Circa un decennio fa la comunità scientifica è venuta a conoscenza che l'HIV può integrarsi nei geni delle cellule che hanno il potenziale di causare il cancro e che quando questo accade in animali con altri retrovirus, questi spesso sviluppano dei tumori: perplessamente e fortunatamente lo stesso, però, non accade in modo regolare negli esseri umani colpiti dal medesimo virus; anche se finora nessuno ha mai saputo perché. Tuttavia di recente uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances da parte di alcuni ricercatori dell'Università di Pittsburgh, del Frederick National Laboratory for Cancer Research, della Roche Molecular Diagnostics e del National Cancer Institute pare essere riuscito a svelare il mistero dietro al motivo per cui i medici di tutto il mondo non riscontrano alti tassi di linfomi delle cellule T, (ossia rari tumori del sistema immunitario), in pazienti che convivono, appunto, con l'HIV. Al riguardo John Mellors, uno dei principali autori, ha spiegato: "Sembra che abbiamo spiegato parte del mistero del perché l'HIV è raramente la causa diretta del cancro. La nostra indagine ha dimostrato che è necessaria una serie molto insolita di eventi che coinvolgono cambiamenti sia nell'HIV che in ulteriori mutazioni nei geni umani perché qualcuno con l'HIV sviluppi un linfoma. I medici dovrebbero sempre sottoporre i loro pazienti a screening per il cancro come parte dell'assistenza sanitaria di routine, ma le persone con HIV non devono temere di sviluppare inevitabilmente dei linfomi". In pratica, come già risaputo, quando il virus di cui sopra entra nel corpo, va alla ricerca delle cellule T ed inserisce la sua sequenza genetica, (chiamata "provirus"), nel DNA di quest'ultime cellule: ciò fa sì che i linfociti T, che normalmente pattugliano il corpo alla ricerca di patogeni estranei, vengano efficacemente dirottati ed istruiti a produrre altro HIV. Ad ogni modo una ricerca precedente condotta dagli stessi scienziati aveva scoperto che il provirus è in grado di inserirsi nel codice genetico delle cellule T in un luogo che spinge queste cellule infette a crescere in grandi cloni non cancerosi di sé stesse ed, in alcuni casi, questi cloni possono trasportare provirus completi ed infettivi, e sono chiamati "replicloni" proprio perché portano al loro interno dei provirus compatibili con la replicazione cellulare: l'obiettivo del virus non è necessariamente quello di indurre la crescita dei replicloni, ma questo fenomeno è solo il risultato di dove il provirus si inserisce nel codice genetico di una cellula T. In sostanza queste scoperte passate hanno, però, dato origine ad un paradosso: se l'HIV può integrarsi negli oncogeni delle cellule T, (ovvero geni coinvolti nella normale divisione cellulare e che, se mutati, provocano la crescita di cellule cancerose), allora questo vuol dire che dovrebbe essere anche capace di causare un linfoma: è stato proprio per rispondere a questo dilemma che gli studiosi hanno preso in esame dei campioni provenienti da 13 pazienti affetti sia da HIV che da linfoma e ne hanno selezionato in particolare 3 che risultavano avere alti livelli di provirus; il che ha indicato che il virus in questione potrebbe essere coinvolto nella formazione di questa tipologia di cancro. Comunque sia successivamente i ricercatori hanno analizzato i suddetti campioni per osservare con precisione dove il provirus si era inserito nel DNA delle cellule T: questo minuzioso lavoro ha rivelato che, come già anticipato, quando il provirus dell'HIV si inserisce in un gene noto come STAT3 e/o in un altro gene denominato LCK, può indurre le cellule portatrici di provirus ad attivare la proliferazione cellulare; con ulteriori mutazioni non virali in altri geni umani, si è visto che ciò può portare, appunto, allo sviluppo di linfomi delle cellule T. A tal proposito lo stesso John Mellors ha, infine, concluso spiegando: "Questo è un processo complicato, a più fasi, che richiede eventi rari, (cioè l'inserimento nell'STAT3 oppure nei geni STAT3 e LCK nel punto giusto), anche solo per avere inizio. In quanto medico, sono rassicurato che questi eventi sono rari. Anche se dobbiamo essere consapevoli del potenziale dell'HIV di causare linfomi, si tratta di un evento così raro che non c'è bisogno di ansia esagerata; o almeno per il momento. Considerando che le persone con HIV stanno vivendo più a lungo grazie ai progressi di farmaci e trattamenti, ci sono più anni in cui le mutazioni potrebbero accumularsi nei geni dell'ospite. Quando questo è accoppiato con gli effetti dei provirus già inseriti negli oncogeni, la frequenza del linfoma potrebbe aumentare nel tempo. Fortunatamente finora questo non è stato osservato. Tuttavia i nostri risultati sottolineano l'importanza di ulteriori studi per valutare il ruolo che i farmaci per trattare l'HIV possono giocare nella prevenzione dei linfomi delle cellule T, unitamente alla continua sorveglianza dei linfomi delle cellule T nelle persone con HIV".
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