Scoperto che gli acidi biliari innescano la sazietà nel cervello.


Che il cervello umano sia solitamente ben protetto dall'afflusso incontrollato di molecole provenienti dalle zone periferiche grazie alla barriera emato-encefalica, (ovvero una sorta di sigillo fisico di cellule che rivestono le pareti dei vasi sanguigni nota anche con la sigla BEE), è ormai una cosa di dominio pubblico. Tuttavia l'ipotalamo rappresenta una notevole eccezione a questa regola: caratterizzata da cosiddetti vasi sanguigni "a perdita", questa regione situata alla base del cervello risulta essere, infatti, esposta ad una varietà di molecole bioattive in circolazione nell'organismo; si tratta di una caratteristica anatomica che determina anche la sua funzione di "reostato" coinvolto nel coordinamento del rilevamento dell'energia e del comportamento alimentare. In pratica, come già risaputo, diversi ormoni e nutrienti sono noti per influenzare il neurocircuito di alimentazione nell'ipotalamo: esempi classici di ciò sono la leptina e l'insulina, entrambi coinvolti nell'informare il cervello dell'energia disponibile. Tra l'altro negli ultimi anni l'elenco dei segnali che stimolano l'appetito o la sazietà è cresciuto costantemente con l'identificazione di diversi ormoni intestinali: questi sono coinvolti nella gestione del comportamento alimentare regolando, appunto, la percezione della fame o della sazietà, e portando in definitiva all'inizio o alla fine di un pasto; da ciò si evince che la connessione intestino-cervello è quindi una specie di guardiano critico nella regolazione del comportamento alimentare. In sostanza è altrettanto noto che gli acidi biliari sono tra i metaboliti più abbondanti nell'intestino ed agiscono come molecole di segnalazione versatili, le quali trasmettono la disponibilità di nutrienti ad una risposta fisiologica per mezzo dell'attivazione di un recettore di membrana sensibile a tali acidi, denominato Takeda G-coupled receptor 5, (conosiuto anche con l'acronimo TGR5). Ad ogni modo, sebbene gli antichi greci già postulavano che la bile fosse in grado di influenzare lo stato d'animo, ancora si sa molto poco sul ruolo di segnalazione di questi metaboliti nel cervello. Per questo motivo di recente alcuni ricercatori dell'École Polytechnique Fédérale de Lausanne, dell'Instituto Nacional de Ciencias Médicas y Nutrición Salvador Zubirán, dell'Università di Bordeaux, della Yale University School of Medicine, del Columbia University Irving Medical Center, dell'Università degli Studi di Perugia, della TES Pharma e dell'Università di Losanna, hanno deciso di condurre su modello murino un nuovo studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Metabolism e con cui hanno dimostrato che gli acidi biliari raggiungono il cervello di questi animali poco dopo un pasto per sopprimere l'assunzione di cibo. Insomma, per farla breve, gli scienziati hanno osservato che questi acidi sfuggono al tratto digestivo, si accumulano transitoriamente nella circolazione sanguigna e raggiungono l'ipotalamo per un periodo di tempo molto breve dopo l'alimentazione. Per di più gli studiosi hanno rilevato anche che la risposta anoressica degli acidi biliari è mediata proprio dal TGR5, situato sulla superficie cellulare di un gruppo distinto di cellule ipotalamiche, (chiamate neuroni AgRP/NPY): concentrandosi su questa sottopopolazione neuronale, hanno scoperto che tali acidi mediano due processi sfalsati nel tempo. Al riguardo Alessia Perino, una delle principali autrici della suddetta ricerca, ha affermato: "Mentre gli acidi biliari bloccano acutamente il rilascio dei peptidi stimolanti l'appetito AgRP e NPY durante i primi minuti che seguono il legame del loro recettore cognitivo, essi rafforzano ulteriormente la repressione smussando l'espressione di questi neurotrasmettitori". In aggiunta ci sarebbe anche da dire che negli ultimi due decenni gli acidi biliari si sono dimostrati essere efficaci nell'alleviare i disturbi cronici metabolici ed infiammatori: lavori precedenti hanno evidenziato come l'attivazione sistemica del TGR5 sia stata in grado di attenuare l'obesità in un gruppo di topi da laboratorio affetti da tale condizione. Comunque sia le nuove analisi hanno svelato che l'asse di segnalazione acido biliare-TGR5 non è solo importante nella malattia, ma anche nel controllo fisiologico del comportamento alimentare: in assenza di grassi alimentari, questi acidi sopprimono temporaneamente l'assunzione di cibo senza influenzare il normale bilancio energetico. A tal proposito Kristina Schoonjans, altra principale responsabile dell'indagine in questione, ha, infine, concluso spiegando: "Questo non è sorprendente perché l'omeostasi è un processo di autoregolazione in cui i sistemi tendono a mantenere la stabilità. Al contrario l'alimentazione cronica con una dieta ricca di grassi può annullare questo equilibrio. Sarà interessante scoprire se i neurocircuiti identificati contribuiscono al noto effetto di riduzione del peso corporeo degli acidi biliari nel contesto dell'obesità indotta dalla dieta".

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