Lo scorso mese uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Neurodegeneration da parte di alcuni ricercatori dell'University of Texas Southwestern Medical Center e della Johns Hopkins University School of Medicine, ha annunciato la scoperta di una nuova proteina implicata nella morte cellulare, la quale potrebbe fornire un potenziale obiettivo terapeutico per prevenire o ritardare il progresso delle malattie neurodegenerative dopo un ictus: si chiama AIF3 e rappresenta una forma alternativa del fattore che induce l'apoptosi, (noto anche con la sigla AIF), vale a dire una proteina che è fondamentale per mantenere la normale funzione mitocondriale e che una volta rilasciato innesca vari processi che portano ad un tipo di morte cellulare programmata, (denominata, appunto, apoptosi). In pratica durante le loro analisi gli scienziati hanno osservato che dopo un ictus il cervello passa dalla produzione dell'AIF a quella dell'AIF3, ed hanno riscontrato anche che l'ictus innesca un processo noto come "splicing alternativo", in cui una parte delle istruzioni che codifica l'AIF viene rimossa, con una conseguente produzione dell'AIF3: uno splicing difettoso può causare diverse malattie, ma, secondo gli esperti, modificare tale processo può offrire un potenziale per nuove terapie. In sostanza sia nel tessuto cerebrale umano che nei modelli di topo sviluppati dagli studiosi, i livelli di AIF3 risultavano essere elevati dopo un ictus: si è visto che nei roditori la produzione della suddetta nuova proteina causata dall'ictus portava ad una grave neurodegenerazione progressiva; il che ha suggerito un potenziale meccanismo per un grave effetto collaterale dell'ictus osservato pure in alcuni pazienti. Tra l'altro i ricercatori hanno anche rilevato che il meccanismo molecolare alla base della neurodegenerazione indotta dallo splicing dell'AIF3 coinvolge l'effetto combinato della perdita della forma originale dell'AIF e dell'acquisizione della forma alterata della nuova proteina in questione, portando sia alla disfunzione mitocondriale che alla morte cellulare. Al riguardo Yingfei Wang, una delle principali autrici della sopracitata ricerca, ha affermato: "Lo splicing dell'AIF3 causa disfunzione mitocondriale e neurodegenerazione. Il nostro studio fornisce un prezioso strumento per comprendere il ruolo dello splicing dell'AIF3 nel cervello ed un potenziale obiettivo terapeutico per prevenire o ritardare il progresso delle malattie neurodegenerative". Insomma, è chiaro che, come già
anticipato, i risultati di questo recente lavoro sono
importanti per comprendere meglio i postumi dell'ictus, il quale, secondo i Centers for Disease Control and Prevention, (conosciuti anche con l'acronimo CDC), uccide una persona ogni quattro minuti; mentre circa una su sei morti per malattie cardiovascolari è attribuito all'ictus, con quelli ischemici che rappresentano circa l'87% dei casi totali. Per di più questa condizione è stata riconosciuta come la seconda
causa più comune di demenza, e si stima che il 10% dei pazienti colpiti sviluppa un qualche tipo di neurodegenerazione entro un anno. Ad ogni modo, come già risaputo, le cause principali dell'ictus includono pressione alta, colesterolo alto, fumo, obesità e diabete,
e si tratta di una patologia che colpisce anche in modo sproporzionato
alcune popolazioni e che si verifica più spesso negli uomini; anche se a
morire di ictus sono in maggior numero le donne rispetto agli uomini.
Inoltre, sempre stando ai dati dei CDC, le persone di colore
hanno un rischio di essere colpiti per la prima volta da un ictus che risulta essere doppio
rispetto a quello dei bianchi, con un rischio maggiore anche di morte: dal 2013 le popolazioni ispaniche hanno, infatti, visto un aumento dei tassi di mortalità; invece altre popolazioni no.
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