Risolto il mistero di come la betamiloide si forma negli assoni e nelle cellule nervose del cervello.


Di recente alcuni i ricercatori del Massachusetts General Hospital, attraverso uno studio pubblicato quasi un mese fa sulla rivista Cell Reports, hanno annunciato di aver scoperto per la prima volta in che modo la betamiloide, (ossia la neurotossina ritenuta essere alla base del morbo di Alzheimer), si forma negli assoni e nelle strutture correlate che collegano i neuroni nel cervello, dove causa i maggiori danni: si tratta di una scoperta che potrebbe servire come guida per lo sviluppo di nuove terapie volte a prevenire l'insorgenza di questa devastante malattia neurologica. In pratica tra i diversi contributi alla suddetta ricerca c'è stato anche quello di Rudolph Tanzi, il quale nel 1986 ha guidato un altro team ed ha scovato il primo gene della malattia di Alzheimer, (chiamata proteina precorritrice della beta-amiloide o APP): quando tale proteina viene scissa dagli enzimi, (prima la beta secretasi, seguita dalla gamma secretasi), il sottoprodotto che ne viene fuori è proprio la neurotossina di cui sopra, che, come già anticipato, se si accumula in grandi depositi può causare la distruzione neurologica che con il passare del tempo porta allo sviluppo del morbo in questione. Inoltre nel corso degli anni si è visto che la formazione di questo peptide negli assoni e nelle terminazioni nervose causa il danno peggiore nell'Alzheimer, compromettendo la comunicazione tra i neuroni: per questo la comunità scientifica di tutto il mondo ha lavorato intensamente per trovare il modo di bloccare la formazione di betamiloide impedendo la scissione da parte della beta secretasi e della gamma secretasi; ciononostante i vari approcci sono stati ostacolati da problemi di sicurezza e seppur siano passati anni di ricerca un grande mistero è sempre rimasto. Difatti al riguardo lo stesso Rudolph Tanzi ha affermato: "Sapevamo che la betamiloide viene prodotta negli assoni delle cellule nervose del cervello, ma finora non sapevamo in che modo". Ad ogni modo nel 2013 diversi altri esperti del Massachusetts General Hospital hanno dimostrato che una forma di APP che ha subito un processo conosciuto come palmitoilazione, (da cui il nome palAPP), è in grado di dare origine alla betamiloide: si è trattato si uno studio che ha indicato che all'interno del neurone la palAPP viene trasportato in una vescicola grassa denominata "zattera lipidica"; anche se successivamente è emerso che ne esistono molte forme. In merito a ciò Rudolph Tanzi ha dichiarato: "Quindi la domanda era: quali zattere lipidiche? E quali sono più rilevanti per i processi neuronali che costituiscono le reti neurali del cervello?". In sostanza durante il sopracitato nuovo lavoro gli scienziati hanno sondato la questione studiando il cervello di un gruppo di topi da laboratorio, così come con uno strumento di ricerca noto come "Alzheimer in disco", (ovvero un modello tridimensionale di cultura cellulare di tale patologia creato nel 2014 dal medesimo Rudolph Tanzi e dal collega Doo Yeon Kim): così facendo hanno rivelato che la palAPP risulta essere stabilizzata e preparata per la scissione dalla beta secretasi in speciali zattere lipidiche situate all'interno dei neuroni e note come membrane del reticolo endoplasmatico associato ai mitocondri, (o più semplicemente MAM). A tal proposito Raja Bhattacharyya, altro principale responsabile delle analisi, ha spiegato: "Abbiamo dimostrato per la prima volta non solo che le MAM sono il luogo in cui la palAPP viene elaborata dalla beta secretasi per creare la betamiloide, ma anche che ciò avviene esclusivamente negli assoni e nei processi neuronali dove la betamiloide provoca la maggior parte dei suoi danni". Insomma, questo è un ruolo per le MAM che era precedentemente sconosciuto; anche se ci sarebbe da dire che la suddetta ricerca passata aveva indicato che queste zattere lipidiche risultavano essere aumentate in numero ed in attività nel cervello delle persone colpite dal morbo di Alzheimer. In ogni caso a seguito di queste scoperta gli studiosi hanno voluto capire meglio cosa succede quando i livelli e l'attività delle MAM venivano intenzionalmente alterati: in questo modo hanno dimostrato per la prima volta che impedire l'assemblaggio delle MAM, (sia con la terapia genica, sia con un farmaco che si è dimostrato essere capace di bloccare una proteina chiave chiamata recettore sigma-1 o S1R), diminuiva drasticamente la scissione beta secretasi/palAPP negli assoni e di conseguenza anche la produzione di betamiloide; mentre, al contrario, un farmaco che era in grado di attivare l'S1R innescava un aumento della scissione in questione e per forza di cose pure della produzione della sopracitata neurotossina negli assoni. Al riguardo lo stesso Rudolph Tanzi ha concluso sostenendo: "I nostri risultati suggeriscono che il recettore sigma-1 potrebbe essere un valido obiettivo terapeutico per ridurre la produzione di betamiloide, in particolare negli assoni". Comunque sia questa nuova indagine ha dato anche sostegno ad una strategia già in fase sviluppo, il cui obiettivo sarebbe quello di mettere a punto un trattamento sperimentale capace di inibire la palmitoilazione dell'APP, (impedendo, così, la produzione della palAPP). Tra l'altro si sa anche che un'altra classe di farmaci in fase di studio per prevenire la formazione di betamiloide, (chiamati inibitori ACAT), funziona direttamente nelle MAM: motivo per il quale in futuro questi ed altri interventi che contrastano la produzione di questo bacino più pericoloso di betamiloide assonale potrebbero essere, infine, impiegati in concomitanza con la rilevazione precoce, (attraverso esami del sangue o test di imaging), per fermare o quantomeno rallentare la progressione dell'Alzheimer.

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