Scoperta nuova classe di cellule di memoria il cui scopo è quello di ricordare i volti.


Per diverso tempo la comunità scientifica ha cercato invano una classe di cellule cerebrali che potesse spiegare il flash viscerale di riconoscimento che le persone sperimentano quando vedono un volto molto familiare: finora il cosiddetto "neurone della nonna", (ossia un'ipotetica singola cellula tra la percezione sensoriale e la memoria, in grado di dare la priorità ad un volto importante rispetto alla marmaglia), è, infatti, rimasto inafferrabile. Tuttavia lo scorso mese uno studio pubblicato sulla rivista Science da parte di alcuni ricercatori della Rockefeller University, dell'Università di Washington, dell'Icahn School of Medicine at Mount Sinai e del Center for Brains, Minds & Machines, ha rivelato una nuova classe di neuroni nella regione del polo temporale del cervello che collega la percezione del viso alla memoria a lungo termine: non si tratta proprio dell'apocrifo "neurone della nonna" poiché piuttosto che una singola cellula, è una popolazione di cellule che ricorda collettivamente il volto della nonna; il che ha spiegato pper la pirma volta come il cervello inculchi i volti dei propri cari. Al riguardo Winrich Freiwald, uno dei principali autori, ha spiegato: "Quando mi stavo avvicinando alle neuroscienze, se si voleva ridicolizzare l'argomento di qualcuno, lo si liquidava con "solo un altro neurone della nonna"; un'ipotesi che non poteva esistere. Ora, in un angolo oscuro e poco studiato del cervello, abbiamo trovato la cosa più vicina ad un "neurone della nonna": cellule capaci di collegare la percezione del viso alla memoria". In pratica l'idea di questo fantomatico "neurone della nonna" si è presentata per la prima volta negli anni '60 come una cellula cerebrale teorica che codificava un concetto specifico e complesso, tutto da sola: secondo le varie teorie, esisterebbe un neurone per il ricordo della propria nonna, un altro per ricordare la propria madre, e così via. In sostanza la nozione di un rapporto uno-a-uno tra cellule cerebrali ed oggetti o concetti era un tentativo di affrontare il mistero di come il cervello combina ciò che vede con i ricordi a lungo termine. Ad ogni modo da allora la comunità scientifica ha scoperto un sacco di neuroni sensoriali specializzati nell'elaborazione delle informazioni facciali, ed altrettante cellule di memoria dedicate alla memorizzazione dei dati degli incontri personali, ma un "neurone della nonna", (o anche una cellula ibrida capace di collegare la visione alla memoria), non è mai emerso fino ad ora. In merito a ciò lo stesso Winrich Freiwald ha proseguito affermando: "L'aspettativa è che a quest'ora avremmo già capito tutto. Tutt'altro! Non avevamo una chiara conoscenza di dove e come il cervello elabora i volti familiari". In concreto nel corso delle loro precedenti ricerche gli scienziati avevano osservato che una piccola area nella regione del polo temporale del cervello poteva essere coinvolta nel riconoscimento facciale: motivo per il quale hanno deciso di impiegare la risonanza magnetica funzionale come guida per ingrandire tali regioni cerebrali di due scimmie rhesus, ed hanno registrato i segnali elettrici dei neuroni mentre gli animali guardavano immagini di volti familiari, (che avevano visto di persona), e non familiari, (che avevano visto solo virtualmente, attraverso uno schermo). In questo modo gli studiosi  hanno scoperto che i neuroni della regione del polo temporale risultavano essere altamente selettivi, rispondendo più fortemente ai volti che i macachi avevano visto prima, rispetto a quelli non familiari: dai risultati è emerso anche che le cellule nervose erano veloci nel distinguere tra volti noti e sconosciuti immediatamente dopo aver elaborato l'immagine. A tal proposito Sofia Landi, altra principale responsabile delle analisi, ha dichiarato: "È interessante notare come queste cellule rispondevano 3 volte di più ai volti familiari rispetto a quelli non familiari; anche se i soggetti avevano di fatto visto i volti non familiari molte volte virtualmente, sugli schermi. Questo potrebbe indicare l'importanza di conoscere qualcuno di persona. Data la tendenza al giorno d'oggi a diventare virtuali, è importante notare che i volti che abbiamo visto su uno schermo potrebbero non evocare la stessa attività neuronale dei volti che incontriamo di persona". In ogni caso, come già anticipato, i dati ottenuti dai ricercatori costituiscono la prima prova dell'esistenza di una cellula cerebrale ibrida, non tanto diversa dall'ipotetico "neurone della nonna": le cellule della regione del polo temporare, infatti, si comportano come cellule sensoriali, con risposte affidabili e veloci agli stimoli visivi, ma allo stesso tempo si comportano anche come cellule della memoria che rispondono solo a stimoli che il cervello ha visto prima, (in questo caso individui familiari), riflettendo un cambiamento nel cervello come risultato di incontri passati. Al riguardo Winrich Freiwald è andato avanti ribadendo: "Si tratta di cellule molto visive, molto sensoriali, ma che al contempo sono come cellule di memoria. Abbiamo scoperto una connessione tra il dominio sensoriale e quello della memoria. Tuttavia queste cellule non sono, in senso stretto, "neuroni della nonna". Invece di una cella che codifica per un singolo volto familiare, le cellule della regione del polo temporale sembrano lavorare di comune accordo, come un collettivo. È un'area del cervello con la faccia della nonna". Comunque sia la scoperta della suddetta regione al centro del riconoscimento facciale significa che gli esperti potranno presto iniziare a studiare come queste cellule codificano i volti familiari. Difatti in merito a ciò lo stesso Winrich Freiwald ha poi aggiunto: "Ora possiamo chiederci come questa regione è collegata alle altre parti del cervello e cosa succede quando appare una faccia nuova. E naturalmente possiamo iniziare ad esplorare come funziona all'interno del cervello umano". Insomma, in un futuro non troppo lontano questi risultati potrebbero anche avere implicazioni cliniche per tutte quelle persone che soffrono di prosopagnosia, (nota anche come cecità facciale), vale a dire una condizione socialmente isolante che impedisce di riconoscere i tratti di insieme dei volti e che colpisce circa l'1% della popolazione mondiale. A tal proposito Winrich Freiwald ha, infine, concluso sostenendo: "Le persone con cecità facciale spesso soffrono anche di depressione. Può essere debilitante perché nei casi più gravi non possono nemmeno riconoscere i parenti stretti. La nostra scoperta potrebbe un giorno aiutarci a concepire strategie per aiutarle".

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