Recentemente un team composto da ricercatori del clima ed ecologi delle principali università di ricerca a livello internazionale ha condotto uno studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista PNAS, attraverso il quale ha esplorato l'effetto degli interventi climatici solari sull'ecologia ed ha constatato che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere gli impatti ecologici delle cosiddette tecnologie di gestione della radiazione solare, (nota anche con la sigla SRM o geoingegneria solare), che riflettono piccole quantità di luce solare nello spazio. In pratica gli scienziati si sono concentrati su una specifica strategia di SRM proposta, (indicata come intervento di aerosol stratosferico o SAI), per creare una nuvola di aerosol di solfato nella stratosfera in modo da ridurre una parte della luce solare e delle radiazioni in arrivo: si tratta di una nuvola che in teoria potrebbe essere controllata nelle dimensioni e nella posizione. Per dirla in altre utilizzare il SAI è come inserire minuscole particelle riflettenti nell'atmosfera per far rimbalzare una parte della radiazione solare nello spazio, in modo che non raggiunga e riscaldi la Terra. Al riguardo Jessica Hellmann, direttrice dell'Institute on the Environment, University of Minnesota, nonché una delle principali autrice della suddetta ricerca, ha affermato: "Stiamo appena iniziando a considerare i rischi ed i benefici della geoingegneria, ed è fondamentale includere gli ecosistemi negli studi costi-benefici. Dovremmo perseguire la geoingegneria solo se i suoi benefici superano fortemente i suoi lati negativi. Poiché i nostri sforzi per arginare il cambiamento climatico sono modesti e lenti, il caso di considerare la geoingegneria sta crescendo, e questo documento rappresenta gli ecologi che si uniscono alla conversazione sulla geoingegneria". Ad ogni modo la complessità delle relazioni a cascata tra gli ecosistemi ed il clima nell'ambito del SAI, (in combinazione con i tempi, la quantità, la lunghezza e la fine degli scenari SAI), significa che questa strategia di SRM non è un semplice termostato che abbassa il calore di un paio di gradi. Inoltre altri potenziali effetti del SAI includono spostamenti nelle precipitazioni e negli aumenti dei raggi UV in superficie; tuttavia, sebbene questa tecnica potrebbe raffreddare una Terra surriscaldata, secondo gli esperti, non sarebbe in grado di contrastare tutti gli effetti dell'aumento della CO₂ atmosferica, (come, ad esempio, l'acidificazione degli oceani). In merito a ciò Phoebe Zarnetske, studiosa del Dipartimento di Biologia Integrativa della Michigan State University ed altra principale responsabile delle analisi, ha spiegato: "Quando ci avviciniamo a domande complesse come queste, c'è una comprensione teorica su larga scala dei modelli inerenti alla biodiversità sulla superficie della Terra, ma questa comprensione è spesso informata da esperimenti su scala più fine che testano i meccanismi biologici e fisici alla base di questi modelli". Mentre Shan Kothari, ex-studente del Dipartimento di Biologia Vegetale e Microbica, Università del Minnesota, attulmente ricercatore presso l'Università di Montréal, ed anch'egli uno degli autori principali dell'indagine in questione ha, infine, concluso dichiarando: "Spero che l'articolo possa convincere gli ecologisti che la ricerca sulle risposte della natura alla geoingegneria solare non è solo importante, ma anche interessante; toccando questioni ecologiche fondamentali su argomenti diversi come la fotosintesi e la migrazione degli animali. Un esempio di come gli altri scienziati possono considerare i risultati dello studio è quello di contemplare le condizioni uniche derivanti da scenari di geoingegneria solare che possono aiutare oppure impedire la capacità degli ecosistemi di immagazzinare carbonio. La nostra ricerca potrebbe aiutare la comunità internazionale a considerare la geoingegneria solare con una maggiore consapevolezza dei potenziali rischi e benefici coinvolti".
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