Individuata una connessione tra le concentrazioni di litio nel cervello e la depressione.


Come già risaputo, i disturbi depressivi sono tra le malattie più ricorrenti in tutto il mondo e, sebbene le cause risultino essere complesse e finora solo parzialmente comprese, sembra proprio che il litio, (in qualità di oligoelemento), possa giocare un ruolo abbastanza importate; o almeno questa è la conclusione a cui sono arrivati alcuni ricercatori della Technical University of Munich e della Ludwig-Maximilian University a seguito di uno studio pubblicato nel mese di Marzo sulla rivista Scientific Reports. In pratica utilizzando i neutroni gli scienziati hanno dimostrato che la distribuzione del suddetto elemento chimico nel cervello delle persone depresse è diversa da quella trovata negli esseri umani sani: la maggior parte delle persone ingerisce quotidianamente il litio, (noto tra le altre cose per essere presente all'interno delle batterie ricaricabili), attraverso l'acqua potabile; mentre diversi studi internazionali hanno mostrato che un maggiore contenuto naturale di litio nell'acqua potabile coincide con un minore tasso di suicidio nella popolazione. Inoltre, anche se per decenni i sali di litio sono stati usati in concentrazioni elevate per trattare la mania ed i disturbi depressivi, il ruolo esatto di tale elemento chimico nel cervello risulta essere ancora sconosciuto; motivo per cui adesso gli studiosi hanno deciso di unire le forze con gli esperti della Research Neutron Source Heinz Maier-Leibnitz per sviluppare un metodo che potesse essere utilizzato per determinare con precisione la distribuzione del litio nel cervello umano: la loro speranza è quella di essere in grado di trarre conclusioni per la terapia, nonché di ottenere una migliore comprensione dei processi fisiologici coinvolti nella depressione. In sostanza entrando un po' più nei particolari i ricercatori hanno studiato il cervello di un paziente morto suicida e lo hanno confrontato con quello due soggetti sani che hanno composto il cosiddetto gruppo di controllo: le loro analisi si sono focalizzate principalmente sul rapporto tra la concentrazione del sopracitato elemento chimico nella materia bianca e quella nella materia grigia. Tra l'altro per determinare quanto litio fosse effettivamente presente nel cervello, gli scienziati si sono serviti dello strumento FRM II Prompt Gamma-Ray Activation Analysis, (conosciuto anche con la sigla PGAA), hanno irradiato 150 campioni sottili di varie regioni del cervello, (come, per esempio, quelle che presumibilmente sono responsabili dell'elaborazione dei sentimenti), appunto, con i neutroni. Al riguardo Roman Gernhäuser, uno dei principali autori della ricerca, ha affermato: "Un isotopo del litio è particolarmente bravo a catturare i neutroni; poi decade in un atomo di elio ed un atomo di trizio. I due prodotti di decadimento sono catturati da rivelatori davanti e dietro il campione e forniscono così informazioni su dove esattamente si trova il litio nella sezione del cervello". Mentre Jutta Schöpfer, altra principale responsabile degli esami, ha poi aggiunto: "Considerando la concentrazione di litio nel cervello è solitamente molto bassa, è anche molto difficile da accertare. Finora non era possibile rilevare tracce così piccole di litio nel cervello in modo spazialmente risoluto. Un aspetto speciale dell'indagine con i neutroni è che i nostri campioni non vengono distrutti. Questo significa che possiamo esaminarli più volte per un periodo di tempo più lungo". Ad ogni modo sempre in merito a ciò lo stesso Roman Gernhäuser ha successivamente proseguito spiegando: "Abbiamo visto che c'era significativamente più litio presente nella materia bianca delle persone sane che nella materia grigia. Al contrario, il paziente suicida aveva una distribuzione equilibrata, senza nessuna differenza sistematica misurabile"; invece Jutta Schöpfer è andata avanti aggiungendo: "I nostri risultati sono abbastanza innovativi, perché siamo stati in grado per la prima volta di accertare la distribuzione del litio in condizioni fisiologiche. Poiché siamo stati in grado di accertare tracce dell'elemento nel cervello senza prima somministrare farmaci e perché la distribuzione è così chiaramente diversa, presumiamo che il litio abbia una funzione davvero importante nel corpo". Comunque sia a seguire Roman Gernhäuser ha continuato ammettendo: "Naturalmente il fatto che siamo stati in grado di indagare solo sezioni del cervello di tre persone segna solo un inizio. Tuttavia, siamo stati in ogni caso capaci di indagare molte regioni cerebrali diverse che hanno confermato il comportamento sistematico"; mentre la stessa Jutta Schöpfer ha, infine, concluso dichiarando: "Saremmo in grado di scoprire molto di più con un maggior numero di pazienti, le cui storie di vita sarebbero anche meglio conosciute. Potrebbe quindi essere anche possibile rispondere alla domanda se la distribuzione deviata del litio nelle persone depresse è una causa o un risultato della malattia".

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