". Comunque sia i risultati ottenuti dai ricercatori hanno suggerito anche nuovi modi di sviluppare un trattamento per la malattia di Alzheimer, (come, ad esempio, l'aumento dell'espressione dei recettori TAM sulle cellule della microglia per accelerare la formazione di placche a nucleo denso): il team vorrebbe, infatti, condurre studi cognitivi per vedere se l'aumento dell'attività di tali recettori allevierebbe gli effetti della condizione neurologica. A tal proposito lo stesso Greg Lemke ha, infine, concluso dichiarando: "L'attuale tasso di fallimento della maggior parte delle sperimentazioni di farmaci per l'Alzheimer sta per finire. Alcune persone dicono che il relativo fallimento delle prove che distruggono le placche a nucleo denso confuta l'idea che la beta-amiloide è una cosa negativa nel cervello. Anche noi sosteniamo che la beta-amiloide è chiaramente una cosa negativa; è solo che bisogna chiedersi se pure le placche a nucleo denso sono una cosa negativa. Gli scienziati alla ricerca di una cura per l'Alzheimer dovrebbero smettere di cercare di concentrarsi sulla rottura delle placche a nucleo denso ed iniziare a cercare trattamenti che riducano in primo luogo la produzione di beta-amiloide oppure terapie che facilitino il trasporto della beta-amiloide completamente fuori dal cervello".
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