Recentemente alcuni ricercatori del Center for Pulmonary and Vascular Biology, Pediatrics, (in collaborazione con il Weill Cornell Medical College, l'University of Texas Southwestern Medical Center, il Medical College of Wisconsin, l'University of Cincinnati College of Medicine, la Yale School of Medicine, l'University of California, San Diego), hanno pubblicato uno studio sulla rivista Circulation Research con il quale hanno indicato che un enzima chiamato proteina fosfatasi 2, (noto anche con la sigla PP2A), sembra essere uno dei principali responsabile della preeclampsia, vale a dire una pericolosa complicazione della gravidanza che colpisce dal 5% al 7% delle donne in dolce attesa in tutto il mondo ed è caratterizzata dallo sviluppo di pressione alta e proteine in eccesso nelle urine: si tratta di una scoperta che potrebbe portare a nuovi trattamenti per tale sindrome diversi dal parto prematuro, che spesso risulta essere l'unica opzione. Al riguardo Philip W. Shaul, uno dei principali autori, ha affermato: "La preeclampsia è una causa purtroppo comune di nascita prematura, che può essere pericolosa per la vita dei bambini e portare a conseguenze per tutta la vita. Attraverso l'identificazione del ruolo del PP2A in questa condizione, potremmo essere in grado di sviluppare trattamenti per la preeclampsia che sono molto meglio sia per le madri che per i bambini". Ed ha poi proseguito spiegando: "Sebbene le cause della preeclampsia non siano ancora ben comprese, la comunità scientifica ha collegato la condizione ad una serie di fattori di rischio. Uno è una malattia autoimmune nota come sindrome antifosfolipidica, (o APS), in cui gli anticorpi reagiscono alle proteine sulla superficie di alcune cellule. Anche se l'APS è relativamente rara, (colpendo solo circa 5 persone su 100.000), studi precedenti hanno identificato la presenza di anticorpi APS in circa il 29% delle donne incinte con preeclampsia". In pratica per comprendere meglio in che modo la suddetta sindrome porta a questa condizione gli scienziati hanno creato un modello animale iniettando degli anticorpi APS in un gruppo di topi da laboratorio in gravidaza: così facendo hanno osservato che tali animali tendevano a sviluppare proprio una pressione sanguigna elevata ed un aumento delle proteine nelle urine, (ossia, come già detto, entrambe caratteristiche della preeclampsia); mentre è anche emerso che, al contrario, gli anticorpi APS non avevano influenzato la pressione sanguigna nei topi non in gestazione. Tra l'altro sulla base di un loro lavoro precedente, gli studiosi sapevano che una proteina chiamata ApoER2 può essere legata alle azioni dannose degli anticorpi APS sulle cellule della placenta, (denominate trofoblasti). In sostanza normalmente queste cellule viaggiano dal lato fetale della placenta al lato materno per fornire al feto le sostanze nutritive, ma durante la preeclampsia non riescono a fare tale collegamento: nel corso degli esperimenti sui roditori si è, infatti, visto che gli anticorpi APS hanno impedito la migrazione dei trofoblasti e la crescita del feto è stata limitata. Tuttavia quando i ricercatori hanno ingegnerizzato geneticamente i topi i modo che non esprimessero l'ApoER2 nei trofoblasti, i feti si sono sviluppati normalmente nonostante il trattamento con gli anticorpi APS, e le madri sono state protette dallo sviluppo della preeclampsia. Ad ogni modo gli scienziati erano già a conoscienza che la sopracitata proteina non raccontava tutta la storia: hanno, infatti, scoperto che in presenza degli anticorpi APS, l'ApoER2 è in grado di innescare l'attività del PP2A, (ovvero un enzima che, come già anticipato, regola le funzioni delle proteine in tutto il corpo). Inoltre ulteriori esperimenti hanno mostrato che nei roditori in gravidanza con anticorpi APS, l'attività aumentata del PP2A aumentava la produzione di trofoblasti da parte di proteine note per essere coinvolte nella malattia di cui sopra; invece quando gli studiosi hanno somministrato a questi topi in dolce attesa un farmaco che inibisce il PP2A, gli animali sono risultati essere protetti dalla preeclampsia, ed il trattamento non ha avuto effetti nocivi apparenti né sui topi né sui cuccioli in gestazione. Comunque sia sperando di tradurre questi risultati anche sugli esseri umani, i ricercatori hanno esaminato la placenta di un gruppo di donne affette dall'APS ed hanno constatato che anche loro avevano una maggiore attività di PP2A: in una svolta sorprendente, hanno però osservato che rispetto alle placente provenienti da gravidanze normali, pure quelle delle pazienti preeclamptiche senza l'APS avevano un'attività più alta del PP2A; il che ha suggerito che questo meccanismo potrebbe essere operativo in una varietà di forme di preeclampsia. A tal proposito lo stesso Philip W. Shaul ha, infine, concluso dichiarando: "Grazie ad ulteriori ricerche, i trattamenti che prendono di mira il PP2A o il suo relativo meccanismo nei trofoblasti potrebbero eventualmente diventare terapie valide per la preeclampsia nelle donne incinte".
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